Siamo nel 2050, a Napoli. Al San Paolo (ops, Maradona) si sta giocando Napoli-Juventus, partita decisiva per lo scudetto. Spettatori sugli spalti circa 1000. Vince il Napoli e sui giornali e nelle TV è tripudio: abbiamo vinto il quarto scudetto. Di fronte ad uno scenario di questo tipo, il tifoso esulterebbe, senza tener conto del vero dato importante: allo stadio ci sono 1000 persone. Un po' poche, vero?
Ecco, parlare con toni trionfali di uno scudetto ottenuto in uno stadio praticamente deserto, chiaro segnale che nessuno è più interessato al calcio, non è più ridicolo di quanto avviene tutte le volte che si commenta un'elezione, soprattutto considerando che sempre meno persone vanno a votare. E' ridicolo che si pretenda che la vittoria in una regione si traduca in conseguenze politiche nazionali: certo, può avere un "effetto alone" ma parliamo di poca roba. Nel 2005 il centrodestra subì un'ecatombe alle regionali, tale da far parlare di "tramonto del berlusconismo", e nel 2006, per poco, a Berlusconi non riuscì il miracolo del sorpasso, che in realtà gettò le basi per il trionfo del 2008. Quello che è, ormai, assodato è il calo elettorale che, anche se non siamo certo ai livelli dei 1000 spettatori della barzelletta che abbiamo usato per scherzare, rimane un dato preoccupante, almeno per coloro che credono nella democrazia e soprattutto se si tiene conto che sono elezioni con preferenze. Ma da cosa deriva tutto questo?

Immaginiamo una mensa aziendale dove esistono due menu: quello di terra e quello di mare. Dal momento che gli impiegati possono scegliere tra i due menu oppure digiunare, l'azienda decide di abbassare la qualità del menù di terra, col risultato che alcune persone che prima preferivano questo menù, passeranno con quello di mare. Poi visto che ha funzionato, abbasseranno la qualità del menù di mare, col risultato che la gente ricomincerà a mangiare il menù di terra. Fino a quando il crescente digiuno porterà i cuochi a fare un misto di terra e di mare, fatto con materie prime putrefatte, chiamato "governo tecnico". Col tempo naturalmente sempre più persone preferiranno digiunare. E questa è praticamente la storia del paese degli ultimi 30-35 anni in cui siamo stati tutti riempiti dell'importanza del "voto utile" e del "meno peggio".
E tuttavia, tutti i dotti analisti che si occupano di politica ignorano i seguenti fatti:
- I cittadini, salvo pochi fanatici, non votano per ideale ma per interesse. Se l'interesse non viene rappresentato da nessun partito, il cittadino non andrà a votare.
- La bassa affluenza non è un problema civico o filosofico ma tremendamente pratico.

Sul primo punto, se ci fate caso, la politica da tempo ha smesso di chiedersi cosa possa fare per il cittadino ma si chiede cosa possa fare il cittadino per la politica. E' quel meccanismo per cui se un cittadino chiede cosa ne sarà del suo futuro, si sente rispondere dalla politica che "lo Stato assistenziale è finito", tradotto "si fotta". Nel contempo, il povero diavolo sa che a breve dovrà cambiare la sua automobile a diesel con una ben più costosa automobile elettrica, e dovrà spendere fino a 100.000 euro per adeguare la sua casa alle normative green, nell'idea bislacca - e non supportata scientificamente - che il riscaldamento globale sia colpa sua. Secondo voi, se ad un cittadino che già fa fatica ad arrivare a fine mese, voi chiedete di cambiare auto e lo obbligate a spendere 100.000 euro per rifare casa sua, vi aspettate che vi voti? La risposta mi sembra scontata.
Il secondo punto viene assai poco messo in rilievo. Supponiamo che io sia un tecnico che certifica case, incazzato perché il governo mi ha appena costretto a tirare fuori 100.000 euro per aumentare la classe energetica del mio appartamento. Secondo voi, io obbedirò alle leggi del governo oppure, laddove potrò, cercherò di venire incontro ad un proprietario magari in difficoltà economica, taroccando l'analisi del suo appartamento? Anche qui la risposta mi sembra scontata.
Morale della favola: in democrazia, per poter governare, non basta il voto. Occorre il consenso. E una classe dirigente che, ad ogni elezione, perde vagonate di voti, il consenso non lo ha più.

Non occorre sapere chi abbia vinto o no in Sardegna. Non sono un "sardologo", della politica sarda so poco o nulla. Posso parlare per ciò che avviene in Campania. E quel che so è che, destra o sinistra, nella mia regione non cambia mai nulla. E questo ben oltre le effettive responsabilità dei singoli governatori, anche perché in una situazione in cui le regioni sono state praticamente appezzentite dalle direttive europee oltre che essere gravate da debiti astronomici, l'unico che potrebbe fare qualcosa è il Mago Zurlì. Non si vede perché in Sardegna dovrebbe essere diverso e come Truzzu, Todde oppure il recupero dal "cascione" di Soru (sic!) possa cambiare le cose.
Ma se sempre meno gente va a votare, prendersela con gli astenuti, come si fa sempre in questi casi, è del tutto inutile.
L'astensionismo è un problema tremendamente pratico. Se la gente smette di interessarsi alla politica democratica, diventa la manovalanza perfetta di un altro stato che decidesse di sbrogliare con la spada quei nodi che la politica non vuole o non sa risolvere con le buone.

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Franco Marino
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