Nel corso degli ultimi anni svariate figure della Chiesa sono finite nel mirino di Papa Francesco per vari motivi. Per il solito - come spesso accade quando parliamo di dissenso, dove non è facile distinguere il grano dal loglio - si tratta di cialtroni o di personaggi venuti fuori dallo sciocchezzaio social che ha generato una sacca di dissidenti nella quale, tra suore e preti spogliati, pseudointellettuali che si autodefiniscono "gestori della tradizione", si infila una marea di personaggi alquanto discutibili.
Monsignor Viganò certamente non appartiene a questa ciurma: nominato arcivescovo nel 1992 da Giovanni Paolo II, ha avuto ruoli di primaria importanza e soprattutto è un raffinatissimo intellettuale, di quelli che, quando parlano, non solo non lo fanno mai a casaccio ma soprattutto trovano il modo di farsi ascoltare. Ma prima di capire il perché di questa convocazione - che, come i vaticanisti sostengono, è l'anticamera di una scomunica - bisogna per forza di cose chiarire in che contesto si radica questo scontro che può preludere ad uno scisma.

Il cristianesimo si fonda sui Vangeli, cioè su testi vergati da quattro evangelisti incentrati sulla vita e sulle opere di Cristo, che tuttavia sarebbero rimasti lettera morta - e probabilmente sarebbero stati anche distrutti - se non fossero stati raccolti da un'istituzione in grado di imporsi nella vita pubblica, di costituire, per molti secoli, una potenza geopolitica e anche militare, ma soprattutto di resistere - come pure è avvenuto all'inizio della sua storia - alle aggressioni di imperi e tirannie in spazi e tempi in cui questo potere non c'era. Questa istituzione si chiama Chiesa, il cui scopo è amministrare la dottrina cristiana al fine di evitare che essa finisca nelle mani di un'infinità di capi e capetti locali che possano snaturarne il senso, come avviene invece - costante di qualsiasi organizzazione orizzontalistica - nell'ebraismo e nell'Islam.
Questo preambolo è necessario per chiarire che la Chiesa, prima ancora che essere l'epicentro della predicazione e della pratica cristiana, è un organismo politico e che il discendente di turno di Pietro, prima ancora che essere il Vicario di Cristo in terra, è un capo politico a tutti gli effetti, il cui compito è di difendere l'istituzione di cui è a capo. E, come del resto avviene anche nella politica che investe gli altri stati, anche quelle che sembrano lotte ideologiche, spesso nascondono pure e semplici logiche di potere.
In questo senso, anche il dibattito tra tradizionalisti - cioè coloro che trovano mortifera per la Chiesa la svolta del concilio vaticano II (ignorandone l'inevitabilità) - e modernisti, è stucchevole proprio per la pretesa che esso investa alti principi morali. In realtà, la questione è meramente politica. La Chiesa è sotto attacco da parte di un Occidente desideroso di spogliarla di tutto il suo patrimonio, di svuotare le sue banche, e di farla apparire nella migliore delle ipotesi come un'organizzazione basata su principi anacronistici e, nella peggiore, come una mafia governata e frequentata da malati di mente, sessualmente repressi e pedofili. Se esistesse ancora lo Stato Pontificio e questi godesse dell'appoggio dell'Occidente, chiunque cercasse di snaturare la Chiesa finirebbe sul rogo. Ma oggi che questo stato non c'è e che il Vaticano che ne è l'erede non ha più questo potere, è inevitabile che tutti i suoi oppositori abbiano campo aperto. Dunque l'atteggiamento di un papa non può che essere quello di Papa Francesco, cioè di cercare di seguire la corrente: perché se il prossimo papa si richiamasse a principi preconciliari, le forze che oggi gestiscono il consenso dell'opinione pubblica non esiterebbero a ripartire in quarta con le calunnie e le diffamazioni contro la Chiesa. Dopodiché, non c'è dubbio che, sul piano dottrinale, i Viganò, i Lefebvre, i Don Curzio, appaiano molto più vicini alla Tradizione della media di un prete o di una suora di oggi. La vera questione è che se un papa, oggi, seguisse quell'orientamento verrebbe rapidamente fatto fuori dai tantissimi nemici che la Chiesa oggi ha, dentro e fuori.
I tradizionalisti sembrano non capire che l'abbraccio tra politica e religione funziona ad una condizione: una polizia in grado di prelevare chi dissente e di bruciarlo vivo come avveniva con gli eretici del passato. E' chiaro che se la chiesa ortodossa russa e Putin decidono di suonare la vecchia musica, la cosa potrà funzionare e così avremo le leggi contro la propaganda gay. Bisogna però che tutti coloro che suonano una musica diversa finiscano "casualmente" in un campo di lavoro oppure che tendano a morire ammazzati, altrimenti non solo il tradizionalismo non funziona in una società che, a parole, rimpiange un passato dove c'era il delitto d'onore e la potestà maritale ma che, nei fatti, si gode i frutti del progresso, ma di fatto l'abbraccio tra politica e religione è mortale proprio per la religione stessa.

Viganò non si rende conto - o meglio, se ne rende conto benissimo ma non gli interessa nulla - che la sua non è una battaglia contro una corrente filosofica o teologica ma al capo di una struttura robustissima che ha resistito ad urti violentissimi proprio perché ha saputo farsi concava e convessa a seconda del momento storico in cui viveva e che la perdita del potere temporale ha reso ancor più necessaria questa capacità di saper dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Oggi che il potere ce l'hanno i progressisti e che costoro hanno agganci praticamente ovunque, persino all'interno del clero stesso, Papa Francesco - che ci può essere antipatico per tantissime e validissime ragioni che non abbiamo mai mancato di far presente, a partire dal suo eloquio da venditore di pentole e tappeti, passando per la sua antipatia umana celata da un'apparente mediaticità e per la sua capacità di piacere al peggio del becerume progressista, fino ad arrivare alle sue numerosissime ombre personali e "professionali" - come ogni capo politico, ha molto meno potere di quanto si creda e ogni sua decisione non è figlia degli umorali voleri del momento ma delle contingenze storiche e politiche. E' il massimo responsabile di un'istituzione che ha resistito a duemila anni di tempeste, che ha fatto tante cose, buone e meno buone, e che non può permettersi oppositori di alcun tipo, nemmeno se questi sono in buonafede e hanno, come Viganò - ma come anche Lefebvre - più di una valida giustificazione di origine teologica per poter criticarne l'operato. Perché il vero punto non è se abbia teologicamente ragione l'arcivescovo varesino nel ritenere Papa Francesco un violentatore della dottrina cristiana, ma se oggi la Chiesa possa permettersi un capo come Viganò. La questione è tutta lì.
Senza un'istituzione in grado di diffondere il messaggio di Cristo, di un falegname che faceva i miracoli e che proclamava la fratellanza universale oggi noi non sapremmo nemmeno l'esistenza. Se si distrugge la Chiesa, si distrugge Cristo.
Se poi Viganò pensa di avere la forza sufficiente di crearsi una nuova chiesa basata sui suoi principi e di resistere alle calunnie, alle diffamazioni, ai processi dei media, non possiamo che dirgli buona fortuna: ne avrà bisogno.


Franco Marino


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M
Non si muove foglia che Dio non voglia. Noi esseri umani possiamo capire qualche frammento di ciò che accade e, nei limiti della nostra visione, possiamo vigilare su ciò che è tradizionale e su ciò che non lo è, sforzandoci sempre di seguire non la nostra volontà, ma quella di Dio.

Gesù, nel Getsemani, ha chiesto se potesse evitare di bere "l'amaro calice", ma ha poi precisato: "non la mia, ma la Tua volontà".
Questo atteggiamento, io credo, dobbiamo averlo su tutto, proprio perché non abbiamo una lungimiranza divina. Possiamo muoverci su ispirazione di Dio, ma non vedere l'intero disegno.
 
Monsignor Viganò - al pari di un San Benedetto o di un San Francesco, anche loro "dissidenti" in epoche complesse - è un gigante della Chiesa, modello (basti pensare al suo "non bisogna credere che il governo di uno Stato voglia necessariamente il bene dei cittadini") anche per non credenti o fedeli di altre religioni.
Il Pampero biancovestito, invece, resta un 🐷 corrotto.
 
Non sono affatto d'accordo che senza un' istituzione i Vangeli sarebbero rimasti opera morta, al contrario sono vivi e vegeti perché la chiesa non è e non può essere un edificio o una struttura politico-sociale, la Chiesa siamo noi, è questo il punto centrale del cristianesimo. Concordo che Viganò è perfettamente consapevole di quello che dice e fa e che è troppo scomodo e debole per non essere "espulso". Personalmente, a Francesco riconosco un unico merito: aver fatto aprire gli occhi a molti credenti, c'è una fuga in massa dalla chiesa cattolica verso le chiese protestanti, che pur con le loro pecche, si basano sulla sostanza del Vangelo.
 
Guarda, il problema è che Papa Francesco ha compiuto dei gesti talmente GRAVI (la famosa sceneggiata a Pzza San Pietro vuota ai tempi della Farsemia un esempio tra tanti) da far oggettivamente pensare che dietro il suo operato vi sia puzza di zolfo e l'ispirazione di Quello del Piano di Sotto. Se questa è la Chiesa di Roma, che celebra la Messa con la mascherina e l'amuchina nelle acquasantiere in ossequio ai diktat di Pfizer, dell'OMS e dei capetti "dem" di Washington, che muoia davvero Sansone con tutti i Filistei.
 
Questa Chiesa non mi ha mai rappresentata e soprattutto non ha nulla a che vedere con la Fede
 
Pur convenendo con te sul carattere esclusivamente politico dell’operato di Bergoglio, mi viene fatto di pensare che non riuscirà , con i suoi sistemi a salvare l’istituzione Chiesa, da cui, mi consta, tantissimi si stanno allontanando. Se ne deduce che la sua politica leva la speranza a chi vi si rifugia spiritualmente e perde il suo ruolo carismatico
 

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