Qualche giorno fa è stato il trentennale della scomparsa di Massimo Troisi e molti, sapendomi napoletano, mi hanno chiesto un articolo su questo artista. Che dire?
Una delle caratteristiche mie più tipiche è di diffidare sempre delle santificazioni e delle demonizzazioni. Quando i media battono la grancassa della bruciatura sul rogo o dell'innalzamento all'altare di chissà quale patria, il viziaccio che porto fino al parossismo - e non sempre (lo ammetto) in maniera azzeccata - è vedere se tutto sia vero. E questo mi è capitato a maggior ragione con Massimo Troisi.
In questo sono stato aiutato senza dubbio dall'averlo conosciuto personalmente. Com'era dal vivo? Fisicamente gradevole, molto meglio di quanto apparisse in TV, con un suo fascino che faceva capire perché molte donne gli morissero dietro, sul piano umano era molto meno simpatico - senza peraltro mai essere maleducato - di quanto apparisse ai media ma molto più intelligente e colto (sapeva tutto di Pasolini, di letteratura sudamericana) e dunque con tutti i pro di avere consapevolezza di detenere, attraverso la capacità di far ridere, un vero potere, oltre a quella malinconia tipica di molti comici che non è un luogo comune e ancor meno lo era nel suo caso. E fin qui, siamo ai ricordi personali.
E' sul piano artistico che ho sempre avuto le maggiori riserve. In tal senso, distinguiamo il Troisi cabarettista dal Troisi cineasta.
Il primo è stato superlativo, un autentico mattatore che ha avuto, a mio avviso, due meriti: il primo di costruire battute dalla vis comica fulminante senza ricorrere mai alla volgarità gratuita e il secondo di disancorarsi dalle radici di una napoletanità invadente, oleografica ed iconografica, forse aiutato in questo dal fatto di essere nato a San Giorgio a Cremano, tanto fisicamente vicina a Napoli quanto lontana dallo spirito partenopeo di città. Vivendo praticamente da quelle parti - e cioè proprio al confine tra San Giovanni a Teduccio e San Giorgio - posso riconoscere in ogni sangiorgese un potenziale Massimo Troisi se non altro nella personalità e, dunque, in Massimo Troisi un perfetto sangiorgese, nel bene e nel male: poco napoletano, poco cordiale, poco simpatico, un po' fuori di testa e non di rado di salute precaria (secondo i "si dice", conseguenza della propensione all'endogamia tipica del comune sangiorgese, tra i primi posti in Italia per matrimoni tra consanguinei, anche se non sappiamo se fosse il caso pure di Troisi) niente affatto privo di senso dell'humour ma piuttosto acido e autocompiaciuto, propenso più a sradicarsi dalle radici partenopee che assecondarle. San Giorgio ha sfornato diversi comici che, senza pareggiare la bravura di Massimo, avevano lo stesso tipo di umorismo tagliente, dissacrante, quasi antinapoletano.
La comicità di Troisi, e forse la ragione della sua proponibilità su scala nazionale, era godibile proprio per questo: Massimo non era un grande comico napoletano ma un formidabile comico italiano, la cui napoletanità non era un punto di arrivo ma di partenza.
Poi c'è il cineasta, che se riscontrava un indubbio successo presso la gente comune disposta a spendere 20-30 sacchi per vedere una comicità che in fin dei conti avrebbe potuto trovare anche in TV, era fortemente - e giustamente - detestato da chi ha sempre pensato che il cinema dovesse essere qualcosa in più.
In tal senso, Massimo Troisi è stato l'iniziatore del malvezzo tipicamente italiano per cui ad un certo punto una marea di comici dal grandissimo successo teatrale e televisivo (Pieraccioni, Panariello, Salemme, Checco Zalone) avrebbero iniziato a trasferire il proprio bagaglio di gag in film le cui trame sostanzialmente servivano soltanto a dare gli assist per il gol decisivo del centravanti sotto forma di battuta da ricordare.
Il lettore avrà notato che non ho citato né Verdone né Benigni. Il primo, infatti, sebbene ancorato in uno schema subalbertosordiano, quantomeno riesce ad uscire dalla sua precedente dimensione cabarettistica, sfornando trame convincenti e significati profondissimi. Di Benigni, che è un vero e proprio animale da palcoscenico fino a La Vita è Bella - che segna il suo apice dal punto di vista del botteghino e dei riconoscimenti internazionali ma anche l'inizio del declino - si può dire tutto, meno che le sue commedie non abbiano una solida trama e un significato chiaramente riconoscibile.
Ho omesso anche Nuti che ad un certo momento tenta di evadere dal cliché del cabarettista divenuto cineasta e finisce per rompersi tutti i denti avviando il proprio declino professionale in "Occhio Pinocchio" tanto bello, ambizioso e sottovalutato quanto troppo avanti con i tempi e troppo antiamericano per poter essere apprezzato, in un momento storico in cui, per dirla con Fukuyama, la storia sembra davvero finita con la vittoria anche morale degli Stati Uniti.
Viceversa, se andiamo a prendere tutti i film di Troisi che pure hanno sbancato al cinema, di "Scusate il ritardo" si ricorderà la gag della scena del protagonista a letto con Giuliana De Sio - la fidanzata rompicoglioni, un classico delle commedie così abusato da divenire stucchevole - che gli rimprovera di pensare troppo al calcio ("Ecco qual è il problema! Il Napoli sta perdendo" con lui, che non ha capito nulla, che risponde "E vabbè, casomai pareggiamo") e di non darle attenzioni, di "Le vie del Signore sono finite", si ricorderà la battuta su Mussolini "Ma se era per far arrivare i treni in orario, bastava farlo capostazione", di Ricomincio da tre la scena di Gaetano che cerca di scuotere Robertino "scinn, va a rubbare, va a tuccà 'e femmene, tu non tieni i complessi, tu tieni l'orchestra in capa", di "Non ci resta che piangere" la gag del fiorino o il frate trappista che tuona "ricordati che devi morire" e Mario che gli risponde "mo me lo segno". Ma pochissimi, e vi sfido a fare la prova, vi sapranno dire qualcosa sulla trama o sulla morale del film, che peraltro spesso non c'è, o anche dei tanti pur bravissimi attori che vi partecipano. Che si chiami Tommaso, Gaetano o Vincenzo, Troisi porta sempre se stesso e la sua pur portentosa vis comica sui propri film, col risultato che alla fine del film si è riso un sacco sulle sue battute senza capire il contesto. In tal senso, l'unica opera in cui si intravede un significato è proprio nel suo ultimo lavoro da regista "Pensavo fosse amore e invece era un calesse", dove Troisi, visibilmente dimagrito e con un pallore quasi spettrale che inizia a pervadere il suo volto in quanto alle prese col cuore che inizia a deteriorarsi, tutto ciò che perde nella vitalità spensierata di comico inevitabilmente segnata dalla morte che comincia ad intravedersi all'orizzonte, lo riacquista sul piano del significato profondo del prodotto, che resta quello più riuscito come regista, accompagnato dalle superlative colonne sonore di un Pino Daniele in gran vena.
Dove invece il nostro dà il meglio di sé sul piano attoriale è quando non è lui a dirigere ma ad essere diretto. Infatti, "Il Postino", col quale sfiorerà un Oscar postumo che sarebbe stato meritatissimo, resta a mio avviso il film in cui, ormai con un cuore ridotto ai minimi termini e col volto e il fisico distrutti dalla malattia - morirà il giorno dopo la fine delle riprese - il nostro darà la prova migliore del suo talento attoriale.
Così riassumendo, Troisi fu un grandissimo comico per lo stesso motivo per cui fu, invece, un mediocre regista, perlomeno agli occhi di chi pensa che il cinema sia qualcosa di più che portare sul set se stesso e dare centralità alle battute e non al significato del film. Fu troppo Troisi anche in un ambito, quello del cinema, ove attori e registi anche se celebri, devono mettersi al servizio di una storia, non del proprio narcisismo.
Una delle caratteristiche mie più tipiche è di diffidare sempre delle santificazioni e delle demonizzazioni. Quando i media battono la grancassa della bruciatura sul rogo o dell'innalzamento all'altare di chissà quale patria, il viziaccio che porto fino al parossismo - e non sempre (lo ammetto) in maniera azzeccata - è vedere se tutto sia vero. E questo mi è capitato a maggior ragione con Massimo Troisi.
In questo sono stato aiutato senza dubbio dall'averlo conosciuto personalmente. Com'era dal vivo? Fisicamente gradevole, molto meglio di quanto apparisse in TV, con un suo fascino che faceva capire perché molte donne gli morissero dietro, sul piano umano era molto meno simpatico - senza peraltro mai essere maleducato - di quanto apparisse ai media ma molto più intelligente e colto (sapeva tutto di Pasolini, di letteratura sudamericana) e dunque con tutti i pro di avere consapevolezza di detenere, attraverso la capacità di far ridere, un vero potere, oltre a quella malinconia tipica di molti comici che non è un luogo comune e ancor meno lo era nel suo caso. E fin qui, siamo ai ricordi personali.
E' sul piano artistico che ho sempre avuto le maggiori riserve. In tal senso, distinguiamo il Troisi cabarettista dal Troisi cineasta.
Il primo è stato superlativo, un autentico mattatore che ha avuto, a mio avviso, due meriti: il primo di costruire battute dalla vis comica fulminante senza ricorrere mai alla volgarità gratuita e il secondo di disancorarsi dalle radici di una napoletanità invadente, oleografica ed iconografica, forse aiutato in questo dal fatto di essere nato a San Giorgio a Cremano, tanto fisicamente vicina a Napoli quanto lontana dallo spirito partenopeo di città. Vivendo praticamente da quelle parti - e cioè proprio al confine tra San Giovanni a Teduccio e San Giorgio - posso riconoscere in ogni sangiorgese un potenziale Massimo Troisi se non altro nella personalità e, dunque, in Massimo Troisi un perfetto sangiorgese, nel bene e nel male: poco napoletano, poco cordiale, poco simpatico, un po' fuori di testa e non di rado di salute precaria (secondo i "si dice", conseguenza della propensione all'endogamia tipica del comune sangiorgese, tra i primi posti in Italia per matrimoni tra consanguinei, anche se non sappiamo se fosse il caso pure di Troisi) niente affatto privo di senso dell'humour ma piuttosto acido e autocompiaciuto, propenso più a sradicarsi dalle radici partenopee che assecondarle. San Giorgio ha sfornato diversi comici che, senza pareggiare la bravura di Massimo, avevano lo stesso tipo di umorismo tagliente, dissacrante, quasi antinapoletano.
La comicità di Troisi, e forse la ragione della sua proponibilità su scala nazionale, era godibile proprio per questo: Massimo non era un grande comico napoletano ma un formidabile comico italiano, la cui napoletanità non era un punto di arrivo ma di partenza.
Poi c'è il cineasta, che se riscontrava un indubbio successo presso la gente comune disposta a spendere 20-30 sacchi per vedere una comicità che in fin dei conti avrebbe potuto trovare anche in TV, era fortemente - e giustamente - detestato da chi ha sempre pensato che il cinema dovesse essere qualcosa in più.
In tal senso, Massimo Troisi è stato l'iniziatore del malvezzo tipicamente italiano per cui ad un certo punto una marea di comici dal grandissimo successo teatrale e televisivo (Pieraccioni, Panariello, Salemme, Checco Zalone) avrebbero iniziato a trasferire il proprio bagaglio di gag in film le cui trame sostanzialmente servivano soltanto a dare gli assist per il gol decisivo del centravanti sotto forma di battuta da ricordare.
Il lettore avrà notato che non ho citato né Verdone né Benigni. Il primo, infatti, sebbene ancorato in uno schema subalbertosordiano, quantomeno riesce ad uscire dalla sua precedente dimensione cabarettistica, sfornando trame convincenti e significati profondissimi. Di Benigni, che è un vero e proprio animale da palcoscenico fino a La Vita è Bella - che segna il suo apice dal punto di vista del botteghino e dei riconoscimenti internazionali ma anche l'inizio del declino - si può dire tutto, meno che le sue commedie non abbiano una solida trama e un significato chiaramente riconoscibile.
Ho omesso anche Nuti che ad un certo momento tenta di evadere dal cliché del cabarettista divenuto cineasta e finisce per rompersi tutti i denti avviando il proprio declino professionale in "Occhio Pinocchio" tanto bello, ambizioso e sottovalutato quanto troppo avanti con i tempi e troppo antiamericano per poter essere apprezzato, in un momento storico in cui, per dirla con Fukuyama, la storia sembra davvero finita con la vittoria anche morale degli Stati Uniti.
Viceversa, se andiamo a prendere tutti i film di Troisi che pure hanno sbancato al cinema, di "Scusate il ritardo" si ricorderà la gag della scena del protagonista a letto con Giuliana De Sio - la fidanzata rompicoglioni, un classico delle commedie così abusato da divenire stucchevole - che gli rimprovera di pensare troppo al calcio ("Ecco qual è il problema! Il Napoli sta perdendo" con lui, che non ha capito nulla, che risponde "E vabbè, casomai pareggiamo") e di non darle attenzioni, di "Le vie del Signore sono finite", si ricorderà la battuta su Mussolini "Ma se era per far arrivare i treni in orario, bastava farlo capostazione", di Ricomincio da tre la scena di Gaetano che cerca di scuotere Robertino "scinn, va a rubbare, va a tuccà 'e femmene, tu non tieni i complessi, tu tieni l'orchestra in capa", di "Non ci resta che piangere" la gag del fiorino o il frate trappista che tuona "ricordati che devi morire" e Mario che gli risponde "mo me lo segno". Ma pochissimi, e vi sfido a fare la prova, vi sapranno dire qualcosa sulla trama o sulla morale del film, che peraltro spesso non c'è, o anche dei tanti pur bravissimi attori che vi partecipano. Che si chiami Tommaso, Gaetano o Vincenzo, Troisi porta sempre se stesso e la sua pur portentosa vis comica sui propri film, col risultato che alla fine del film si è riso un sacco sulle sue battute senza capire il contesto. In tal senso, l'unica opera in cui si intravede un significato è proprio nel suo ultimo lavoro da regista "Pensavo fosse amore e invece era un calesse", dove Troisi, visibilmente dimagrito e con un pallore quasi spettrale che inizia a pervadere il suo volto in quanto alle prese col cuore che inizia a deteriorarsi, tutto ciò che perde nella vitalità spensierata di comico inevitabilmente segnata dalla morte che comincia ad intravedersi all'orizzonte, lo riacquista sul piano del significato profondo del prodotto, che resta quello più riuscito come regista, accompagnato dalle superlative colonne sonore di un Pino Daniele in gran vena.
Dove invece il nostro dà il meglio di sé sul piano attoriale è quando non è lui a dirigere ma ad essere diretto. Infatti, "Il Postino", col quale sfiorerà un Oscar postumo che sarebbe stato meritatissimo, resta a mio avviso il film in cui, ormai con un cuore ridotto ai minimi termini e col volto e il fisico distrutti dalla malattia - morirà il giorno dopo la fine delle riprese - il nostro darà la prova migliore del suo talento attoriale.
Così riassumendo, Troisi fu un grandissimo comico per lo stesso motivo per cui fu, invece, un mediocre regista, perlomeno agli occhi di chi pensa che il cinema sia qualcosa di più che portare sul set se stesso e dare centralità alle battute e non al significato del film. Fu troppo Troisi anche in un ambito, quello del cinema, ove attori e registi anche se celebri, devono mettersi al servizio di una storia, non del proprio narcisismo.
In definitiva, un grandissimo protagonista del nostro tempo, sopravvalutato dove non vi era alcun bisogno e invece sottovalutato in ambiti dove davvero avrebbe potuto essere un numero uno assoluto.