Un amico magistrato nonché lettore di questo spazio da diversi anni, essendo una persona di riservatezza pari almeno alla sua importanza, non ha mai voluto commentare pubblicamente i miei articoli. Così spesso li commenta su Whatsapp e nascono conversazioni che non di rado durano ore, dove parliamo praticamente di tutto. Fortemente critico nei confronti della magistratura, dunque del corpo a cui appartiene, tra le cose che, spesso in via confidenziale, mi ha detto, mi colpisce la ricorrenza di una sua affermazione: "faccio sempre una gran fatica a ricordare a molti miei colleghi che noi siamo soltanto magistrati e basta". E in effetti molti suoi colleghi se lo scordano. Da quando Mani Pulite ha travolto la politica italiana, i magistrati ce li ritroviamo ovunque e sono stati investiti del ruolo di salvatori della patria, di uomini della Provvidenza, di cui - come era inevitabile che fosse - da un certo momento in poi hanno iniziato ad abusare.
Questo certamente non toglie che molti di loro siano dei galantuomini e persone capaci nel loro mestiere e non c'è dubbio che Nicola Gratteri rientri in questo identikit. D'altra parte, un uomo che vive da trent'anni sotto scorta, deve per forza di cose aver fatto talmente bene il proprio mestiere, da aver pestato i piedi a qualcuno di molto pericoloso. Questo non significa che si debba condividere ogni cosa che dice e che fa.
Un giudice, che sia inquirente o giudicante, è un semplice burocrate il cui compito è applicare la legge, fosse anche - secondo i parametri dell'opinione pubblica - la più ingiusta possibile. Il suo non è il ruolo di un oplita del bene sempiternamente impegnato in un'eterna ed acefala palingenesi morale sine die. Questo è un concetto di fondo che non si riesce proprio a far capire alla gente e, purtroppo, anche a molti giuristi.
I malcostumi più ricorrenti di un magistrato sono le invasioni di campo e la sua sovraesposizione mediatica. La persona di buonsenso trova poco digeribili e prende poco sul serio quelle dichiarazioni in cui un giudice assurto agli onori della cronaca si oppone a questa o a quella riforma o quelle in cui si trasforma in un sociologo che prorompe in mille prefiche sul disagio sociale e sui ragazzini che non andando a scuola diventano mafiosi - quando sappiamo bene che di criminali laureati e con studi prestigiosi, ve ne sono un esercito. E Gratteri, purtroppo, non riesce a frenare la tentazione di fare sociopolitica. L'ultima sua "vittima" è il rapper Geolier - di cui, a scanso di equivoci, non sono un fan - che si aggiunge a "Gomorra la serie" e "Mare fuori", accusati dal magistrato di "fare pubblicità alle mafie e di veicolare messaggi negativi ai giovani".
Tanto Geolier quanto Gomorra sono criticabilissimi e da queste pagine non le abbiamo mai risparmiate. Ma quella di "propagandare la mafia" è - non ce ne voglia il magistrato - la critica meno intelligente che si possa fare, in quanto tanto in Geolier quanto in Gomorra la condanna del modello camorristico è netta e risoluta. Sostanzialmente, il messaggio che appare è che se si è camorristi, si finisce presto o tardi morti ammazzati. Dove sarebbe, di grazia, l'esaltazione del modello criminale?
Soprattutto, chi si scaglia contro il rap di Geolier, non si rende conto che, sulla scia peraltro di tutto il rap partenopeo, la sua non è un'esaltazione dei monili criminali ma una denuncia sociale, un modo per mostrare una realtà che, purtroppo, c'è e non può essere negata, al netto che ognuno è libero di non apprezzare la sua forma artistica.
Naturalmente, nessuno toglie a Gratteri il diritto di dire la sua opinione, ma è esattamente questo il problema di molte figure iconiche dell'impegno civile, dell'arte, della cultura, dello spettacolo, dello sport: non riescono a sottrarsi dalla tentazione di prendere troppo sul serio quel che fanno e trasformarsi in moralisti che, poco capaci ed esperti di ciò di cui parlano, inevitabilmente dicono sciocchezze che tuttavia vengono prese sul serio proprio per via della propria iconicità: questo è un malcostume tipicamente italiano. L'opinione pubblica non riesce proprio a comprendere che il compito di un giudice, di un magistrato e in generale di un qualsiasi operatore del diritto è di applicare esclusivamente la legge, senza investirsi di un ruolo che spetta a politici, intellettuali e soprattutto alla sua società civile nel suo complesso.
Questo certamente non toglie che molti di loro siano dei galantuomini e persone capaci nel loro mestiere e non c'è dubbio che Nicola Gratteri rientri in questo identikit. D'altra parte, un uomo che vive da trent'anni sotto scorta, deve per forza di cose aver fatto talmente bene il proprio mestiere, da aver pestato i piedi a qualcuno di molto pericoloso. Questo non significa che si debba condividere ogni cosa che dice e che fa.
Un giudice, che sia inquirente o giudicante, è un semplice burocrate il cui compito è applicare la legge, fosse anche - secondo i parametri dell'opinione pubblica - la più ingiusta possibile. Il suo non è il ruolo di un oplita del bene sempiternamente impegnato in un'eterna ed acefala palingenesi morale sine die. Questo è un concetto di fondo che non si riesce proprio a far capire alla gente e, purtroppo, anche a molti giuristi.
I malcostumi più ricorrenti di un magistrato sono le invasioni di campo e la sua sovraesposizione mediatica. La persona di buonsenso trova poco digeribili e prende poco sul serio quelle dichiarazioni in cui un giudice assurto agli onori della cronaca si oppone a questa o a quella riforma o quelle in cui si trasforma in un sociologo che prorompe in mille prefiche sul disagio sociale e sui ragazzini che non andando a scuola diventano mafiosi - quando sappiamo bene che di criminali laureati e con studi prestigiosi, ve ne sono un esercito. E Gratteri, purtroppo, non riesce a frenare la tentazione di fare sociopolitica. L'ultima sua "vittima" è il rapper Geolier - di cui, a scanso di equivoci, non sono un fan - che si aggiunge a "Gomorra la serie" e "Mare fuori", accusati dal magistrato di "fare pubblicità alle mafie e di veicolare messaggi negativi ai giovani".
Tanto Geolier quanto Gomorra sono criticabilissimi e da queste pagine non le abbiamo mai risparmiate. Ma quella di "propagandare la mafia" è - non ce ne voglia il magistrato - la critica meno intelligente che si possa fare, in quanto tanto in Geolier quanto in Gomorra la condanna del modello camorristico è netta e risoluta. Sostanzialmente, il messaggio che appare è che se si è camorristi, si finisce presto o tardi morti ammazzati. Dove sarebbe, di grazia, l'esaltazione del modello criminale?
Soprattutto, chi si scaglia contro il rap di Geolier, non si rende conto che, sulla scia peraltro di tutto il rap partenopeo, la sua non è un'esaltazione dei monili criminali ma una denuncia sociale, un modo per mostrare una realtà che, purtroppo, c'è e non può essere negata, al netto che ognuno è libero di non apprezzare la sua forma artistica.
Naturalmente, nessuno toglie a Gratteri il diritto di dire la sua opinione, ma è esattamente questo il problema di molte figure iconiche dell'impegno civile, dell'arte, della cultura, dello spettacolo, dello sport: non riescono a sottrarsi dalla tentazione di prendere troppo sul serio quel che fanno e trasformarsi in moralisti che, poco capaci ed esperti di ciò di cui parlano, inevitabilmente dicono sciocchezze che tuttavia vengono prese sul serio proprio per via della propria iconicità: questo è un malcostume tipicamente italiano. L'opinione pubblica non riesce proprio a comprendere che il compito di un giudice, di un magistrato e in generale di un qualsiasi operatore del diritto è di applicare esclusivamente la legge, senza investirsi di un ruolo che spetta a politici, intellettuali e soprattutto alla sua società civile nel suo complesso.
Il problema di Gratteri è che nessuno gli ricorda che è soltanto un magistrato. Un grandissimo magistrato. Ma soltanto un magistrato.