In un mondo in cui si cambia idea in base all'andamento del vento, bisogna avere dei saldissimi punti fermi. Il mio è il rifiuto netto, sistematico, di una tendenza così allergenica da provocarmi sempre dei pruriti quando la vedo estrinsecarsi e che invece ha caratterizzato i primi quarant'anni della mia vita: il moralismo.
Ogni giorno apriamo un mezzo di comunicazione e di informazione - dai giornali ai social, passando per le TV - venendo inondati da tsunami di lezioni morali, impartite col ditino puntato da autoreferenziali professori di educazione civica. Dall'utente che si sente in dovere di informarci che è una brava persona, che detesta gli ipocriti e che gli esseri umani non vanno guardati nel loro aspetto fisico - casomai mentre occhieggiano, come natura comanda, sulle cosce della bella fanciulla o sui bicipiti torniti del manzo che passa loro attorno - al giornalista che ci dice che Putin è un pazzo scatenato, che Orban vuole tenere al gabbio la Salis, per non parlare della sempiterna tendenza ad idolatrare la magistratura, depositaria del Bene.
Così anche per ciò che riguarda la morte di Raisi, il presidente dell'Iran, e in merito alle proteste in Georgia, siamo stati inondati di melassa moralistica su quanto sia brutto e intollerante l'Iran, su quanto il premier georgiano sia un nemico della democrazia, il tutto senza tenere conto del contesto generale. Quale?
Uno Stato non nasce a caso ma per garantire una protezione sociale ad una comunità che altrimenti si scannerebbe dalla mattina alla sera. E se questo è vero in società sostanzialmente uniformi come quelle occidentali, ancor più vero è nelle società multietniche, multiculturali, come sono normalmente quelle africane e quelle mediorientali. Ma come anche sono quella cinese e quella della federazione russa.
Così, dei leader politici che vi si avvicendano al vertice, da quando la storia si è trasformata in propaganda, va di moda dire - in senso negativo - che hanno ucciso x mila persone, torturato x mila poveracci. Sembrerebbe insomma che fare politica oggi significhi essere dei sadici che l'unica cosa che vogliano fare è uccidere le persone.
Così su Raisi, morto per un incidente aereo (?) è tutto un ballare di pavoni su quanto fosse cattivo lui, su quanto sia brutto l'Iran.
Ora, premettendo che l'Iran è una delle realtà più vive del mondo, con una satira corrosivissima, anche antigovernativa, mentre qui in Italia non si può più sfottere manco un Valerio Scanu qualsiasi senza rischiare una querela (è successo ad alcuni miei contatti) ogni realtà multietnica si caratterizza per delicatissimi equilibri, laddove una democrazia non solo non sarà mai applicabile ma, anzi, in determinate circostanze, nemmeno auspicabile. Occorre o un tiranno forte oppure un'oligarchia di questo o di quel tipo.
E in Iran c'è un'oligarchia religiosa che ha fatto passare l'Iran dall'essere una colonia occidentale a diventare un paese che sta sicuramente meglio di come stava prima. E' un fatto, che può piacere o no, ma che tant'è.
I leader politici, quando giustiziano decine di migliaia di prigionieri, non lo fanno perché amano sporcarsi le mani di sangue ma perché non hanno scelta. Perché quelli che noi chiamiamo "prigionieri politici", spesso sono criminali al servizio dei paesi stranieri, il cui unico scopo è drenare risorse locali per trasferirle altrove.
La stessa vicenda georgiana è di ugual misura. La famosa "legge sugli agenti stranieri" - che peraltro esiste anche negli Stati Uniti - ha lo scopo di tracciare tutte quelle organizzazioni straniere che, ricevendo contributi per più del 20% dall'estero, operano sul territorio georgiano, al servizio di paesi stranieri e dunque di trattenere in Georgia le risorse georgiane e di impedire che esse vengano trasferite altrove. Non viene fatta perché i georgiani sono brutti e cattivi ma perché, a torto o a ragione, si persegue l'obiettivo, attraverso la stabilizzazione delle risorse, di garantire il benessere del popolo georgiano, né più né meno di come l'Iran giustizia i suoi prigionieri perché farlo è necessario alla stabilità di un regime politico che, se cade, sprofonda nel caos.
Che alcuni iraniani gioiscano per la morte di Raisi, non è indicativo. Intanto perché ognuno ha "gli iraniani suoi" e ne conosco molti che non gioiscono affatto, anzi, sono molto preoccupati.
Ma poi, diciamoci la verità. L'Italia è piena di gente che esultò quando Berlusconi si prese la madonnina in bocca e che andrebbe in tripudio se domani ammazzassero la Meloni.
Ogni mondo è paese, insomma. E lezioni di moralità democratica non è il caso di farne, almeno considerando la tendenza attuale dell'Occidente.
Ogni giorno apriamo un mezzo di comunicazione e di informazione - dai giornali ai social, passando per le TV - venendo inondati da tsunami di lezioni morali, impartite col ditino puntato da autoreferenziali professori di educazione civica. Dall'utente che si sente in dovere di informarci che è una brava persona, che detesta gli ipocriti e che gli esseri umani non vanno guardati nel loro aspetto fisico - casomai mentre occhieggiano, come natura comanda, sulle cosce della bella fanciulla o sui bicipiti torniti del manzo che passa loro attorno - al giornalista che ci dice che Putin è un pazzo scatenato, che Orban vuole tenere al gabbio la Salis, per non parlare della sempiterna tendenza ad idolatrare la magistratura, depositaria del Bene.
Così anche per ciò che riguarda la morte di Raisi, il presidente dell'Iran, e in merito alle proteste in Georgia, siamo stati inondati di melassa moralistica su quanto sia brutto e intollerante l'Iran, su quanto il premier georgiano sia un nemico della democrazia, il tutto senza tenere conto del contesto generale. Quale?
Uno Stato non nasce a caso ma per garantire una protezione sociale ad una comunità che altrimenti si scannerebbe dalla mattina alla sera. E se questo è vero in società sostanzialmente uniformi come quelle occidentali, ancor più vero è nelle società multietniche, multiculturali, come sono normalmente quelle africane e quelle mediorientali. Ma come anche sono quella cinese e quella della federazione russa.
Così, dei leader politici che vi si avvicendano al vertice, da quando la storia si è trasformata in propaganda, va di moda dire - in senso negativo - che hanno ucciso x mila persone, torturato x mila poveracci. Sembrerebbe insomma che fare politica oggi significhi essere dei sadici che l'unica cosa che vogliano fare è uccidere le persone.
Così su Raisi, morto per un incidente aereo (?) è tutto un ballare di pavoni su quanto fosse cattivo lui, su quanto sia brutto l'Iran.
Ora, premettendo che l'Iran è una delle realtà più vive del mondo, con una satira corrosivissima, anche antigovernativa, mentre qui in Italia non si può più sfottere manco un Valerio Scanu qualsiasi senza rischiare una querela (è successo ad alcuni miei contatti) ogni realtà multietnica si caratterizza per delicatissimi equilibri, laddove una democrazia non solo non sarà mai applicabile ma, anzi, in determinate circostanze, nemmeno auspicabile. Occorre o un tiranno forte oppure un'oligarchia di questo o di quel tipo.
E in Iran c'è un'oligarchia religiosa che ha fatto passare l'Iran dall'essere una colonia occidentale a diventare un paese che sta sicuramente meglio di come stava prima. E' un fatto, che può piacere o no, ma che tant'è.
I leader politici, quando giustiziano decine di migliaia di prigionieri, non lo fanno perché amano sporcarsi le mani di sangue ma perché non hanno scelta. Perché quelli che noi chiamiamo "prigionieri politici", spesso sono criminali al servizio dei paesi stranieri, il cui unico scopo è drenare risorse locali per trasferirle altrove.
La stessa vicenda georgiana è di ugual misura. La famosa "legge sugli agenti stranieri" - che peraltro esiste anche negli Stati Uniti - ha lo scopo di tracciare tutte quelle organizzazioni straniere che, ricevendo contributi per più del 20% dall'estero, operano sul territorio georgiano, al servizio di paesi stranieri e dunque di trattenere in Georgia le risorse georgiane e di impedire che esse vengano trasferite altrove. Non viene fatta perché i georgiani sono brutti e cattivi ma perché, a torto o a ragione, si persegue l'obiettivo, attraverso la stabilizzazione delle risorse, di garantire il benessere del popolo georgiano, né più né meno di come l'Iran giustizia i suoi prigionieri perché farlo è necessario alla stabilità di un regime politico che, se cade, sprofonda nel caos.
Che alcuni iraniani gioiscano per la morte di Raisi, non è indicativo. Intanto perché ognuno ha "gli iraniani suoi" e ne conosco molti che non gioiscono affatto, anzi, sono molto preoccupati.
Ma poi, diciamoci la verità. L'Italia è piena di gente che esultò quando Berlusconi si prese la madonnina in bocca e che andrebbe in tripudio se domani ammazzassero la Meloni.
Ogni mondo è paese, insomma. E lezioni di moralità democratica non è il caso di farne, almeno considerando la tendenza attuale dell'Occidente.
Franco Marino
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