Lucio Battisti e Mina sono universalmente riconosciuti come i più grandi cantanti italiani. Se, poi, andassimo a recuperare tutto il patrimonio di artisti della musica che oggi ascoltiamo, ci accorgeremmo come nessuno di costoro abbia mai avuto un rapporto privilegiato col Festival di Sanremo e addirittura alcuni non vi hanno neanche mai partecipato, se non raramente come ospiti (Pino Daniele, Ligabue, Battiato, De André, Edoardo Bennato, De Gregori, Baglioni che lo ha solo condotto).
Certamente, quella rassegna musicale ha lanciato tantissimi artisti. Il fatto è che poi non ci sono più ritornati e hanno fatto una carriera luminosissima senza praticamente mai più mettere piede all'Ariston.
Analogamente, ci sono film meravigliosi che non sono mai stati omaggiati di alcun premio. L'iconico Fight Club ha ottenuto a stento una nomination per il miglior montaggio sonoro, C'era una volta in America, Orizzonti di Gloria, Le Iene, l'Oscar non l'hanno visto nemmeno in fotografia eppure sono entrati nell'immaginario di moltissimi cinefili. Questo perché l'arte, sotto qualsiasi forma, vive di colui che la produce e colui che ne fruisce. Non sono i riconoscimenti delle mafie travestite da critica a stabilire l'emozione che deve suscitare un'opera. Ho amato autori che nessuno o quasi conosce. Mentre la critica ci ha addestrato a ritenere Garcia Marquez - che mi ha sempre mortalmente annoiato - come un gigante della letteratura del Novecento, sono sicurissimo che pochissimi conoscano un suo connazionale, Efraim Medina Reyes, che invece a me personalmente fa impazzire.
Tutto questo per dire che premi letterari come lo Strega e il Campiello o come il David di Donatello e addirittura l'Oscar non rappresentano assolutamente nulla. Certamente, vincere un premio di quel tipo ha la sua utilità ma unicamente per chi partecipa e ha bisogno di farsi portare in alto per fini che con l'arte non hanno nulla a che fare. Chi ha bisogno di un certificato qualitativo, fornito dai gruppi di potere che sono dietro le giurie di quei premi, per tarare i propri gusti letterari, cinematografici o musicali, per conto mio è soltanto un poveraccio che ha bisogno di essere imboccato come i lattanti e i menomati.
Il rapporto che si crea tra il creatore e il fruitore dell'arte è del tutto personale. Ha a che fare col patrimonio di emozioni, di ricordi, di immaginazioni che soltanto un grande artista è in grado di riprodurre e che soltanto una mente sensibile è in grado di apprezzare. Tutti gli altri, per l'appunto, vanno a rimorchio e ad orecchio, seguono le fatue mode del momento, si fanno imboccare da ciò che i governi dicono loro di apprezzare. Casomai sono anche gli stessi che se gli dici di vaccinarsi lo fanno e se poi gli fai credere che buttandosi da un grattacielo troveranno la salvezza, vi si imbelinano senza troppi rimpianti.
Ormai quando leggo di un libro che vince un premio letterario o di un film che vince qualche Oscar o David, mi accorgo di essere molto interessato a sapere chi sia l'autore, così da evitare accuratamente di leggere qualsiasi sua opera. Sanremo mi è impossibile da evitare perché attorno ad esso si costruisce un carrozzone di tale potenza che si riversa su ogni media che io possa anche soltanto lontanamente frequentare, al punto che se in quei giorni spegnessi tutti i mezzi di comunicazione, sono certo che mi ritroverei Amadeus o chiunque lo presenterà al suo posto, in casa col telecomando in mano che mi fa "Beh? Cosa ci fai con la TV spenta?". Finché posso, allora, mi estranio da tutto. Se voglio sentire un po' di bella musica, scelgo io cosa ascoltare, se voglio leggere un bel libro decido io quale comprare. E se mi va di vedere un film, lo compro e me lo vedo in streaming. Senza che nessuno decida al posto mio.
Nello specifico, "C'è ancora domani", della Cortellesi, doveva vincere per forza, perché non basato sull'oggettiva qualità del film stesso, didascalico, lento, noioso, ma perché parlava il linguaggio del progressismo d'accatto di oggi, lasciando fuori moltissime produzioni che, invece, qualcosa in più avrebbero meritato, come per esempio Grazie Ragazzi, di Albanese.
Certamente, quella rassegna musicale ha lanciato tantissimi artisti. Il fatto è che poi non ci sono più ritornati e hanno fatto una carriera luminosissima senza praticamente mai più mettere piede all'Ariston.
Analogamente, ci sono film meravigliosi che non sono mai stati omaggiati di alcun premio. L'iconico Fight Club ha ottenuto a stento una nomination per il miglior montaggio sonoro, C'era una volta in America, Orizzonti di Gloria, Le Iene, l'Oscar non l'hanno visto nemmeno in fotografia eppure sono entrati nell'immaginario di moltissimi cinefili. Questo perché l'arte, sotto qualsiasi forma, vive di colui che la produce e colui che ne fruisce. Non sono i riconoscimenti delle mafie travestite da critica a stabilire l'emozione che deve suscitare un'opera. Ho amato autori che nessuno o quasi conosce. Mentre la critica ci ha addestrato a ritenere Garcia Marquez - che mi ha sempre mortalmente annoiato - come un gigante della letteratura del Novecento, sono sicurissimo che pochissimi conoscano un suo connazionale, Efraim Medina Reyes, che invece a me personalmente fa impazzire.
Tutto questo per dire che premi letterari come lo Strega e il Campiello o come il David di Donatello e addirittura l'Oscar non rappresentano assolutamente nulla. Certamente, vincere un premio di quel tipo ha la sua utilità ma unicamente per chi partecipa e ha bisogno di farsi portare in alto per fini che con l'arte non hanno nulla a che fare. Chi ha bisogno di un certificato qualitativo, fornito dai gruppi di potere che sono dietro le giurie di quei premi, per tarare i propri gusti letterari, cinematografici o musicali, per conto mio è soltanto un poveraccio che ha bisogno di essere imboccato come i lattanti e i menomati.
Il rapporto che si crea tra il creatore e il fruitore dell'arte è del tutto personale. Ha a che fare col patrimonio di emozioni, di ricordi, di immaginazioni che soltanto un grande artista è in grado di riprodurre e che soltanto una mente sensibile è in grado di apprezzare. Tutti gli altri, per l'appunto, vanno a rimorchio e ad orecchio, seguono le fatue mode del momento, si fanno imboccare da ciò che i governi dicono loro di apprezzare. Casomai sono anche gli stessi che se gli dici di vaccinarsi lo fanno e se poi gli fai credere che buttandosi da un grattacielo troveranno la salvezza, vi si imbelinano senza troppi rimpianti.
Ormai quando leggo di un libro che vince un premio letterario o di un film che vince qualche Oscar o David, mi accorgo di essere molto interessato a sapere chi sia l'autore, così da evitare accuratamente di leggere qualsiasi sua opera. Sanremo mi è impossibile da evitare perché attorno ad esso si costruisce un carrozzone di tale potenza che si riversa su ogni media che io possa anche soltanto lontanamente frequentare, al punto che se in quei giorni spegnessi tutti i mezzi di comunicazione, sono certo che mi ritroverei Amadeus o chiunque lo presenterà al suo posto, in casa col telecomando in mano che mi fa "Beh? Cosa ci fai con la TV spenta?". Finché posso, allora, mi estranio da tutto. Se voglio sentire un po' di bella musica, scelgo io cosa ascoltare, se voglio leggere un bel libro decido io quale comprare. E se mi va di vedere un film, lo compro e me lo vedo in streaming. Senza che nessuno decida al posto mio.
Nello specifico, "C'è ancora domani", della Cortellesi, doveva vincere per forza, perché non basato sull'oggettiva qualità del film stesso, didascalico, lento, noioso, ma perché parlava il linguaggio del progressismo d'accatto di oggi, lasciando fuori moltissime produzioni che, invece, qualcosa in più avrebbero meritato, come per esempio Grazie Ragazzi, di Albanese.
Sono cosciente, per effetto di questo pregiudizio, di perdermi probabilmente anche qualcosa di valore ma almeno sono sicuro di costruire, attraverso questa "chemioterapia ideologica", con gli artisti che mi piacciono un rapporto del tutto personale, laddove questi ultimi si preoccupano non di farsi dire quanto sono bravi da una critica politicizzata e dalle mafie che gestiscono il successo, ma di arrivare dritto al mio cuore e alla mia anima.
Franco Marino
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