Putin è l'idolo di molti dissidenti che non vedono l'ora che un evento escatologico che rovesci l'Occidente, riporti la felicità sulla terra. E tuttavia, chi la storia del capo del Cremlino la conosce, sa bene che quell'uomo è tutto fuorché un pazzo scriteriato capace di gesti estremi. Nominato da Eltsin - l'artefice del disastro degli anni Novanta - e soprattutto appoggiato dagli americani, in un primo momento sembrava il classico funzionario messo lì per spolpare ciò che rimaneva della Grande Madre Russia. Le cose, come sappiamo, sono andate diversamente. Ma Putin non ha dovuto fare niente di eversivo. Ha semplicemente costruito una trama basandosi sulle carte a disposizione che lo ha portato a liquidare progressivamente tutto il vecchio sistema russo e ad avviare così la rinascita del suo paese. Sapendo questo, ci sono due strade per salvare un paese: o un colpo di stato oppure un Putin che segua lo stesso percorso e cioè che si infiltri nel sistema e riesca a piegarlo a suo favore.
Naturalmente nessuno può dire né che la Meloni voglia o sappia fare qualcosa di simile né che l'Italia sia in grado di potersi permettere una politica putiniana. Quel che sappiamo è che chiunque volesse misurarsi nella dialettica democratica non può che muoversi come si sta muovendo lei.
Naturalmente, la sua fedeltà all'asse atlantico ma anche le sue dichiarazioni pro Draghi possono indispettire più di un elettore della cosiddetta area del dissenso. Ma il punto di fondo è che purtroppo molti non considerano che la politica, perlomeno quella condotta istituzionalmente, non è l'arte di poter fare il gran cavolo che si vuole, impippandosene di ciò che ci circonda, ma di saper trarre il meglio dal poco o dal quasi nulla che c'è.
La politica la dobbiamo intendere più o meno come il Burraco. Per chi non conosce le regole, lo scopo del gioco è mettere sul tavolo almeno sette carte di valore diverso ma con lo stesso segno o di segno diverso ma con lo stesso valore e chiaramente fare più punti dell'avversario.
Chi gioca sa che, non di rado, si arriva al punto in cui manca una carta alla chiusura e quella maledetta non arriva. E casomai arriva all'avversario che il burraco lo fa, chiude e ti fa perdere.
Per esempio, quando molti sciocchi dicono che Salvini "aveva tra le mani il paese ma si è bruciato per colpa del Papeete", dimenticano che il leader della Lega non aveva assolutamente un fico secco in mano e che si è dovuto dimettere perché Movimento 5 Stelle e PD stavano preparando una legge ad personam contro di lui, per poi fare il governo giallofucsia che tutti ricordano. Semplicemente aveva una promettente scala da sei in mano, ma sei carte non sono sufficienti ad arrivare al Burraco e l'avversario l'ha anticipato e l'ha battuto.
Fuori di metafora, Giorgia Meloni sa benissimo chi è Draghi, sa benissimo com'è la situazione nel Donbass, ma al momento non ha le carte in mano per fare il gioco che vorrebbero molti suoi elettori.
Certo, chi si aspettava che con lei avremmo avuto l'impero coloniale e il paradiso in terra, magari pure l'uscita dalla NATO, probabilmente è rimasto deluso. Ma chi, come il sottoscritto, queste velleità non le ha mai avute, può valutarla con la serenità di chi non si aspetta nulla se non salvare il salvabile. E la Meloni fa quel poco che può con i mezzi a disposizione che sono oggettivamente miseri. Dandoti sempre la tentazione di randellarla per certe oggettive scemenze ma mostrandosi come il "meno peggio". Perché non è vero che destra e sinistra sono uguali. La destra italiana di oggi è un male, reso tuttavia necessario dalla mefistofelica presenza della sinistra.
Quando il pur ottimo Matteo Brandi sul suo profilo scrive che "il centrodestra è un covo di europeisti autorazzisti quanto il centrosinistra" oppure l'altrettanto talentuoso Matteo Montevecchi si dimette dalla Lega per le sue posizioni pro Zelensky e pro Green Pass, dimenticano che il punto non è se il centrodestra voglia uscire dall'UE e dall'euro ma se possa farlo istituzionalmente. Ebbene, il sistema europeo è bloccato e pensato per sabotare qualsiasi spinta in tal senso. Quello che si può fare è cercare di limitare i danni il più possibile.
Tanto per fare un esempio, è stato grazie a Lega e Fratelli d'Italia che le norme sulle case green sono state di molto ammorbidite. Sono state cancellate? Certo che no. E da proprietario immobiliare dovrei guardare i partiti che in Europa dovrebbero difendere i miei interessi col fumo negli occhi, se non fosse che per il fatto che i numeri per poter cancellare quelle scelleratezze non c'erano. Si è fatto quello che era possibile, cioè ammorbidirle. Quale alternativa potevamo avere? L'abolizione totale? Impossibile. Per quella bisogna aspettare, semmai, che negli USA se ne vadano i Dem e vinca Trump e allora vedremo se ci sarà un cambiamento in tal senso.
Chi invece guarda alle cose con sguardo maturo e adulto, si riconosce alla perfezione in ciò che una volta disse un grande dei tempi passati, Ricciardetto, quando scrisse che "la politica è l'arte del possibile. È una sentenza usata e abusata, ma sempre vera. Segna la linea di distinzione fra l'uomo di Stato e l'avventuriero, fra il rivoluzionario e il visionario".
Ai visionari e agli avventurieri rimane il vaneggiamento di rivoluzioni armate che non ci saranno mai se non quando saremo ridotti talmente alla fame che a quel punto non avremo più la forza neanche di alzarci dal letto, figuriamoci di prendere le armi per sparare al nemico. Peggio ancora se siamo guidati da gente che litiga sui social. Oggi, turandomi il naso, sentendomi sempre pronto a cambiare idea, con profondo disagio, voterei la Meloni. E prima che qualcuno mi chieda "Ma tu non eri quello che diceva che bisognava non andare più a votare?", rispondo senza problemi: ho cambiato idea.
Naturalmente nessuno può dire né che la Meloni voglia o sappia fare qualcosa di simile né che l'Italia sia in grado di potersi permettere una politica putiniana. Quel che sappiamo è che chiunque volesse misurarsi nella dialettica democratica non può che muoversi come si sta muovendo lei.
Naturalmente, la sua fedeltà all'asse atlantico ma anche le sue dichiarazioni pro Draghi possono indispettire più di un elettore della cosiddetta area del dissenso. Ma il punto di fondo è che purtroppo molti non considerano che la politica, perlomeno quella condotta istituzionalmente, non è l'arte di poter fare il gran cavolo che si vuole, impippandosene di ciò che ci circonda, ma di saper trarre il meglio dal poco o dal quasi nulla che c'è.
La politica la dobbiamo intendere più o meno come il Burraco. Per chi non conosce le regole, lo scopo del gioco è mettere sul tavolo almeno sette carte di valore diverso ma con lo stesso segno o di segno diverso ma con lo stesso valore e chiaramente fare più punti dell'avversario.
Chi gioca sa che, non di rado, si arriva al punto in cui manca una carta alla chiusura e quella maledetta non arriva. E casomai arriva all'avversario che il burraco lo fa, chiude e ti fa perdere.
Per esempio, quando molti sciocchi dicono che Salvini "aveva tra le mani il paese ma si è bruciato per colpa del Papeete", dimenticano che il leader della Lega non aveva assolutamente un fico secco in mano e che si è dovuto dimettere perché Movimento 5 Stelle e PD stavano preparando una legge ad personam contro di lui, per poi fare il governo giallofucsia che tutti ricordano. Semplicemente aveva una promettente scala da sei in mano, ma sei carte non sono sufficienti ad arrivare al Burraco e l'avversario l'ha anticipato e l'ha battuto.
Fuori di metafora, Giorgia Meloni sa benissimo chi è Draghi, sa benissimo com'è la situazione nel Donbass, ma al momento non ha le carte in mano per fare il gioco che vorrebbero molti suoi elettori.
Certo, chi si aspettava che con lei avremmo avuto l'impero coloniale e il paradiso in terra, magari pure l'uscita dalla NATO, probabilmente è rimasto deluso. Ma chi, come il sottoscritto, queste velleità non le ha mai avute, può valutarla con la serenità di chi non si aspetta nulla se non salvare il salvabile. E la Meloni fa quel poco che può con i mezzi a disposizione che sono oggettivamente miseri. Dandoti sempre la tentazione di randellarla per certe oggettive scemenze ma mostrandosi come il "meno peggio". Perché non è vero che destra e sinistra sono uguali. La destra italiana di oggi è un male, reso tuttavia necessario dalla mefistofelica presenza della sinistra.
Quando il pur ottimo Matteo Brandi sul suo profilo scrive che "il centrodestra è un covo di europeisti autorazzisti quanto il centrosinistra" oppure l'altrettanto talentuoso Matteo Montevecchi si dimette dalla Lega per le sue posizioni pro Zelensky e pro Green Pass, dimenticano che il punto non è se il centrodestra voglia uscire dall'UE e dall'euro ma se possa farlo istituzionalmente. Ebbene, il sistema europeo è bloccato e pensato per sabotare qualsiasi spinta in tal senso. Quello che si può fare è cercare di limitare i danni il più possibile.
Tanto per fare un esempio, è stato grazie a Lega e Fratelli d'Italia che le norme sulle case green sono state di molto ammorbidite. Sono state cancellate? Certo che no. E da proprietario immobiliare dovrei guardare i partiti che in Europa dovrebbero difendere i miei interessi col fumo negli occhi, se non fosse che per il fatto che i numeri per poter cancellare quelle scelleratezze non c'erano. Si è fatto quello che era possibile, cioè ammorbidirle. Quale alternativa potevamo avere? L'abolizione totale? Impossibile. Per quella bisogna aspettare, semmai, che negli USA se ne vadano i Dem e vinca Trump e allora vedremo se ci sarà un cambiamento in tal senso.
Chi invece guarda alle cose con sguardo maturo e adulto, si riconosce alla perfezione in ciò che una volta disse un grande dei tempi passati, Ricciardetto, quando scrisse che "la politica è l'arte del possibile. È una sentenza usata e abusata, ma sempre vera. Segna la linea di distinzione fra l'uomo di Stato e l'avventuriero, fra il rivoluzionario e il visionario".
Ai visionari e agli avventurieri rimane il vaneggiamento di rivoluzioni armate che non ci saranno mai se non quando saremo ridotti talmente alla fame che a quel punto non avremo più la forza neanche di alzarci dal letto, figuriamoci di prendere le armi per sparare al nemico. Peggio ancora se siamo guidati da gente che litiga sui social. Oggi, turandomi il naso, sentendomi sempre pronto a cambiare idea, con profondo disagio, voterei la Meloni. E prima che qualcuno mi chieda "Ma tu non eri quello che diceva che bisognava non andare più a votare?", rispondo senza problemi: ho cambiato idea.
Non è reato né peccato.