Alle volte lo spunto per una riflessione nasce da un fatto di grande attualità. Altre volte, può derivare da una banale discussione sui social media. Così, se vi ritrovate questo articolo su D'Annunzio, non è per farvi l'ennesima elegia non richiesta di un poeta che si illustra da solo per la grande bellezza che ha lasciato al mondo, ma per denunziare la pericolosa deriva del neopuritanesimo che, nata nei paesi anglosassoni, da decenni tenta di imporsi pervicacemente anche da noi tra statue di Michelangelo censurate, tentativi di riscrivere la storia e la damnatio memoriae di artisti che in vita furono tutt'altro che modelli di saper vivere.
La cosa fondamentale da capire è che l'arte non nasce dal ricavato di una lezione di educazione civica ma da un impulso interiore che promana sempre dall'amore per qualcosa (la patria) o qualcuno (una donna o anche un amico) o, come nel caso dell'Orlando Furioso, da una parodia (e che parodia) di espressioni artistiche precedenti, su cui evidentemente Ariosto sentiva l'impulso di satireggiare. Nascendo dall'istinto, l'arte e la cultura non possono mai essere qualcosa di totalmente educato, altrimenti perdono la propria autenticità. Di conseguenza, gli artisti e gli intellettuali che più hanno lasciato il segno nella storia, erano nel 99% dei casi persone con il cervello non proprio ben assestato e che, non a caso, poi hanno pagato in vita il peso dei propri eccessi. Non c'è bisogno di andare a scandagliare la biografia dei grandi del passato nella velleità di apparire colti: basti arrivare ai giorni nostri e pensare a quanto quell'orribile mostro dell'AIDS ci abbia privato di tanta di quella musica che veri e propri geni come Freddie Mercury, Prince, George Michael potevano ancora scrivere. Si fa presto a dire "se avessero messo il cappuccio sul pisello o se meglio avessero tenuto a bada la patta, starebbero ancora qui". Vero. Ma quella stessa inquietudine che li ha portati ad avere la vita dissennata che ben conosciamo, era la stessa che poi ha sfornato i capolavori che hanno lasciato al mondo.
Questo in cosa ci porta a D'Annunzio? Un utente su Facebook ci ha riferito di un documentario sulla sua vita e una sua amica - che tra l'altro fa anche parte dei miei contatti - non ha trovato niente di meglio che riempirlo di insulti, ricordando le numerose ombre della sua vita privata, nonché i suoi agganci con la massoneria.
E di fronte ad un'obiezione del genere, la persona razionale non fa altro che rispondere in un modo solo: embè? E dove sta scritto che un artista deve vivere in maniera irreprensibile? Chi l'ha detto che deve dire soltanto le cose giuste?
Sì, qualcuno l'ha detto. Sono gli ultrà delle pagine dei maestri di pensiero di questa soffocante, ributtante, omologante epoca postmoderna, i quali si attaccano a qualsiasi macchia della vita di un artista, per giustificare la cultura della cancellazione che è arrivata a colpire persino l'inventore della lingua italiana, quel Dante politicamente scorretto, icastico, aggressivo, violento che prima Benigni tenta di trasformare in uno squallido professor Keating dell'orrendo Attimo Fuggente e poi i neoprogressisti tentano di rimuovere dai programmi scolastici.
D'Annunzio non va discusso. Va amato o, se proprio non si ama il bello della sua scrittura, della sua capacità unica di trasformare i propri romanzi e le proprie poesie in dipinti e sculture immaginari, al limite va riposto in un cassetto, senza stare a malignare sulla sua vita, specialmente se nella propria non si è lasciata traccia se non del proprio bieco e becero moralismo. E io che appartengo a coloro che, quando lasceranno questa terra, non avranno lasciato nulla se non qualche scrittura sull'acqua dei bit digitali, mi limito a godere della sua arte, senza pretendere che rispettasse il galateo o il manuale del perfetto puritano.
Un mondo di persone senza macchia non è possibile senza che al contempo divenga un mondo di morti che, nella migliore delle ipotesi, la propria arte se la tiene in casa giusto per i parenti, e nella peggiore decida che non valga la pena dare sfogo all'immaginazione, al desiderio di rompere gli schemi della conformità alle mode imperanti, preferendo ad esse la sterilizzazione della propria creatività.
La cosa fondamentale da capire è che l'arte non nasce dal ricavato di una lezione di educazione civica ma da un impulso interiore che promana sempre dall'amore per qualcosa (la patria) o qualcuno (una donna o anche un amico) o, come nel caso dell'Orlando Furioso, da una parodia (e che parodia) di espressioni artistiche precedenti, su cui evidentemente Ariosto sentiva l'impulso di satireggiare. Nascendo dall'istinto, l'arte e la cultura non possono mai essere qualcosa di totalmente educato, altrimenti perdono la propria autenticità. Di conseguenza, gli artisti e gli intellettuali che più hanno lasciato il segno nella storia, erano nel 99% dei casi persone con il cervello non proprio ben assestato e che, non a caso, poi hanno pagato in vita il peso dei propri eccessi. Non c'è bisogno di andare a scandagliare la biografia dei grandi del passato nella velleità di apparire colti: basti arrivare ai giorni nostri e pensare a quanto quell'orribile mostro dell'AIDS ci abbia privato di tanta di quella musica che veri e propri geni come Freddie Mercury, Prince, George Michael potevano ancora scrivere. Si fa presto a dire "se avessero messo il cappuccio sul pisello o se meglio avessero tenuto a bada la patta, starebbero ancora qui". Vero. Ma quella stessa inquietudine che li ha portati ad avere la vita dissennata che ben conosciamo, era la stessa che poi ha sfornato i capolavori che hanno lasciato al mondo.
Questo in cosa ci porta a D'Annunzio? Un utente su Facebook ci ha riferito di un documentario sulla sua vita e una sua amica - che tra l'altro fa anche parte dei miei contatti - non ha trovato niente di meglio che riempirlo di insulti, ricordando le numerose ombre della sua vita privata, nonché i suoi agganci con la massoneria.
E di fronte ad un'obiezione del genere, la persona razionale non fa altro che rispondere in un modo solo: embè? E dove sta scritto che un artista deve vivere in maniera irreprensibile? Chi l'ha detto che deve dire soltanto le cose giuste?
Sì, qualcuno l'ha detto. Sono gli ultrà delle pagine dei maestri di pensiero di questa soffocante, ributtante, omologante epoca postmoderna, i quali si attaccano a qualsiasi macchia della vita di un artista, per giustificare la cultura della cancellazione che è arrivata a colpire persino l'inventore della lingua italiana, quel Dante politicamente scorretto, icastico, aggressivo, violento che prima Benigni tenta di trasformare in uno squallido professor Keating dell'orrendo Attimo Fuggente e poi i neoprogressisti tentano di rimuovere dai programmi scolastici.
D'Annunzio non va discusso. Va amato o, se proprio non si ama il bello della sua scrittura, della sua capacità unica di trasformare i propri romanzi e le proprie poesie in dipinti e sculture immaginari, al limite va riposto in un cassetto, senza stare a malignare sulla sua vita, specialmente se nella propria non si è lasciata traccia se non del proprio bieco e becero moralismo. E io che appartengo a coloro che, quando lasceranno questa terra, non avranno lasciato nulla se non qualche scrittura sull'acqua dei bit digitali, mi limito a godere della sua arte, senza pretendere che rispettasse il galateo o il manuale del perfetto puritano.
Un mondo di persone senza macchia non è possibile senza che al contempo divenga un mondo di morti che, nella migliore delle ipotesi, la propria arte se la tiene in casa giusto per i parenti, e nella peggiore decida che non valga la pena dare sfogo all'immaginazione, al desiderio di rompere gli schemi della conformità alle mode imperanti, preferendo ad esse la sterilizzazione della propria creatività.
A tutti costoro non rimane che l'oscena Venere degli stracci o qualche canzone neomelodica/trap.