Parlare di Gianfranco Fini, devo confessarlo, mi imbarazza un po'. Tanto per cominciare, nel mondo stanno accadendo tante e tali cose che potrebbe lecitamente apparire ridicolo riservare un articolo ad un personaggio che fu importante ma in epoche così lontane da apparire quasi geologiche. Oggi il suo nome è così irrilevante da riempire di inutilità qualsiasi cosa gli si dedichi. Per quasi dieci anni, dopo essere finito fuori dai giochi della politica, è stato assente dal dibattito televisivo. Vi si è riaffacciato soltanto di recente - facendo, con la solita spocchia, la figura della mosca cocchiera - e, diciamoci la verità, rivedendolo invecchiato nel volto e nella voce, un po' tutti abbiamo pensato: ma davvero è passato tutto questo tempo? Davvero per anni ci siamo divisi tra berlusconiani e finiani?
Il covid e la guerra in Ucraina hanno fatto accelerare l'orologio della storia a ritmi così vertiginosi, che Fini sembra coetaneo dei dinosauri: eppure parliamo di poco più di dieci anni, nemmeno tanti.
E tuttavia, se il suo nome torna alla ribalta è perché la notizia del giorno è che la procura di Roma ha chiesto per lui una condanna ad otto anni di reclusione per via della vicenda della casa di Montecarlo. Non ha senso riassumere qui la vicenda giudiziaria, estremamente complessa e che questa pagina non ha l'ambizione di chiarire. Anche perché chi ragiona di politica senza le lenti rosa dell'onestà grillina - e, a proposito: sembrano passate ere geologiche pure da quella deriva onestista - sa benissimo che ogni politico di spessore si porta appresso qualche scheletruccio nell'armadio. In sintesi, può tanto darsi che Fini sia colpevole di una sporchissima operazione di riciclaggio, tanto essere - come io credo - in buonafede ed aver commesso delle sventatezze, più che dei reati. Qui conta un altro punto che chiarisce il titolo: la fine che fanno coloro che tradiscono la propria comunità politica. Perché di questo si tratta.
Fini è stato, per un ventennio, un leader storico della destra italiana.
Personalmente, per il poco che può contare, non l'ho mai sopportato. L'ho sempre visto come l'emblema di una destra con i complessi di inferiorità, sempre a scodinzolante caccia della carezza del nemico, in nome della quale rinnegare tutti i valori della propria cultura storica. Amato dagli avversari, rispettato ma mai amato dai suoi elettori, odiato dai luogotenenti storici del vecchio MSI - che lo hanno sempre visto come un abusivo dalle palle mosce, imposto loro, per misteriosi motivi, da Almirante e Tatarella - e certamente non aiutato dal suo carattere arrogante, sprezzante ed elitario, il suo problema è che si è sempre trovato a dover confrontarsi con un personaggio molto più ingombrante e rappresentativo di quel ceto medio attaccato dalla sinistra, quel Berlusconi che fu Trump prima del Trump vero e proprio e dunque molto più in sintonia col popolo conservatore.
I due sono andati d'amore e d'accordo - più d'accordo che d'amore, a dire il vero - fintanto che ad un certo punto Berlusconi decise di fondare il Popolo della Libertà. A quel punto Fini, forse perché timoroso di perdere il potere acquisito con AN o anche legittimamente coltivando il sogno di ereditare i suoi consensi, scelse di azzopparlo nella maniera più sbagliata e controproducente, prestando il fianco ai nemici politici del Cavaliere. Fondò un partito, Futuro e Libertà, la cui acida vocazione era quello di dare addosso al suo ex-alleato e da quel momento non si contarono le partecipazioni alle trasmissioni politiche della sinistra, i fianchi prestati all'aggressione giudiziaria contro Forza Italia, gli inviti rivolti a Travaglio nei comizi di partito, a proporre il pretestuoso tema della legalità, in chiave chiaramente antiberlusconiana.
L'elettorato di centrodestra che, pur in qualche sfumatura differenziale, è sempre stato fortemente unito, questa svolta non la capì e scomunicò Fini, la cui sola evocazione del nome, all'elettore di centrodestra di oggi, provoca l'orticaria. Che poi tutto questo fosse, come sostiene Laboccetta, suo storico sodale, un complotto organizzato da Napolitano per defenestrare Berlusconi oppure un disegno politico di Fini per lanciare un'OPA sulla destra italiana, non si potrà mai sapere con certezza. Quel che tutti sanno è che se, per assurdo, rientrasse in politica con un progetto di qualche tipo, non lo voterebbero nemmeno i suoi familiari. Perché in politica è ammesso qualsiasi tradimento, tranne quello alla propria comunità.
Ecco in quale senso parlare di Fini può avere un'utilità. La sua vicenda personale e politica rappresenta la fulgida lezione, il perfetto manuale di come non bisogna fare politica. Chi decide di "scendere in campo", deve ben presto capire che ha un solo padrone: l'elettore.
Che poi dietro la vicenda di Montecarlo vi sia un suo ruolo diretto o indiretto, non rileva. Un elettore berlusconiano che ha passato vent'anni a difendere il Cavaliere solidarizza in linea di principio con chiunque sia vittima della stessa canea.
Fini si è già ridotto alla morte civile e alla totale irrilevanza. Indipendentemente dalle sue effettive responsabilità, infierire su di lui augurandogli la galera sarebbe da codardi.
Il covid e la guerra in Ucraina hanno fatto accelerare l'orologio della storia a ritmi così vertiginosi, che Fini sembra coetaneo dei dinosauri: eppure parliamo di poco più di dieci anni, nemmeno tanti.
E tuttavia, se il suo nome torna alla ribalta è perché la notizia del giorno è che la procura di Roma ha chiesto per lui una condanna ad otto anni di reclusione per via della vicenda della casa di Montecarlo. Non ha senso riassumere qui la vicenda giudiziaria, estremamente complessa e che questa pagina non ha l'ambizione di chiarire. Anche perché chi ragiona di politica senza le lenti rosa dell'onestà grillina - e, a proposito: sembrano passate ere geologiche pure da quella deriva onestista - sa benissimo che ogni politico di spessore si porta appresso qualche scheletruccio nell'armadio. In sintesi, può tanto darsi che Fini sia colpevole di una sporchissima operazione di riciclaggio, tanto essere - come io credo - in buonafede ed aver commesso delle sventatezze, più che dei reati. Qui conta un altro punto che chiarisce il titolo: la fine che fanno coloro che tradiscono la propria comunità politica. Perché di questo si tratta.
Fini è stato, per un ventennio, un leader storico della destra italiana.
Personalmente, per il poco che può contare, non l'ho mai sopportato. L'ho sempre visto come l'emblema di una destra con i complessi di inferiorità, sempre a scodinzolante caccia della carezza del nemico, in nome della quale rinnegare tutti i valori della propria cultura storica. Amato dagli avversari, rispettato ma mai amato dai suoi elettori, odiato dai luogotenenti storici del vecchio MSI - che lo hanno sempre visto come un abusivo dalle palle mosce, imposto loro, per misteriosi motivi, da Almirante e Tatarella - e certamente non aiutato dal suo carattere arrogante, sprezzante ed elitario, il suo problema è che si è sempre trovato a dover confrontarsi con un personaggio molto più ingombrante e rappresentativo di quel ceto medio attaccato dalla sinistra, quel Berlusconi che fu Trump prima del Trump vero e proprio e dunque molto più in sintonia col popolo conservatore.
I due sono andati d'amore e d'accordo - più d'accordo che d'amore, a dire il vero - fintanto che ad un certo punto Berlusconi decise di fondare il Popolo della Libertà. A quel punto Fini, forse perché timoroso di perdere il potere acquisito con AN o anche legittimamente coltivando il sogno di ereditare i suoi consensi, scelse di azzopparlo nella maniera più sbagliata e controproducente, prestando il fianco ai nemici politici del Cavaliere. Fondò un partito, Futuro e Libertà, la cui acida vocazione era quello di dare addosso al suo ex-alleato e da quel momento non si contarono le partecipazioni alle trasmissioni politiche della sinistra, i fianchi prestati all'aggressione giudiziaria contro Forza Italia, gli inviti rivolti a Travaglio nei comizi di partito, a proporre il pretestuoso tema della legalità, in chiave chiaramente antiberlusconiana.
L'elettorato di centrodestra che, pur in qualche sfumatura differenziale, è sempre stato fortemente unito, questa svolta non la capì e scomunicò Fini, la cui sola evocazione del nome, all'elettore di centrodestra di oggi, provoca l'orticaria. Che poi tutto questo fosse, come sostiene Laboccetta, suo storico sodale, un complotto organizzato da Napolitano per defenestrare Berlusconi oppure un disegno politico di Fini per lanciare un'OPA sulla destra italiana, non si potrà mai sapere con certezza. Quel che tutti sanno è che se, per assurdo, rientrasse in politica con un progetto di qualche tipo, non lo voterebbero nemmeno i suoi familiari. Perché in politica è ammesso qualsiasi tradimento, tranne quello alla propria comunità.
Ecco in quale senso parlare di Fini può avere un'utilità. La sua vicenda personale e politica rappresenta la fulgida lezione, il perfetto manuale di come non bisogna fare politica. Chi decide di "scendere in campo", deve ben presto capire che ha un solo padrone: l'elettore.
Che poi dietro la vicenda di Montecarlo vi sia un suo ruolo diretto o indiretto, non rileva. Un elettore berlusconiano che ha passato vent'anni a difendere il Cavaliere solidarizza in linea di principio con chiunque sia vittima della stessa canea.
Fini si è già ridotto alla morte civile e alla totale irrilevanza. Indipendentemente dalle sue effettive responsabilità, infierire su di lui augurandogli la galera sarebbe da codardi.
Da questa modesta pagina ci auguriamo la sua assoluzione e che si goda la sua ricca pensione da politico, sparendo nel meritato oblio.