Proprio un istante prima di pubblicare l'articolo di ieri, ho appreso della morte di Navalny, il popolare blogger russo "oppositore di Putin". Dovete sapere che gli articoli/post che voi leggete, di solito li scrivo la sera prima, di norma in pochi minuti, perché mi sincero di pubblicarli soltanto quando so cosa dire. Così quando ieri mattina dovevo pubblicare l'articolo che alla fine avete letto, mi sono ritrovato nella fastidiosa condizione - verificatasi un'infinità di volte - di dover archiviare quello che avevo scritto perché nel frattempo era successo un fatto molto più importante che lo avrebbe mandato in sordina. E tuttavia l'ho pubblicato lo stesso perché mi sono reso conto che si sposava benissimo ad introdurre l'articolo di oggi sulla morte di Navalny.
Dicevamo ieri che gli stati non sono organizzazioni ideologiche ma sistemi di potere il cui scopo è assicurare l'ordine e la pace sociale. E Putin non è un semplice capo di stato qualunque, come potrebbero essere Macron, la Meloni o Scholze, ma è a capo di una Federazione. Già, di per sé, lo stato è un'organizzazione complessissima il cui scopo è mantenere un ordine sociale che, viceversa, non ci sarebbe. Nello specifico, la Federazione Russa occupa un territorio vastissimo, con molti fusi orari, copre decine se non addirittura centinaia di etnie, è sotto attacco dalla fine della guerra fredda - il Donbass è solo uno degli innumerevoli fronti che potrebbero ancora sorgere - e, in quanto tale, può esistere soltanto con un potere centrale forte e brutale. Per questa ed altre ragioni, quando l'Occidente demonizza Putin come cattivone, viene da sorridere. Perché questa gente non si rende conto di quanto sia delicato uno stato e di come, inevitabilmente, chiunque si assuma la responsabilità di difenderlo, cercherà di far fuori i suoi nemici.
Questo ci porta a Navalny. Ma come prima premessa fondamentale, chi era? Un blogger russo finito in galera in quanto noto per essere "il più grande oppositore di Putin". E a parte alcune stranezze a cui la mia crassa ignoranza non sa dare risposta - tipo come mai un condannato per decenni, per reati gravi, potesse tuttavia utilizzare regolarmente i social network - come al solito ci tocca fare quello che i Puente della situazione definirebbero come "debunking", cioè smentire punto per punto le scemenze della propaganda antiputiniana.
Prima scemenza: quella del "grande oppositore di Putin". A meno che uno non voglia dire che il più grande oppositore della Meloni oggi è Italexit di Paragone, Italia Sovrana di Rizzo e Toscano, Unione Popolare di De Magistris, +Europa della Bonino, insomma ci siamo capiti, Navalny è a quelle percentuali lì. In realtà, l'opposizione in Russia c'è eccome. Ma non è niente che un Occidente sano di mente si augurerebbe al posto di Putin.
Seconda scemenza. Navalny non era in galera per reati di opinione ma perché sospettato di attività sovversive e terroristiche. Reati per i quali, in qualsiasi paese democratico - e la Federazione Russa è, almeno formalmente, una democrazia - ci sono pene severissime.
Si possono lecitamente esprimere dubbi sul modo con cui in Russia si conducano i processi, ma manco si può far passare quelli di Navalny come reati di opinione. In qualsiasi posto del mondo, se cerchi di sovvertire lo Stato, corri bruttissimi rischi.
Terza scemenza da debunkare: che gli oppositori che in questi anni sono morti, in realtà fossero temuti. Personalmente, sono sempre stato convinto che Putin non avesse alcun interesse ad ammazzare certi rivali politici e questo per una ragione semplicissima: tutto ciò che il russo dovrebbe sapere su Putin, già lo sa. I russi votano Putin sapendo benissimo chi è e le schifezze che lui, come qualsiasi capo politico, commette per salvaguardare il potere e gli interessi del suo paese. Quando un giornalista straniero gli fece alcune domande sulle sue eventuali responsabilità negli omicidi, per esempio, della Politkvoskaja e di Litminenko, Putin rispose con il suo classico humour di stampo russo: “Per far salire la mia popolarità non ho bisogno di ammazzare i miei nemici. Li lascio parlare e agire. La mia popolarità sale e la loro scende ancora di più”. L’idea stessa che Putin, per dire, abbia fatto uccidere la Politkvoskaja è assurda. Intanto perché l’opinione pubblica media russa non è attraversata dalla sepolcrale ipocrisia di quella anglosassone, costretta a dover spiegare al popolo ogni singola mossa e, dunque, non potendo confessare l'inconfessabile, dover raccontare palle al popolo bue. I commenti dell’opinione pubblica russa alla morte della giornalista andavano dal "ben le sta, è morta una spia e una nemica della patria" al "Quel coglione di Putin l’ha uccisa dando il modo agli americani di accusarlo". E poi perché l'omicidio della Politkvoskaja ha aumentato le stupide diffidenze dell’Europa verso i russi.
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Dicevamo ieri che gli stati non sono organizzazioni ideologiche ma sistemi di potere il cui scopo è assicurare l'ordine e la pace sociale. E Putin non è un semplice capo di stato qualunque, come potrebbero essere Macron, la Meloni o Scholze, ma è a capo di una Federazione. Già, di per sé, lo stato è un'organizzazione complessissima il cui scopo è mantenere un ordine sociale che, viceversa, non ci sarebbe. Nello specifico, la Federazione Russa occupa un territorio vastissimo, con molti fusi orari, copre decine se non addirittura centinaia di etnie, è sotto attacco dalla fine della guerra fredda - il Donbass è solo uno degli innumerevoli fronti che potrebbero ancora sorgere - e, in quanto tale, può esistere soltanto con un potere centrale forte e brutale. Per questa ed altre ragioni, quando l'Occidente demonizza Putin come cattivone, viene da sorridere. Perché questa gente non si rende conto di quanto sia delicato uno stato e di come, inevitabilmente, chiunque si assuma la responsabilità di difenderlo, cercherà di far fuori i suoi nemici.
Questo ci porta a Navalny. Ma come prima premessa fondamentale, chi era? Un blogger russo finito in galera in quanto noto per essere "il più grande oppositore di Putin". E a parte alcune stranezze a cui la mia crassa ignoranza non sa dare risposta - tipo come mai un condannato per decenni, per reati gravi, potesse tuttavia utilizzare regolarmente i social network - come al solito ci tocca fare quello che i Puente della situazione definirebbero come "debunking", cioè smentire punto per punto le scemenze della propaganda antiputiniana.
Prima scemenza: quella del "grande oppositore di Putin". A meno che uno non voglia dire che il più grande oppositore della Meloni oggi è Italexit di Paragone, Italia Sovrana di Rizzo e Toscano, Unione Popolare di De Magistris, +Europa della Bonino, insomma ci siamo capiti, Navalny è a quelle percentuali lì. In realtà, l'opposizione in Russia c'è eccome. Ma non è niente che un Occidente sano di mente si augurerebbe al posto di Putin.
Seconda scemenza. Navalny non era in galera per reati di opinione ma perché sospettato di attività sovversive e terroristiche. Reati per i quali, in qualsiasi paese democratico - e la Federazione Russa è, almeno formalmente, una democrazia - ci sono pene severissime.
Si possono lecitamente esprimere dubbi sul modo con cui in Russia si conducano i processi, ma manco si può far passare quelli di Navalny come reati di opinione. In qualsiasi posto del mondo, se cerchi di sovvertire lo Stato, corri bruttissimi rischi.
Terza scemenza da debunkare: che gli oppositori che in questi anni sono morti, in realtà fossero temuti. Personalmente, sono sempre stato convinto che Putin non avesse alcun interesse ad ammazzare certi rivali politici e questo per una ragione semplicissima: tutto ciò che il russo dovrebbe sapere su Putin, già lo sa. I russi votano Putin sapendo benissimo chi è e le schifezze che lui, come qualsiasi capo politico, commette per salvaguardare il potere e gli interessi del suo paese. Quando un giornalista straniero gli fece alcune domande sulle sue eventuali responsabilità negli omicidi, per esempio, della Politkvoskaja e di Litminenko, Putin rispose con il suo classico humour di stampo russo: “Per far salire la mia popolarità non ho bisogno di ammazzare i miei nemici. Li lascio parlare e agire. La mia popolarità sale e la loro scende ancora di più”. L’idea stessa che Putin, per dire, abbia fatto uccidere la Politkvoskaja è assurda. Intanto perché l’opinione pubblica media russa non è attraversata dalla sepolcrale ipocrisia di quella anglosassone, costretta a dover spiegare al popolo ogni singola mossa e, dunque, non potendo confessare l'inconfessabile, dover raccontare palle al popolo bue. I commenti dell’opinione pubblica russa alla morte della giornalista andavano dal "ben le sta, è morta una spia e una nemica della patria" al "Quel coglione di Putin l’ha uccisa dando il modo agli americani di accusarlo". E poi perché l'omicidio della Politkvoskaja ha aumentato le stupide diffidenze dell’Europa verso i russi.
In patria, della morte della Politkvoskaja, politicamente fregava qualcosa solo a Navalny. Per il resto, piaccia o meno, queste sono state le reazioni in Russia. In Occidente, nessuno vuol capire che il successo di Putin non nasce dai suoi "metodi autoritari" ma dal fatto che con lui al potere, la Russia ha aumentato il suo benessere, passando dalla quasi dissoluzione al ritornare una potenza. In una situazione del genere, che Putin si preoccupasse di uno come Navalny, cioè di uno che in patria valeva quanto Casapound in termini di voti, è semplicemente ridicolo.
Franco Marino
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