Prima di iniziare questo articolo, devo confessare - a chi non mi conoscesse personalmente, a chi non abbia letto quelle pillole biografiche con cui ho infarcito qualche mio articolo o post (e che alcuni gradiscono e altri no) - che ho un pessimo ricordo del periodo scolastico e che questo potrebbe vulnerare la credibilità delle mie riflessioni. Non che andassi male, tutt'altro - alla fine me ne sono uscito dal mio liceo classico con un dignitosissimo 83/100 - ma avevo la tendenza ad avere pessimi rapporti con i miei compagni di classe, aggravati dalla sensazione - che io, per la verità, non facevo nulla per nascondere - di sentirmi umanamente se non di gran lunga superiore a loro, compagni e professori compresi, quanto meno diverso. Il motivo è molto semplice: ho sempre cercato di tenermi lontanissimo da quella che presumevo essere la massa, la mediocrità, di non confondermi con cose che non mi piacevano solo per spirito di gruppo. Di alcuni compagni ho un ottimo ricordo, penso a Tina poi diventata un'eccellente insegnante di latino e greco, Sebastiano, ragazzo pulito e sincero, finito a fare l'attivista in qualche paese sperduto del mondo che manco so più, Emanuele un ottimo cardiochirurgo, Fabio un accanito no green pass come me. Di alcuni professori ho un eccellente ricordo sul piano umano: penso, ad esempio, con grande piacere e affetto, alla mia straordinaria professoressa di italiano, latino, greco, storia e geografia del ginnasio, alla mia professoressa di italiano del primo liceo, il mio professore di filosofia che dismessi i panni del prof. veniva a giocare a calcetto con noi. Su tutto il resto, citando Checco Zalone, "stendiamo un pelo venoso".
Col tempo imparai ad assolvere sia i professori che i miei compagni di classe e per una ragione semplicissima: la scuola punta dichiaratamente all'ignoranza e alla mediocrità. E se era così alla fine degli anni Novanta quando ero studente liceale, le cronache che mi giungono da tanti insegnanti, dicono che la situazione è gravemente peggiorata.
Lo spunto di questa riflessione è offerto dalla gaffe di Sangiuliano che è stata da tutti "celebrata" come l'epitome dell'ignoranza diffusa della destra. In realtà chiunque abbia avuto modo di leggere/ascoltare/vedere intellettuali e politici di sinistra all'opera, si rende conto che di caprineria ce n'è in sovrabbondanza anche lì. Perché l'ignoranza non è, come è ovvio che sia, esclusiva di un singolo partito.

Il grosso problema della scuola è nello iato che c'è tra cosa dice di essere - un'istituzione che teoricamente dovrebbe migliorare il livello culturale delle persone - e ciò che, nei fatti è. E questo iato riflette la società italiana che, essendo parte di un sistema palesemente statalistico, non punta ad instradare gli allievi in un tipo di società dove, come dicono gli anglofoni, "your best is not enough", il tuo meglio non è sufficiente, e dove quindi si è stimolati a raggiungere l'eccellenza, bensì fabbricare veri e propri funzionari di Stato, il cui unico obiettivo è guadagnarsi la pagnotta.
La scuola, così, come è ovvio che sia, attacca il carro dove vuole il padrone. Se, salvo qualche idealista che concepisce il proprio mestiere come una missione, gli italiani vogliono entrare in massa nel corpaccione del Leviatano per avere l'ebbrezza di avere a fine mese lo stipendio accreditato in banca e in nome di questo obiettivo i genitori aggrediscono gli insegnanti che ostacolano questo percorso, per quale ragione questi ultimi che tanto, che il prezioso pargoletto finisca per riempire la vita pubblica di ignoranza oppure no, lo stipendio lo pigliano lo stesso, dovrebbero mettersi di traverso?
Avete voluto il Sessantotto? Il sei politico? Le lauree di gruppo? La fantasia al potere? La promozione facile? Avete voluto ridurre lo studio di materie come la filosofia e la letteratura ad antologie riassuntive senza pretendere che gli studenti leggessero le principali opere di filosofi e letterati? Avete svirilizzato il liceo classico abolendo le versioni dall'italiano al latino e al greco come si faceva un tempo? Ecco il risultato. Che, come è evidente, si struttura su una generale ignoranza che sarebbe ingeneroso e disonesto attribuire ad una singola persona e solo per fini politici, anche perché, ormai, in TV non passa giorno che non si vedano bischerate di ogni guisa, che quelle di Sangiuliano francamente paiono davvero poca roba. In questo paese abbiamo avuto la Fedeli, la ministra dell'istruzione "più migliore" della storia d'Italia, Di Maio che confondeva il Cile col Venezuela, il grillino che crede alle sirene e io dovrei scandalizzarmi per Sangiuliano che non sa se è nato prima Colombo o Galilei? Ma seriamente?

Sì, certo, non sapere una cosa del genere non è certo onorevole, specialmente per chi amministra la Cultura del nostro paese, come non è onorevole recensire libri senza leggerli. Ma in questo ambito, gigli di campo non ce ne sono e la sinistra che chiede, in massa, le sue dimissioni, francamente è ormai incommentabile. Ma che poi, se anche il ministro si dimettesse, avremmo il classico "Scarta fruscio e piglia primmera" per dirla con i concittadini miei (che poi sono anche quelli di Sangiuliano) cioè si cadrebbe dalla padella alla brace. E quanto alle recensioni di libri non lette, Marco Travaglio, in merito, ha fatto tanta satira su Alain Elkann, idolo della sinistra radical chic.
Il fatto che, secondo la pubblicistica, l'ignorante di destra tenda più a ruttare e scorreggiare e quello di sinistra più a sbagliare citazioni e atteggiarsi col latinorum, non cambia la sostanza.
Perché se c'è una cosa che è bipartisan in Italia è l'ignoranza. Una studiata, ricercata, voluta, ignoranza.
La cultura rende liberi. E lo Stato non vuole uomini liberi, capaci di ragionare, di mettere in dubbio le verità precostituite ma soltanto funzionari di regime che obbediscano agli ordini.


Franco Marino


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Ho fatto gli esami di seconda elementare per accedere alla terza, poi un esame per entrare in 'quinta preparatoria' (per accedere ad un istituto privato), poi esami di ammissione alla terza media, poi esami di terza media, poi esami in 2a ginnasio per accedere ai 3 anni di liceo classico, poi esami di maturità quando ti interrogavano su tutte le materie degli ultimi 3 anni, poi università con esami semestrali (che se fallivi dovevi ripeterli dopo sei mesi) ed esami che facevano 'blocco " (se non li superavi non potevi dare gli altri). I 'fuori corso' erano numerosissimi me compresa tant'é che laurearsi negli anni previsti era un ' impresa titanica che riusciva a pochi, di solito i meno abbienti che non si potevano permettere di restare a lungo studenti o che avevano borse di studio. Il biennio di ingegneria era una 'strage degli innocenti'. Si cominciò a cambiare perché era scuola "nozionistica che non informava sul mondo in evoluzione". Vero, anch'io non avrei saputo se fosse nato prima il Colombo con la Nina la Pinta e la Santa Maria o il Galileo col lampadario del Duomo di Pisa, ma...ad ogni esame passato ci sentivamo supereroi pronti a combattere la vita e le sue sfide.
 
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Sono totalmente d'accordo con te. Anche io, spirito ribelle ed anticonformista, ho sempre sofferto il liceo, con annessa fabbrica di nozionismo, nonostante il mio voto più che egregio conseguito alla maturità ( 90/100). Quanto ai miei compagni: una manica di mediocri e/o falliti, ignoranti e raccomandati, la cui massima aspirazione era appunto essere mantenuti a spese della collettività, cosa puntualmente avvenuta , dal momento che sono quasi tutti imboscati o al comune oppure nella scuola. Dei professori: transeamus. Il più originale ha conseguito due lauree e lavora con passione nella finanza: il sottoscritto.
 

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