Una delle battute più ricorrenti che sento fare sui social da chi non ne può più dei deliri ecologisti è più o meno questa: "tutte le volte che sento parlare di ecologia, mi viene voglia di inquinare". Al tempo stesso, mi sono reso conto che mi scappano molti più sfottò del passato contro i simboli dell'antirazzismo, dell'antiomofobia e dell'antifascismo, al punto che il fascistometro della buonanima della Murgia, se mi misurasse, probabilmente denuncerebbe una febbre altissima. In realtà, non soltanto amo la natura al punto che vorrei ritirarmi a vivere in campagna, non soltanto ho amicizie con persone meravigliose che appartengono alle categorie oggi di moda nella cultura woke, ma penso persino di essere molto più progressista di quanto si potrebbe pensare ad una prima lettura dei miei post.
E allora come si spiegano certe mie reazioni? Certe mie battute? Una risposta potrebbe risiedere in quel mio istintaccio che mi porta sempre a diffidare delle icone della bontà e dei capri espiatori. Tutte le volte che vedo i media disegnare santi e demoni, subito mi insospettisco e sento puzza di truffa. In realtà, gran parte della mia insofferenza risiede nella consapevolezza di come i progressisti siano, almeno per un 99% dei casi, di un'arroganza e una spocchia tale, da ottenere l'esatto opposto di ciò che vorrebbero. Questa tesi la sostenne, coraggiosamente, anche Ricolfi - intellettuale di sinistra - in un libro che, ponendosi già nel titolo la domanda "Perché siamo antipatici?", descriveva impietosamente, con un'onestà intellettuale rarissima dalle sue parti, quell'urticanza che ha sempre impedito alla sinistra di diventare egemone anche nel consenso.
Questa lunga premessa giusto per parlare del caso Acerbi. Come tutti gli sportivi sanno, il difensore dell'Inter e della Nazionale rischia una lunga squalifica per non meglio precisati insulti razzisti rivolti a Juan Jesus, calciatore brasiliano del Napoli. Che se ci sono stati, non c'è dubbio che vadano puniti. Un minuto dopo, un principio aureo del diritto predica la proporzionalità della pena. Se facciamo pagare una multa di 300-400 euro ad un idiota che tocca il sedere di una giornalista mentre sta facendo un video, troveremo tutto questo ragionevole. Se gli dobbiamo far pagare 25.000 euro che nemmeno ha, magari facendogli ipotecare casa manco le avesse rotto il femore, sinceramente la cosa diventa eccessiva oltre che allarmante.
L'insulto razzista è senza dubbio sgradevole ma non stiamo parlando di un'aggressione col machete o di un calcio nelle palle. Una multa salata ma ragionevole, un paio di giornate di squalifica, sono più che sufficienti per far passare un principio chiaro e condivisibile, senza dover ogni volta vellicare l'insopportabile puritanesimo che ormai invade tutti i gangli della vita civile, compreso il calcio dove non si può far a meno di notare come i suoi protagonisti siano diventati tanti piccoli robottini che dicono sempre le solite banalità.
Acerbi, che probabilmente verrà squalificato per dieci giornate - più delle otto che Materazzi si prese per aver picchiato Cirillo, giusto per dire l'assurdità della cosa - e che verrà escluso dalla Nazionale, ormai è consacrato come nuovo Totò Riina a cui rivolgere giornate dell'odio. Mentre nessuno nota il comportamento manipolatorio di Juan Jesus, che prima va a strattonare la "gonnella" dell'arbitro per far espellere Acerbi, poi gioca a fare il magnanimo davanti ai microfoni dicendo che "sono cose che finiscono in campo", in un profluvio di retorica, di imbecillità e, va detto, in qualche caso anche di comicità involontaria, come quella di Auriemma che, riuscendo nell'impresa di rimanere serio, è arrivato a dire "Le mamme e le sorelle offendetele quanto vi pare, ma i neri no", oppure del fesso che ha chiesto ad Acerbi di tingersi la faccia di nero per espiare la propria colpa. Per non parlare di un avvocato, Chiacchio, che ha detto una grande chiacchiata e cioè che deve essere Acerbi a dimostrare la propria estraneità all'insulto. Strano, fino a ieri credevamo che l'onere della prova spettasse all'accusa.
Domanda: il progressismo da tutta questa bigionica ne ricaverà un tornaconto? No. Perché il razzismo non lo si combatte con queste cagnare mediatiche. Come non si combatte l'omofobia mettendola al primo posto di interi dibattiti. I progressisti, anche quando partono da battaglie ideologiche in linea di principio condivisibili, sbagliano completamente approccio perché usando gli orwelliani mezzi, metodi e strumenti di una classe dirigente che sta distruggendo il paese, di fatto si identificano con essa.
La gente che oggi vede i media accanirsi contro Acerbi fa questo rapido ragionamento: appartengono a quelle stesse classi dirigenti che mi stanno impoverendo? L'antirazzismo, l'omonormatività, l'antifascismo sono i linguaggi del potere? Perfetto, allora visto che quello stesso potere mi sta impoverendo, allora divento razzista. Se invece essere gay, neri e antifascisti coincidesse col diventare ricchi, state tranquilli che i Gay Pride sarebbero pieni di quegli stessi che oggi stanno diventando omofobi.
La mente umana è molto più basica di quel che crediamo.
E allora come si spiegano certe mie reazioni? Certe mie battute? Una risposta potrebbe risiedere in quel mio istintaccio che mi porta sempre a diffidare delle icone della bontà e dei capri espiatori. Tutte le volte che vedo i media disegnare santi e demoni, subito mi insospettisco e sento puzza di truffa. In realtà, gran parte della mia insofferenza risiede nella consapevolezza di come i progressisti siano, almeno per un 99% dei casi, di un'arroganza e una spocchia tale, da ottenere l'esatto opposto di ciò che vorrebbero. Questa tesi la sostenne, coraggiosamente, anche Ricolfi - intellettuale di sinistra - in un libro che, ponendosi già nel titolo la domanda "Perché siamo antipatici?", descriveva impietosamente, con un'onestà intellettuale rarissima dalle sue parti, quell'urticanza che ha sempre impedito alla sinistra di diventare egemone anche nel consenso.
Questa lunga premessa giusto per parlare del caso Acerbi. Come tutti gli sportivi sanno, il difensore dell'Inter e della Nazionale rischia una lunga squalifica per non meglio precisati insulti razzisti rivolti a Juan Jesus, calciatore brasiliano del Napoli. Che se ci sono stati, non c'è dubbio che vadano puniti. Un minuto dopo, un principio aureo del diritto predica la proporzionalità della pena. Se facciamo pagare una multa di 300-400 euro ad un idiota che tocca il sedere di una giornalista mentre sta facendo un video, troveremo tutto questo ragionevole. Se gli dobbiamo far pagare 25.000 euro che nemmeno ha, magari facendogli ipotecare casa manco le avesse rotto il femore, sinceramente la cosa diventa eccessiva oltre che allarmante.
L'insulto razzista è senza dubbio sgradevole ma non stiamo parlando di un'aggressione col machete o di un calcio nelle palle. Una multa salata ma ragionevole, un paio di giornate di squalifica, sono più che sufficienti per far passare un principio chiaro e condivisibile, senza dover ogni volta vellicare l'insopportabile puritanesimo che ormai invade tutti i gangli della vita civile, compreso il calcio dove non si può far a meno di notare come i suoi protagonisti siano diventati tanti piccoli robottini che dicono sempre le solite banalità.
Acerbi, che probabilmente verrà squalificato per dieci giornate - più delle otto che Materazzi si prese per aver picchiato Cirillo, giusto per dire l'assurdità della cosa - e che verrà escluso dalla Nazionale, ormai è consacrato come nuovo Totò Riina a cui rivolgere giornate dell'odio. Mentre nessuno nota il comportamento manipolatorio di Juan Jesus, che prima va a strattonare la "gonnella" dell'arbitro per far espellere Acerbi, poi gioca a fare il magnanimo davanti ai microfoni dicendo che "sono cose che finiscono in campo", in un profluvio di retorica, di imbecillità e, va detto, in qualche caso anche di comicità involontaria, come quella di Auriemma che, riuscendo nell'impresa di rimanere serio, è arrivato a dire "Le mamme e le sorelle offendetele quanto vi pare, ma i neri no", oppure del fesso che ha chiesto ad Acerbi di tingersi la faccia di nero per espiare la propria colpa. Per non parlare di un avvocato, Chiacchio, che ha detto una grande chiacchiata e cioè che deve essere Acerbi a dimostrare la propria estraneità all'insulto. Strano, fino a ieri credevamo che l'onere della prova spettasse all'accusa.
Domanda: il progressismo da tutta questa bigionica ne ricaverà un tornaconto? No. Perché il razzismo non lo si combatte con queste cagnare mediatiche. Come non si combatte l'omofobia mettendola al primo posto di interi dibattiti. I progressisti, anche quando partono da battaglie ideologiche in linea di principio condivisibili, sbagliano completamente approccio perché usando gli orwelliani mezzi, metodi e strumenti di una classe dirigente che sta distruggendo il paese, di fatto si identificano con essa.
La gente che oggi vede i media accanirsi contro Acerbi fa questo rapido ragionamento: appartengono a quelle stesse classi dirigenti che mi stanno impoverendo? L'antirazzismo, l'omonormatività, l'antifascismo sono i linguaggi del potere? Perfetto, allora visto che quello stesso potere mi sta impoverendo, allora divento razzista. Se invece essere gay, neri e antifascisti coincidesse col diventare ricchi, state tranquilli che i Gay Pride sarebbero pieni di quegli stessi che oggi stanno diventando omofobi.
La mente umana è molto più basica di quel che crediamo.
Franco Marino