Gli atteggiamenti che spesso ci paiono strani di una persona non di rado dipendono dalla professione che svolge. Ho due fulgidi esempi di questo. L'inquilino a cui ho appena fittato casa - che è un commercialista, persona indiscutibilmente molto perbene ma che pianta grane su ogni singolo cavillo - e una mia parente poliziotta che, ogni volta che mi fa domande anche su banalità, lo fa con toni da interrogatorio, scordandosi che io sono il cugino, non un camorrista. Quando scherzosamente glielo faccio notare, mi guarda con l'aria sinceramente contrita di Morgan quando viene piantato in asso da Bugo al Festival di Sanremo. Lo fa senza rendersene conto.
Questi atteggiamenti sono definiti da un'espressione ben precisa che è "deformazione professionale", che indica l'atteggiamento di chi, anche fuori dal posto di lavoro, non smette di comportarsi come se fosse in servizio. E, in effetti, i magistrati hanno, proprio come commercialisti e poliziotti - e avvocati, e informatici, e insegnanti - la propria deformazione professionale che li porta ad essere, anche quando privatamente sono gradevolissime persone (e ne conosco molti), sinceramente convinti di essere gli opliti del bene, sempiternamente impegnati in una perenne palingenesi morale. Quando io sento dire da mia nipote che vuole diventare magistrato per "combattere la mafia", a me si accappona la pelle. Perché questo non è un compito della magistratura ma della società civile e della politica, espressione della società. Un magistrato non deve andare in aula con la convinzione di "fare giustizia" bensì di applicare la legge. Un procuratore e un giudice non sono nient'altro che arbitri che devono fischiare il fallo quando il calciatore prende il pallone con la mano o fa un fallo col piede a martello sull'avversario.
Questa è una cosa che pochi, ubriacati da ridicole fiction che angelicano la figura del magistrato, sembrano ricordare. Un po' è colpa del nostro ordinamento che disegna per esso una sostanziale intoccabilità. Ma moltissimo è colpa dei media che hanno costruito la celebrità di magistrati che poi, per la verità, tutto erano fuorché campioni di professionalità. Sono rari i casi in cui un procuratore viene destituito e di solito avviene proprio quando decide di fare il suo dovere senza accettare pressioni.
Per il resto, molti magistrati vedono in un'inchiesta non il semplice adempimento di una funzione poco più che notarile, ma, nella migliore delle ipotesi, una missione per conto degli angeli del Bene, nella peggiore il passe-partout per arrivare ad una celebrità da monetizzare in qualche modo. Flirtano con i giornalisti, a cui spesso passano documenti protetti da segreto, non si negano alle agiografie di qualche autore compiacente, col risultato inevitabile che chiunque finisca sotto la canea dell'alleanza tra clan giudiziari e giornalismo, rischia letteralmente la morte civile. Meglio non fare nomi ma chi deve capire, ha capito.
Che, insomma, la magistratura italiana, per come è, sia diventata un problema, non lo negano più nemmeno a sinistra. Il punto è che le proposte per risolvere questa emergenza sono peggiori dell'emergenza stessa. Quando, per esempio, sento starnazzare di responsabilità civile, trasecolo. Introdotta sull'onda populistica del caso Tortora - che fu, prima ancora che un errore giudiziario, un abominio della stampa scandalistica - a qualcuno risulta che abbia cambiato qualcosa? Ma poi, soprattutto, i processi servono a stabilire la colpevolezza dell'imputato. Cosa, ordunque, dovrebbe fare un procuratore? Astenersi dal perseguire qualcuno nel timore di essere cacciato se poi si rivela innocente? E' ridicolo anche solo pensare - tenendo conto che oltretutto spesso è protetto da un'assicurazione - di fargli pagare un'eventuale assoluzione dell'inquisito.
Ma quella dei test psicologici a giudici e PM è una ridicolaggine bella e buona. Che parte da una premessa giusta - ossia la presunzione di onnipotenza che è spesso deformazione professionale di molti PM e giudici - per arrivare alla conclusione totalmente fallace che sia possibile capire, da una seduta con lo strizzacervelli, la sanità mentale di un giudice. Sono i classici provvedimenti che non risolvono niente, anzi rendono ridicoli coloro che vogliono combattere lo strapotere dei giudici.
Il vero problema della giustizia italiana, che è poi anche la causa dell'ontologico senso di superiorità di molti giudici, è uno solo: la sua totale autonomia e irresponsabilità. I giudici non rispondono a nessuno di quel che fanno, non devono rendicontare - come invece avviene in America - ad un elettorato, oppure al governo o al parlamento come avviene pressoché in Europa, tranne che in Italia, hanno l'obbligatorietà dell'azione penale che permette loro di aprire un'indagine anche quando non c'è una notitia criminis - cioè anche se nessuno denuncia niente - e, particolarità su cui pochi si soffermano, hanno la titolarità delle indagini. Quest'ultimo è un aspetto fondamentale. Perché se, per esempio, prendiamo la giustizia americana, scopriremo che le indagini vengono condotte dalla Polizia che poi, raccolte le prove, le consegna al procuratore che a quel punto istruisce il processo ma non è coinvolto nella fase precedente. Se in Italia ci fosse stata una situazione del genere, non solo il famoso caso Ruby sarebbe morto e sepolto nella Questura di Milano, ma noi non sapremmo nemmeno chi sia Ruby. E Berlusconi non sarebbe stato assalito da quello scandalo sessuale che ne ha ridotto di molto la credibilità, per giunta in un momento in cui le acque internazionali erano piuttosto agitate.
Ma, senza voler approfondire una vicenda i cui nefasti effetti li paghiamo ancora oggi, si capisce bene come, alla luce di cui sopra, tutti questi aspetti rendano la magistratura un trojan all'interno del potere politico e diano, per forza di cose, al magistrato la convinzione di essere un unto del Signore.
Qualcuno osserva che mettere il magistrato sotto il potere esecutivo o sottoporlo al giudizio del Parlamento o del popolo significherebbe avere una giustizia politicizzata, ed in linea teorica è vero. Ma è anche vero che, paradossalmente, proprio questo garantirebbe la vera imparzialità dei processi - perché il nostro procuratore cercherebbe quanto più possibile proprio di non apparire politicizzato e di fare bene il proprio lavoro, per garantirsi la rielezione - e infine vaccinerebbe i cittadini da quel ridicolo e tragicomico vezzo tipicamente italiano di idolatrare il magistrato e considerarlo un Generale del Bene in lotta contro il male e non, invece, un semplice burocrate chiamato a rispettare la legge, quale essa sia, anche la più sbagliata.
Purtroppo in Italia non si avrà mai una vera riforma della giustizia perché lo strapotere del magistrato è previsto dalla Costituzione e nasce dal presupposto preciso e specifico di limitare il potere politico, rendendolo condizionabile. Cambiare l'ordine delle cose significherebbe rifare daccapo la Costituzione e crearne una nuova, pensata per un paese davvero sovrano. E sappiamo bene quanti poteri esterni non vogliano questo.
Quando Andreotti disse che ci sono due tipologie di pazzi, quelli che si credono Dio e quelli che credono di riformare le Ferrovie dello Stato, si dimenticò di aggiungere una terza tipologia: quelli che vogliono riformare la giustizia. Chi invece pensa di smontare la presunzione di onnipotenza del magistrato con la psicoterapia, quando tutto nell'ordinamento suggerisce a quest'ultimo la sua onnipotenza, non è pazzo.
Questi atteggiamenti sono definiti da un'espressione ben precisa che è "deformazione professionale", che indica l'atteggiamento di chi, anche fuori dal posto di lavoro, non smette di comportarsi come se fosse in servizio. E, in effetti, i magistrati hanno, proprio come commercialisti e poliziotti - e avvocati, e informatici, e insegnanti - la propria deformazione professionale che li porta ad essere, anche quando privatamente sono gradevolissime persone (e ne conosco molti), sinceramente convinti di essere gli opliti del bene, sempiternamente impegnati in una perenne palingenesi morale. Quando io sento dire da mia nipote che vuole diventare magistrato per "combattere la mafia", a me si accappona la pelle. Perché questo non è un compito della magistratura ma della società civile e della politica, espressione della società. Un magistrato non deve andare in aula con la convinzione di "fare giustizia" bensì di applicare la legge. Un procuratore e un giudice non sono nient'altro che arbitri che devono fischiare il fallo quando il calciatore prende il pallone con la mano o fa un fallo col piede a martello sull'avversario.
Questa è una cosa che pochi, ubriacati da ridicole fiction che angelicano la figura del magistrato, sembrano ricordare. Un po' è colpa del nostro ordinamento che disegna per esso una sostanziale intoccabilità. Ma moltissimo è colpa dei media che hanno costruito la celebrità di magistrati che poi, per la verità, tutto erano fuorché campioni di professionalità. Sono rari i casi in cui un procuratore viene destituito e di solito avviene proprio quando decide di fare il suo dovere senza accettare pressioni.
Per il resto, molti magistrati vedono in un'inchiesta non il semplice adempimento di una funzione poco più che notarile, ma, nella migliore delle ipotesi, una missione per conto degli angeli del Bene, nella peggiore il passe-partout per arrivare ad una celebrità da monetizzare in qualche modo. Flirtano con i giornalisti, a cui spesso passano documenti protetti da segreto, non si negano alle agiografie di qualche autore compiacente, col risultato inevitabile che chiunque finisca sotto la canea dell'alleanza tra clan giudiziari e giornalismo, rischia letteralmente la morte civile. Meglio non fare nomi ma chi deve capire, ha capito.
Che, insomma, la magistratura italiana, per come è, sia diventata un problema, non lo negano più nemmeno a sinistra. Il punto è che le proposte per risolvere questa emergenza sono peggiori dell'emergenza stessa. Quando, per esempio, sento starnazzare di responsabilità civile, trasecolo. Introdotta sull'onda populistica del caso Tortora - che fu, prima ancora che un errore giudiziario, un abominio della stampa scandalistica - a qualcuno risulta che abbia cambiato qualcosa? Ma poi, soprattutto, i processi servono a stabilire la colpevolezza dell'imputato. Cosa, ordunque, dovrebbe fare un procuratore? Astenersi dal perseguire qualcuno nel timore di essere cacciato se poi si rivela innocente? E' ridicolo anche solo pensare - tenendo conto che oltretutto spesso è protetto da un'assicurazione - di fargli pagare un'eventuale assoluzione dell'inquisito.
Ma quella dei test psicologici a giudici e PM è una ridicolaggine bella e buona. Che parte da una premessa giusta - ossia la presunzione di onnipotenza che è spesso deformazione professionale di molti PM e giudici - per arrivare alla conclusione totalmente fallace che sia possibile capire, da una seduta con lo strizzacervelli, la sanità mentale di un giudice. Sono i classici provvedimenti che non risolvono niente, anzi rendono ridicoli coloro che vogliono combattere lo strapotere dei giudici.
Il vero problema della giustizia italiana, che è poi anche la causa dell'ontologico senso di superiorità di molti giudici, è uno solo: la sua totale autonomia e irresponsabilità. I giudici non rispondono a nessuno di quel che fanno, non devono rendicontare - come invece avviene in America - ad un elettorato, oppure al governo o al parlamento come avviene pressoché in Europa, tranne che in Italia, hanno l'obbligatorietà dell'azione penale che permette loro di aprire un'indagine anche quando non c'è una notitia criminis - cioè anche se nessuno denuncia niente - e, particolarità su cui pochi si soffermano, hanno la titolarità delle indagini. Quest'ultimo è un aspetto fondamentale. Perché se, per esempio, prendiamo la giustizia americana, scopriremo che le indagini vengono condotte dalla Polizia che poi, raccolte le prove, le consegna al procuratore che a quel punto istruisce il processo ma non è coinvolto nella fase precedente. Se in Italia ci fosse stata una situazione del genere, non solo il famoso caso Ruby sarebbe morto e sepolto nella Questura di Milano, ma noi non sapremmo nemmeno chi sia Ruby. E Berlusconi non sarebbe stato assalito da quello scandalo sessuale che ne ha ridotto di molto la credibilità, per giunta in un momento in cui le acque internazionali erano piuttosto agitate.
Ma, senza voler approfondire una vicenda i cui nefasti effetti li paghiamo ancora oggi, si capisce bene come, alla luce di cui sopra, tutti questi aspetti rendano la magistratura un trojan all'interno del potere politico e diano, per forza di cose, al magistrato la convinzione di essere un unto del Signore.
Qualcuno osserva che mettere il magistrato sotto il potere esecutivo o sottoporlo al giudizio del Parlamento o del popolo significherebbe avere una giustizia politicizzata, ed in linea teorica è vero. Ma è anche vero che, paradossalmente, proprio questo garantirebbe la vera imparzialità dei processi - perché il nostro procuratore cercherebbe quanto più possibile proprio di non apparire politicizzato e di fare bene il proprio lavoro, per garantirsi la rielezione - e infine vaccinerebbe i cittadini da quel ridicolo e tragicomico vezzo tipicamente italiano di idolatrare il magistrato e considerarlo un Generale del Bene in lotta contro il male e non, invece, un semplice burocrate chiamato a rispettare la legge, quale essa sia, anche la più sbagliata.
Purtroppo in Italia non si avrà mai una vera riforma della giustizia perché lo strapotere del magistrato è previsto dalla Costituzione e nasce dal presupposto preciso e specifico di limitare il potere politico, rendendolo condizionabile. Cambiare l'ordine delle cose significherebbe rifare daccapo la Costituzione e crearne una nuova, pensata per un paese davvero sovrano. E sappiamo bene quanti poteri esterni non vogliano questo.
Quando Andreotti disse che ci sono due tipologie di pazzi, quelli che si credono Dio e quelli che credono di riformare le Ferrovie dello Stato, si dimenticò di aggiungere una terza tipologia: quelli che vogliono riformare la giustizia. Chi invece pensa di smontare la presunzione di onnipotenza del magistrato con la psicoterapia, quando tutto nell'ordinamento suggerisce a quest'ultimo la sua onnipotenza, non è pazzo.
E' fesso e basta.