A Novembre in America si terranno le elezioni e molti autorevoli commentatori sostengono che saranno le più importanti se non della storia dell'umanità, perlomeno dell'Occidente come lo abbiamo conosciuto. Questa è una tesi condivisa all'unanimità da trumpiani e bideniani, anche se da punti di vista ovviamente diversi, nel senso che ognuno ritiene il proprio candidato la salvezza dell'umanità e quello avversario la catastrofe.
La persona razionale e di buonsenso sa che sono soltanto chiacchiere e tabacchere 'e lignamm' che, come recita un vecchio adagio delle mie parti, il Banco di Napoli non piglia in pegno. Non perché l'avvenire ci riservi effettivamente rose e fiori - che anzi, ci sono validissimi motivi per preoccuparsi - ma perché è, sempre, un errore ritenere i politici molto più importanti delle circostanze in cui debbono agire. Chi, per esempio, si illudesse che con l'elezione di Trump finirà la guerra in Ucraina, commetterebbe un grave errore, come chi desse per scontato che, con Biden al potere, la guerra continuerà.
La politica e a maggior ragione la geopolitica sono come una partita a carte. Può mancare una carta alla realizzazione del gioco che ci farà vincere la smazzata ma la carta maledetta non arriva e invece arriva all'avversario che ci frega - come avvenne a Salvini nel 2019 - oppure ci si può trovare nella situazione di avere un gioco in testa per poi scoprire che conviene cambiarlo, come è avvenuto a Conte tra il suo primo e il suo secondo governo. Tutti questi scenari potrebbero accadere sia a Biden, se verrà rieletto, sia a Trump se dovesse tornare presidente. In particolare, si parte da un presupposto fallace che vulnera ogni discorso successivo: l'idea che esistano due Americhe, una isolazionista e una globalista. Ma fallace perché?
Tutti danno per scontato un globalismo che non esiste né è mai esistito. Un mondo globalizzato implica una sola autorità centrale fondata su determinati valori imposti all'intero globo terracqueo. E' facile capire che, con una Federazione Russa che da venticinque anni mette in gattabuia decine di oligarchi sospettati di trescare col nemico e con una Cina che ha praticamente fatto sparire il patron di Alibaba - che non si sa più che fine abbia fatto - e dove ci sono censure incrociate di ogni genere su tutti i grandi competitori di tutte le branche dell'economia, non si possa certo parlare di globalismo che è, invece, semplicemente il nome dell'imperialismo americano né più né meno di come l'internazionalismo era il nome dell'imperialismo sovietico.
E tuttavia, già la conferenza di Davos del 2009 ha ufficializzato - sotto il governo Obama, ossia di un presunto globalista - la fine del grande ordine mondiale a marca americana. A quel punto, la scelta è tra come levare le tende dall'Europa. E sostanzialmente esistono due teorie: quella democratica di cercare di dilazionare il più possibile la fine della NATO e dell'Eurozona, e quella repubblicana di ufficializzarla il prima possibile.
Nel primo caso, si tratta di arraffare tutte le ricchezze artificiali con cui gli americani, col piano Marshall, hanno nutrito l'Europa al fine di evitare che finisse sotto l'influenza sovietica, ma in maniera tale che le opinioni pubbliche europee se ne accorgano il più tardi possibile, quando i pozzi sono inquinati.
Nel secondo caso, si tratta di fare esattamente il discorso che ha fatto Trump giorni fa: "Cari signori, il tempo in cui noi americani vi paravamo il sedere con tutta la teppaglia sparsa in giro per il mondo è finita. Ora o pagate oppure sono guai per voi".
Trump, sostanzialmente, è una sorta di Gorbaciov americano. Così come l'originale, attraverso la perestroika e la glasnost, accelerò la fine di un'URSS del tutto insostenibile che comunque sarebbe avvenuta lo stesso, così l'omologo americano vuole accelerare la fine se non degli Stati Uniti quantomeno di un'epoca storica, quella dell'espansionismo americano.
Quello su cui le vere classi dirigenti americane concordano è la decisione di impoverire l'Europa.
Si capisce perfettamente, quindi, che non è una questione di isolazionismo contro globalismo, ma che l'isolazionismo è stato già deciso e si tratta soltanto di capire se sodomizzare l'Europa con o senza la vaselina.
L'italiano - ma in generale l'europeo - medio questo non lo capisce: pensa che la salvezza verrà dal cavaliere bianco che lo salverà da fuori, illudendosi che la condizione del 1945 di perdere una guerra e di ritrovarsi, dopo qualche anno, più ricchi di prima nonostante la catastrofica sconfitta, si possa ripetere, ignorando che gli accordi di Yalta furono un unicum incidentale nella storia che, invece, ci racconta come tutte le guerre perse causino la fine della propria nazione e delle proprie libertà, quando non accade talvolta che sia un'intera civiltà a finire nella pattumiera della storia.
Si capisce benissimo, quindi, che tifare per Trump o per Biden non abbia il minimo senso. Sono due facce della stessa medaglia di un'America in grave crisi finanziaria, sociale e politica, che ha investito troppo in un espansionismo su scala mondiale che ormai mostra la corda e che vuole semplicemente sgozzare il maiale grasso europeo e la cui divisione è se cuocerlo a fuoco lento oppure a fiamma alta.
Dal punto di vista del maiale, non è che cambi molto.
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La persona razionale e di buonsenso sa che sono soltanto chiacchiere e tabacchere 'e lignamm' che, come recita un vecchio adagio delle mie parti, il Banco di Napoli non piglia in pegno. Non perché l'avvenire ci riservi effettivamente rose e fiori - che anzi, ci sono validissimi motivi per preoccuparsi - ma perché è, sempre, un errore ritenere i politici molto più importanti delle circostanze in cui debbono agire. Chi, per esempio, si illudesse che con l'elezione di Trump finirà la guerra in Ucraina, commetterebbe un grave errore, come chi desse per scontato che, con Biden al potere, la guerra continuerà.
La politica e a maggior ragione la geopolitica sono come una partita a carte. Può mancare una carta alla realizzazione del gioco che ci farà vincere la smazzata ma la carta maledetta non arriva e invece arriva all'avversario che ci frega - come avvenne a Salvini nel 2019 - oppure ci si può trovare nella situazione di avere un gioco in testa per poi scoprire che conviene cambiarlo, come è avvenuto a Conte tra il suo primo e il suo secondo governo. Tutti questi scenari potrebbero accadere sia a Biden, se verrà rieletto, sia a Trump se dovesse tornare presidente. In particolare, si parte da un presupposto fallace che vulnera ogni discorso successivo: l'idea che esistano due Americhe, una isolazionista e una globalista. Ma fallace perché?
Tutti danno per scontato un globalismo che non esiste né è mai esistito. Un mondo globalizzato implica una sola autorità centrale fondata su determinati valori imposti all'intero globo terracqueo. E' facile capire che, con una Federazione Russa che da venticinque anni mette in gattabuia decine di oligarchi sospettati di trescare col nemico e con una Cina che ha praticamente fatto sparire il patron di Alibaba - che non si sa più che fine abbia fatto - e dove ci sono censure incrociate di ogni genere su tutti i grandi competitori di tutte le branche dell'economia, non si possa certo parlare di globalismo che è, invece, semplicemente il nome dell'imperialismo americano né più né meno di come l'internazionalismo era il nome dell'imperialismo sovietico.
E tuttavia, già la conferenza di Davos del 2009 ha ufficializzato - sotto il governo Obama, ossia di un presunto globalista - la fine del grande ordine mondiale a marca americana. A quel punto, la scelta è tra come levare le tende dall'Europa. E sostanzialmente esistono due teorie: quella democratica di cercare di dilazionare il più possibile la fine della NATO e dell'Eurozona, e quella repubblicana di ufficializzarla il prima possibile.
Nel primo caso, si tratta di arraffare tutte le ricchezze artificiali con cui gli americani, col piano Marshall, hanno nutrito l'Europa al fine di evitare che finisse sotto l'influenza sovietica, ma in maniera tale che le opinioni pubbliche europee se ne accorgano il più tardi possibile, quando i pozzi sono inquinati.
Nel secondo caso, si tratta di fare esattamente il discorso che ha fatto Trump giorni fa: "Cari signori, il tempo in cui noi americani vi paravamo il sedere con tutta la teppaglia sparsa in giro per il mondo è finita. Ora o pagate oppure sono guai per voi".
Trump, sostanzialmente, è una sorta di Gorbaciov americano. Così come l'originale, attraverso la perestroika e la glasnost, accelerò la fine di un'URSS del tutto insostenibile che comunque sarebbe avvenuta lo stesso, così l'omologo americano vuole accelerare la fine se non degli Stati Uniti quantomeno di un'epoca storica, quella dell'espansionismo americano.
Quello su cui le vere classi dirigenti americane concordano è la decisione di impoverire l'Europa.
Si capisce perfettamente, quindi, che non è una questione di isolazionismo contro globalismo, ma che l'isolazionismo è stato già deciso e si tratta soltanto di capire se sodomizzare l'Europa con o senza la vaselina.
L'italiano - ma in generale l'europeo - medio questo non lo capisce: pensa che la salvezza verrà dal cavaliere bianco che lo salverà da fuori, illudendosi che la condizione del 1945 di perdere una guerra e di ritrovarsi, dopo qualche anno, più ricchi di prima nonostante la catastrofica sconfitta, si possa ripetere, ignorando che gli accordi di Yalta furono un unicum incidentale nella storia che, invece, ci racconta come tutte le guerre perse causino la fine della propria nazione e delle proprie libertà, quando non accade talvolta che sia un'intera civiltà a finire nella pattumiera della storia.
Si capisce benissimo, quindi, che tifare per Trump o per Biden non abbia il minimo senso. Sono due facce della stessa medaglia di un'America in grave crisi finanziaria, sociale e politica, che ha investito troppo in un espansionismo su scala mondiale che ormai mostra la corda e che vuole semplicemente sgozzare il maiale grasso europeo e la cui divisione è se cuocerlo a fuoco lento oppure a fiamma alta.
Dal punto di vista del maiale, non è che cambi molto.
Franco Marino
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