Uno dei tanti motivi per cui non seguo la cronaca nera - salvo quando questa non invada ogni mezzo di comunicazione di cui fruisco e mi obblighi a seguirla - è che da tempo sospetto che serva, nella migliore delle ipotesi, ai mezzi di comunicazione per poter lucrare sulle disgrazie umane, e, nella peggiore, alle classi dirigenti per creare nuove emergenze ed imporre nuove limitazioni della libertà personale.
Per come la vedo io, l'unica difesa è sapere che non c'è niente di sociologico che possa emergere da un delitto, che ognuno di questi crimini è un caso a sé e che chi decide di togliere la vita ad un'altra persona, salvo che non lo faccia per legittima difesa o nel pietosissimo caso in cui voglia porre fine alle sue sofferenze perché gravemente malata, si mette da solo fuori dal consesso delle persone civili meritevoli di analisi sociologiche.
Lo spunto giunge dalla pubblicazione dei verbali nei quali Turetta confessa le motivazioni dell'omicidio di Giulia Cecchettin, uccisa perché lei avrebbe deciso di lasciarlo in quanto lo avrebbe visto "troppo dipendente da lui".
Così, mentre i giornali pullulano di opinionisti che dicono la qualunque su questa ed altre simili vicende, l'unica arma di difesa è dire molto semplicemente: non c'è niente di socioantropologico in questo come in altri delitti e Filippo Turetta è solo uno squilibrato. Ma perché?
Se passa il messaggio che davanti ad un torto subito un essere umano sia autorizzato ad uccidere, avremmo milioni di omicidi all'anno. Viceversa, qualsiasi essere umano che abbia raggiunto una certa età, si abitua ben presto alla cattiveria e alla superficialità della gente e impara a gestirla. Se così non fosse, il mondo pullulerebbe di delitti a sfondo passionale che, invece, checché ne dica la propaganda, rimangono fortissimamente ridotti.
Qualsiasi organismo pluricellulare di sesso maschile si fa un robustissimo callo davanti ad una donna che non ricambia in toto o in parte i suoi sentimenti e, se è una persona normale, sa che quando avviene ciò, l'unica possibilità di poter farle cambiare idea è sapere che ci sta per perdere, andandosene. Se è davvero innamorata, ci verrà dietro, se non ci verrà dietro non è innamorata. Viceversa, nel momento in cui si compie l'insano gesto di ammazzare il prossimo - oppure, senza arrivare a questi estremi, gli rendiamo la vita difficile - non c'è nessuna motivazione psicologica, sociologica o antropologica che si possa addurre e si entra nel campo minato della psichiatria. Senza mettere in mezzo cose che non c'entrano nulla, tipo contesti sociali, il ruolo della donna, la violenza del maschio e scioccherie varie.
Quando ci fu il parricidio di Erika che accoltellò a morte la madre e il fratellino con la complicità di Omar e quello in cui Pietro Maso uccise i genitori a sprangate, assieme ai suoi amici, i giornali si riempirono di considerazioni di carattere sociologico che investivano il presunto "eccesso di benessere" dei loro borghi natii, titillando così l'invidia sociale, dimenticando che se quella fosse stata davvero la causa di quei delitti, in ciascuno di quei comuni avremmo avuto cento omicidi annui prima e dopo, oltre ad averli in altri posti simili, fino ad arrivare allo scioglimento per "spopolamento omicidiario". E invece tanto a Novi Ligure (paese di Erika e Omar) quanto a Montecchia di Crosara (paese di Pietro Maso) quegli orrendi delitti non avevano precedenti e, grazie a Dio, non ebbero seguiti. Ci fosse stato uno che semplicemente avesse detto "Pietro Maso ed Erika De Nardo sono, a seconda dei punti di vista, o dei pezzi di merda o dei pazzi psicopatici, è vigliacco prendersela con lo stile di vita della gente del posto". Ci fosse stato qualcuno che avesse citato i tanti parricidi, uxoricidi, femminicidi avvenuti in realtà povere e disagiate ma di cui la stampa non parlava minimamente. Come pure ci fosse stato qualcuno che, dinnanzi al baccano del caso Cecchettin, avesse cercato di dire quanti individui di sesso maschile sono vittime di violenze da parte dell'altro sesso, quanti "maschicidi" avvengono ogni anno nel silenzio generale dei media.
Ma se qualcuno opponesse queste obiezioni di fronte all'imperativo linguaggio delle televisioni e delle piccole e grandi stampe, si dovrebbe scontrare con una lobby di opinionisti senza arte né parte, criminologi, imbrattacarte, scribacchini, psichiatri mediatici, preti più o meno spogliati ed altri cicisbei del nulla che pure devono mettere il piatto a tavola o farsi qualche condono, sperando di rientrare nel piano salvacasa. E che certamente non gradirebbero di vedersi tolto lo stipendio.
Non c'è davvero altro di utile da dire sulla vicenda di Turetta. Non stiamo parlando del delitto della povera Simonetta Cesaroni o di Lidia Macchi, ancora irrisolti. E' un caso chiuso e strachiuso che vede la banalità del male di un ragazzo che ha ucciso una ragazza che non lo voleva, mentre milioni di esseri umani al mondo, ogni giorno, sperimentano il dolore di un/una compagno/a che non li vuole, che non li vuole più, che li vogliono molto meno, senza con questo vessarli o finanche ammazzarli. Filippo Turetta non è un uomo da "rieducare" o da "capire", ma semplicemente da consegnare ad un bravo psichiatra che sia in grado - auguri a lui - di capire le cause che portano il cervello umano di un individuo a fare cose così orrende. E che possibilmente tale analisi si svolga nelle patrie galere.
Ad essere degni di analisi sono, semmai, il gran baccano fatto su questa storia, il ruolo dei familiari della vittima, dei media che hanno tentato, violando i più elementari princìpi del diritto penale, della logica e del buonsenso, di estendere al maschio bianco italico la responsabilità di un delitto singolo, con un responsabile già ben delineato.
Personalmente, mi ha preoccupato molto di più apprendere dell'esistenza di un'umanità così squallida che ha tentato in tutti i modi di politicizzare la vicenda, rispetto alla possibilità - una su centomila - che una donna possa incontrare in giro un assassino. Per Turetta si sono aperte le porte del carcere che, presumibilmente, si schiuderanno non prima di 25-30 anni.
Per come la vedo io, l'unica difesa è sapere che non c'è niente di sociologico che possa emergere da un delitto, che ognuno di questi crimini è un caso a sé e che chi decide di togliere la vita ad un'altra persona, salvo che non lo faccia per legittima difesa o nel pietosissimo caso in cui voglia porre fine alle sue sofferenze perché gravemente malata, si mette da solo fuori dal consesso delle persone civili meritevoli di analisi sociologiche.
Lo spunto giunge dalla pubblicazione dei verbali nei quali Turetta confessa le motivazioni dell'omicidio di Giulia Cecchettin, uccisa perché lei avrebbe deciso di lasciarlo in quanto lo avrebbe visto "troppo dipendente da lui".
Così, mentre i giornali pullulano di opinionisti che dicono la qualunque su questa ed altre simili vicende, l'unica arma di difesa è dire molto semplicemente: non c'è niente di socioantropologico in questo come in altri delitti e Filippo Turetta è solo uno squilibrato. Ma perché?
Se passa il messaggio che davanti ad un torto subito un essere umano sia autorizzato ad uccidere, avremmo milioni di omicidi all'anno. Viceversa, qualsiasi essere umano che abbia raggiunto una certa età, si abitua ben presto alla cattiveria e alla superficialità della gente e impara a gestirla. Se così non fosse, il mondo pullulerebbe di delitti a sfondo passionale che, invece, checché ne dica la propaganda, rimangono fortissimamente ridotti.
Qualsiasi organismo pluricellulare di sesso maschile si fa un robustissimo callo davanti ad una donna che non ricambia in toto o in parte i suoi sentimenti e, se è una persona normale, sa che quando avviene ciò, l'unica possibilità di poter farle cambiare idea è sapere che ci sta per perdere, andandosene. Se è davvero innamorata, ci verrà dietro, se non ci verrà dietro non è innamorata. Viceversa, nel momento in cui si compie l'insano gesto di ammazzare il prossimo - oppure, senza arrivare a questi estremi, gli rendiamo la vita difficile - non c'è nessuna motivazione psicologica, sociologica o antropologica che si possa addurre e si entra nel campo minato della psichiatria. Senza mettere in mezzo cose che non c'entrano nulla, tipo contesti sociali, il ruolo della donna, la violenza del maschio e scioccherie varie.
Quando ci fu il parricidio di Erika che accoltellò a morte la madre e il fratellino con la complicità di Omar e quello in cui Pietro Maso uccise i genitori a sprangate, assieme ai suoi amici, i giornali si riempirono di considerazioni di carattere sociologico che investivano il presunto "eccesso di benessere" dei loro borghi natii, titillando così l'invidia sociale, dimenticando che se quella fosse stata davvero la causa di quei delitti, in ciascuno di quei comuni avremmo avuto cento omicidi annui prima e dopo, oltre ad averli in altri posti simili, fino ad arrivare allo scioglimento per "spopolamento omicidiario". E invece tanto a Novi Ligure (paese di Erika e Omar) quanto a Montecchia di Crosara (paese di Pietro Maso) quegli orrendi delitti non avevano precedenti e, grazie a Dio, non ebbero seguiti. Ci fosse stato uno che semplicemente avesse detto "Pietro Maso ed Erika De Nardo sono, a seconda dei punti di vista, o dei pezzi di merda o dei pazzi psicopatici, è vigliacco prendersela con lo stile di vita della gente del posto". Ci fosse stato qualcuno che avesse citato i tanti parricidi, uxoricidi, femminicidi avvenuti in realtà povere e disagiate ma di cui la stampa non parlava minimamente. Come pure ci fosse stato qualcuno che, dinnanzi al baccano del caso Cecchettin, avesse cercato di dire quanti individui di sesso maschile sono vittime di violenze da parte dell'altro sesso, quanti "maschicidi" avvengono ogni anno nel silenzio generale dei media.
Ma se qualcuno opponesse queste obiezioni di fronte all'imperativo linguaggio delle televisioni e delle piccole e grandi stampe, si dovrebbe scontrare con una lobby di opinionisti senza arte né parte, criminologi, imbrattacarte, scribacchini, psichiatri mediatici, preti più o meno spogliati ed altri cicisbei del nulla che pure devono mettere il piatto a tavola o farsi qualche condono, sperando di rientrare nel piano salvacasa. E che certamente non gradirebbero di vedersi tolto lo stipendio.
Non c'è davvero altro di utile da dire sulla vicenda di Turetta. Non stiamo parlando del delitto della povera Simonetta Cesaroni o di Lidia Macchi, ancora irrisolti. E' un caso chiuso e strachiuso che vede la banalità del male di un ragazzo che ha ucciso una ragazza che non lo voleva, mentre milioni di esseri umani al mondo, ogni giorno, sperimentano il dolore di un/una compagno/a che non li vuole, che non li vuole più, che li vogliono molto meno, senza con questo vessarli o finanche ammazzarli. Filippo Turetta non è un uomo da "rieducare" o da "capire", ma semplicemente da consegnare ad un bravo psichiatra che sia in grado - auguri a lui - di capire le cause che portano il cervello umano di un individuo a fare cose così orrende. E che possibilmente tale analisi si svolga nelle patrie galere.
Ad essere degni di analisi sono, semmai, il gran baccano fatto su questa storia, il ruolo dei familiari della vittima, dei media che hanno tentato, violando i più elementari princìpi del diritto penale, della logica e del buonsenso, di estendere al maschio bianco italico la responsabilità di un delitto singolo, con un responsabile già ben delineato.
Personalmente, mi ha preoccupato molto di più apprendere dell'esistenza di un'umanità così squallida che ha tentato in tutti i modi di politicizzare la vicenda, rispetto alla possibilità - una su centomila - che una donna possa incontrare in giro un assassino. Per Turetta si sono aperte le porte del carcere che, presumibilmente, si schiuderanno non prima di 25-30 anni.
Questa umanità, invece, ce la ritroviamo ancora, ogni giorno, addosso.
Franco Marino
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