Negli anni Settanta, Alberto Sordi inaugurò una serie di film - commedie, drammi - nei quali la sua straordinaria capacità, tipica delle sue prime commedie, di fotografare il tipo umano si trasferì alla società, attraverso opere molto più pungenti e aggressive. A quel periodo risale "Un borghese piccolo piccolo", un terribile dramma firmato dal grandissimo Mario Monicelli, la storia di un padre che dopo la morte incidentale del figlio in una rapina, impazzisce e si fa giustizia da solo; "Tutti dentro", la profetica storia di un Di Pietro ante litteram finito impigliato nella sua stessa rete; e "Finché c'è guerra c'è speranza" che forse più di tutti sferza un'altra delle caratteristiche della decadente e ipocrita borghesia italiana: la denuncia sociale. La trama, per chi non l'avesse vista, narra di un commerciante di pompe idrauliche successivamente divenuto mercante di armi. Le sue condizioni economiche migliorano a tal punto che cambia abitudini di vita, casa, per dover accontentare moglie e figli pretenziosissimi, fino a quando un giorno sul giornale non esce un articolo su di lui definito "mercante di morte" che, di fatto, lo consegna all'indignazione dei familiari. Segue una riunione familiare dove l'uomo, messo sotto accusa, in sostanza spiega ai suoi congiunti che gli agi nei quali erano fin lì vissuti erano dovuti al suo lavoro e che i figli potevano interrompere in qualsiasi momento, a patto di rinunciarvi: alle tre e mezzo l'uomo doveva svegliarsi per prendere un aereo e sarebbe bastato che non lo svegliassero, per porre fine alla sua attività. La colf, su indicazione della moglie, lo va a svegliare: alle tre e un quarto. La morale di quel film è sin troppo ovvia: le condizioni di vita agiate dell'Occidente dipendono spesso dai compromessi morali che è costretto a compiere e ai cui vantaggi nessuno rinuncia davvero "Perché le guerre non le fanno quelli che vendono le armi ma la gente come voi, che vuole sempre di più. E qualcuno bisogna pur depredarlo".
Le malefatte del potere non sono figlie di gente che al mattino si sveglia grattandosi la testa e chiedendosi a chi fare del male, ma spesso servono proprio a garantire il Bene perseguito dal potere. E far ammalare le eccedenze di cittadini a cui non è in grado di badare o far abbattere le proprie torri da un aereo, o ancora far ammazzare magistrati e giornalisti, purtroppo rientra perfettamente nella fisiologia del potere, per taluni ne rappresenta una patologia, a patto però di indicare come si sarebbe potuto fare meglio, senza perigliare lo stato stesso.
Uno stato non è che il gruppo di persone più forte di un territorio, il cui "core business" è la tutela dei suoi consociati fino alle estreme conseguenze, e non ha altri doveri se non quelli connaturati alla propria sopravvivenza, in nome della quale, a volte, compie anche azioni moralmente riprovevoli: depredare altri stati, impegnarsi in commerci illegali, spiare alleati, compiere attentati e persino autoattentati. Non è niente che sia stato inventato dagli Stati Uniti, al contrario viene dagli scritti di Machiavelli quando in America ancora si ballava con i lupi. La cosa si complica ancor di più nelle democrazie che, vivendo nel costante iato tra un'apparenza pecorellesca e una sostanza lupesca - come nella pallanuoto, che in apparenza sembra uno sport pacifico mentre sott'acqua si scatena una vera guerra violentissima - ben presto accumulano industriali quantità di segreti inconfessabili (ai moralisti) che, una volta svelati, le mettono in grave difficoltà.
Come tutto questo ci porta, finalmente, ad Assange?
Come è noto a tutti, il giornalista australiano ha fondato un sito, wikileaks (letteralmente, piccole fughe di notizie) che si caratterizza per la ricezione di documenti coperti da segreto che poi vengono pubblicati sul sito.
Non crediamo di dire nulla di strano se scriviamo che nel momento in cui si fa una cosa del genere, si commette un crimine e che nel momento in cui la cosa è sistematica, la reazione dello Stato sarà inevitabile.
Non è un giudizio morale, lo chiariamo ai tanti fan prontissimi a trasformarsi in hater se qualcuno mette in discussione il feticcio in questione. Dichiarare guerra ad un sistema di potere è un'azione meritoria se si ritiene di vivere in una tirannia: ne sanno qualcosa i tanti rivoluzionari che nella storia si sono ribellati al potere costituito, spesso pagandone conseguenze estreme ma contribuendo al cambiamento di interi paradigmi storici e politici. Lenin, Che Guevara, Garibaldi, Cavour, lo stesso Putin. Ma questi signori avevano una società in testa che invece, dalle tante dichiarazioni di Assange, non sono mai riuscito a capire. Messa la lente d'ingrandimento, vedo soltanto l'infantile idealismo di chi, di politica, pensando che esistano buoni e cattivi, mostra di averne sempre capito poco, tanto che non è nemmeno riuscito a cattivarsi l'amicizia del nemico numero uno degli USA, quel Putin infilato anche lui nei suoi dossier. Che poi questo signore goda del successo e dell'ammirazione di tanti dissidenti, spiega anche perché all'orizzonte non si vedano cambiamenti. I superuomini che le rivoluzioni le hanno fatte per davvero, sanno che una vera svolta richiede un'alternativa. Viceversa, a smutandare le vergogne del potere, per poi frignare di fronte all'inevitabile reazione, lungi dall'essere solo banali, ci si dimostra anche male informati.
Quando dico queste cose, la contestazione più comune è che Assange stesse facendo soltanto il suo dovere di giornalista, cioè dare notizie. Premesso che dopo due anni di monnezza e terrorismo pandemico, sulla moralità dei giornalisti ci sarebbe tanto da dire e che se qualcuno di questi divenisse pendaglio da forca, il mondo sarebbe un posto migliore; premesso che un giornalista non ha e non deve avere un compito diverso da quello di dare le notizie nei limiti previsti dall'ordinamento; premesso quanto sopra, Assange non si è limitato a dare notizie come un giornalista qualsiasi, ma ha pubblicato documenti protetti da segreto - contenenti nefandezze di tantissimi stati, forniti da gente che ha tradito il proprio paese - e violando una marea di leggi. Ed è bene ripetere che qui nessuno ha nulla in linea di principio contro la violazione delle sue leggi. A patto che si sia consapevoli che nel momento in cui si decide di violarle scientemente, non ci si può più appellare all'etica professionale. Si diventa semplicemente qualcos'altro. E non lo dico tanto per dire.
Chiunque mi conosca dal vivo, sa bene che durante la pandemia ho covato una tale rabbia che se in quel periodo fossi stato a conoscenza di movimenti seri tipo quelli dei partigiani durante il Ventennio, pronti a fare morti e feriti, mi ci sarei intruppato senza alcun tipo di ritegno e rimorso, pronto a sparare contro i covidioti. Questo lo chiarisco ai tanti che confondono la mia posizione critica su Assange, con una condanna giuridica o moralistica delle sue azioni: nulla di tutto questo. Tutto sta nella consapevolezza della gravità delle proprie azioni. Quando scientemente si violano le leggi di uno stato, di fatto dichiarandogli guerra, a maggior ragione se si denunciano fatti gravissimi di interesse pubblico, bisogna aspettarsi una reazione violenta, fino alle estreme conseguenze, mettendola in conto sin dall'inizio della propria azione. Ebbene, se questa azione fa parte di un disegno politico, gli anni di prigionia che questo tizio si è fatto ne testimoniano il fallimento. Anche perché, se avesse avuto un disegno, la prima cosa che avrebbe dovuto fare - o meglio, che io avrei fatto, ragionando politicamente - è cercare l'alleanza del nemico del suo nemico: la Russia. Invece ha attaccato pure Putin, giocandosi un alleato preziosissimo e desideroso di far sapere al mondo quanto gli Stati Uniti siano una fogna.
Se invece Assange ha costruito Wikileaks perché desideroso di costruire un mondo di agnelli innocenti, nell'illusione che l'onestà tornasse di moda, abbiamo di fronte un totale sprovveduto che, non conoscendo le regole più basilari della storia - da sempre costellata da omicidi di stato, ruberie, nefandezze - e della politica, da sempre sangue e merda, non ha per queste ragioni niente di diverso da un grillino in formato internazionale, del tutto sprovvisto di idee e disegni, ma ammantato di quella stessa ingenua convinzione - del tutto speculare alle fesserie russofobe - che il mondo si divida in buoni e cattivi e che sia possibile un mondo di pecorelle, sempre sotto scacco di una perpetua palingenesi morale, basato sulla trasparenza.
Questo certamente non mi ha fatto gioire per la sua detenzione ed anzi sono contento che lo abbiano liberato. Al limite, mi stranisce che lo abbiano scarcerato proprio ora, ma il vero perché non può saperlo nessuno. Può tanto essere un cedimento strutturale come ipotizza qualcuno - del tipo "la NATO sta crollando come è crollata l'URSS" - tanto una scelta dettata da una strategia politica, cioè per far apparire (parliamo di apparenza non di essenza, ovviamente) l'Occidente come un luogo dove tutto sommato certe persone vengono trattate in maniera umana oppure perché si sono resi conto che c'è un fronte di opinione forte che non ha gradito il trattamento che ha subito Assange. E possono essere vere anche tutte queste cose assieme senza bisogno che siano per forza oppositive. Ma certamente, se il suo compito era costruire un mondo migliore, possiamo dire con molta franchezza che il suo sia stato un fallimento totale.
La mancanza di una strategia, di una cultura storica e politica, in qualsiasi ambito si paga sempre. Ad un certo punto, proprio come i grillini, si è messo in un gioco troppo più grande di lui, pagandone le conseguenze.
Le malefatte del potere non sono figlie di gente che al mattino si sveglia grattandosi la testa e chiedendosi a chi fare del male, ma spesso servono proprio a garantire il Bene perseguito dal potere. E far ammalare le eccedenze di cittadini a cui non è in grado di badare o far abbattere le proprie torri da un aereo, o ancora far ammazzare magistrati e giornalisti, purtroppo rientra perfettamente nella fisiologia del potere, per taluni ne rappresenta una patologia, a patto però di indicare come si sarebbe potuto fare meglio, senza perigliare lo stato stesso.
Uno stato non è che il gruppo di persone più forte di un territorio, il cui "core business" è la tutela dei suoi consociati fino alle estreme conseguenze, e non ha altri doveri se non quelli connaturati alla propria sopravvivenza, in nome della quale, a volte, compie anche azioni moralmente riprovevoli: depredare altri stati, impegnarsi in commerci illegali, spiare alleati, compiere attentati e persino autoattentati. Non è niente che sia stato inventato dagli Stati Uniti, al contrario viene dagli scritti di Machiavelli quando in America ancora si ballava con i lupi. La cosa si complica ancor di più nelle democrazie che, vivendo nel costante iato tra un'apparenza pecorellesca e una sostanza lupesca - come nella pallanuoto, che in apparenza sembra uno sport pacifico mentre sott'acqua si scatena una vera guerra violentissima - ben presto accumulano industriali quantità di segreti inconfessabili (ai moralisti) che, una volta svelati, le mettono in grave difficoltà.
Come tutto questo ci porta, finalmente, ad Assange?
Come è noto a tutti, il giornalista australiano ha fondato un sito, wikileaks (letteralmente, piccole fughe di notizie) che si caratterizza per la ricezione di documenti coperti da segreto che poi vengono pubblicati sul sito.
Non crediamo di dire nulla di strano se scriviamo che nel momento in cui si fa una cosa del genere, si commette un crimine e che nel momento in cui la cosa è sistematica, la reazione dello Stato sarà inevitabile.
Non è un giudizio morale, lo chiariamo ai tanti fan prontissimi a trasformarsi in hater se qualcuno mette in discussione il feticcio in questione. Dichiarare guerra ad un sistema di potere è un'azione meritoria se si ritiene di vivere in una tirannia: ne sanno qualcosa i tanti rivoluzionari che nella storia si sono ribellati al potere costituito, spesso pagandone conseguenze estreme ma contribuendo al cambiamento di interi paradigmi storici e politici. Lenin, Che Guevara, Garibaldi, Cavour, lo stesso Putin. Ma questi signori avevano una società in testa che invece, dalle tante dichiarazioni di Assange, non sono mai riuscito a capire. Messa la lente d'ingrandimento, vedo soltanto l'infantile idealismo di chi, di politica, pensando che esistano buoni e cattivi, mostra di averne sempre capito poco, tanto che non è nemmeno riuscito a cattivarsi l'amicizia del nemico numero uno degli USA, quel Putin infilato anche lui nei suoi dossier. Che poi questo signore goda del successo e dell'ammirazione di tanti dissidenti, spiega anche perché all'orizzonte non si vedano cambiamenti. I superuomini che le rivoluzioni le hanno fatte per davvero, sanno che una vera svolta richiede un'alternativa. Viceversa, a smutandare le vergogne del potere, per poi frignare di fronte all'inevitabile reazione, lungi dall'essere solo banali, ci si dimostra anche male informati.
Quando dico queste cose, la contestazione più comune è che Assange stesse facendo soltanto il suo dovere di giornalista, cioè dare notizie. Premesso che dopo due anni di monnezza e terrorismo pandemico, sulla moralità dei giornalisti ci sarebbe tanto da dire e che se qualcuno di questi divenisse pendaglio da forca, il mondo sarebbe un posto migliore; premesso che un giornalista non ha e non deve avere un compito diverso da quello di dare le notizie nei limiti previsti dall'ordinamento; premesso quanto sopra, Assange non si è limitato a dare notizie come un giornalista qualsiasi, ma ha pubblicato documenti protetti da segreto - contenenti nefandezze di tantissimi stati, forniti da gente che ha tradito il proprio paese - e violando una marea di leggi. Ed è bene ripetere che qui nessuno ha nulla in linea di principio contro la violazione delle sue leggi. A patto che si sia consapevoli che nel momento in cui si decide di violarle scientemente, non ci si può più appellare all'etica professionale. Si diventa semplicemente qualcos'altro. E non lo dico tanto per dire.
Chiunque mi conosca dal vivo, sa bene che durante la pandemia ho covato una tale rabbia che se in quel periodo fossi stato a conoscenza di movimenti seri tipo quelli dei partigiani durante il Ventennio, pronti a fare morti e feriti, mi ci sarei intruppato senza alcun tipo di ritegno e rimorso, pronto a sparare contro i covidioti. Questo lo chiarisco ai tanti che confondono la mia posizione critica su Assange, con una condanna giuridica o moralistica delle sue azioni: nulla di tutto questo. Tutto sta nella consapevolezza della gravità delle proprie azioni. Quando scientemente si violano le leggi di uno stato, di fatto dichiarandogli guerra, a maggior ragione se si denunciano fatti gravissimi di interesse pubblico, bisogna aspettarsi una reazione violenta, fino alle estreme conseguenze, mettendola in conto sin dall'inizio della propria azione. Ebbene, se questa azione fa parte di un disegno politico, gli anni di prigionia che questo tizio si è fatto ne testimoniano il fallimento. Anche perché, se avesse avuto un disegno, la prima cosa che avrebbe dovuto fare - o meglio, che io avrei fatto, ragionando politicamente - è cercare l'alleanza del nemico del suo nemico: la Russia. Invece ha attaccato pure Putin, giocandosi un alleato preziosissimo e desideroso di far sapere al mondo quanto gli Stati Uniti siano una fogna.
Se invece Assange ha costruito Wikileaks perché desideroso di costruire un mondo di agnelli innocenti, nell'illusione che l'onestà tornasse di moda, abbiamo di fronte un totale sprovveduto che, non conoscendo le regole più basilari della storia - da sempre costellata da omicidi di stato, ruberie, nefandezze - e della politica, da sempre sangue e merda, non ha per queste ragioni niente di diverso da un grillino in formato internazionale, del tutto sprovvisto di idee e disegni, ma ammantato di quella stessa ingenua convinzione - del tutto speculare alle fesserie russofobe - che il mondo si divida in buoni e cattivi e che sia possibile un mondo di pecorelle, sempre sotto scacco di una perpetua palingenesi morale, basato sulla trasparenza.
Questo certamente non mi ha fatto gioire per la sua detenzione ed anzi sono contento che lo abbiano liberato. Al limite, mi stranisce che lo abbiano scarcerato proprio ora, ma il vero perché non può saperlo nessuno. Può tanto essere un cedimento strutturale come ipotizza qualcuno - del tipo "la NATO sta crollando come è crollata l'URSS" - tanto una scelta dettata da una strategia politica, cioè per far apparire (parliamo di apparenza non di essenza, ovviamente) l'Occidente come un luogo dove tutto sommato certe persone vengono trattate in maniera umana oppure perché si sono resi conto che c'è un fronte di opinione forte che non ha gradito il trattamento che ha subito Assange. E possono essere vere anche tutte queste cose assieme senza bisogno che siano per forza oppositive. Ma certamente, se il suo compito era costruire un mondo migliore, possiamo dire con molta franchezza che il suo sia stato un fallimento totale.
La mancanza di una strategia, di una cultura storica e politica, in qualsiasi ambito si paga sempre. Ad un certo punto, proprio come i grillini, si è messo in un gioco troppo più grande di lui, pagandone le conseguenze.
Eroe forse, sprovveduto sicuramente. E voi andreste a fare la guerra con uno sprovveduto?
Franco Marino
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