In questi giorni da un contatto mi è arrivato un domandone di quelli tosti: "Se ci fosse una guerra dell'Occidente contro i paesi asiatici, proprio di quelle che chiamano gli uomini comuni a combattere per la sopravvivenza, noi periremmo per assenza di virilità?"
Non di rado ci si chiede quanto la nostra civiltà si sia effeminata, ma credo che in realtà la questione sia un po' più articolata.
Spiegare questi anni con la riduzione del testosterone - che non è soltanto l'ormone della forza fisica e del sesso ma anche e soprattutto dell'ambizione, della voglia di scoprire nuove cose, di impegnarsi in nuovi progetti - è una cosa che viene fatta da molti autorevoli analisti ed è un approccio che condivido come effetto ma non come causa, anche perché il testosterone si può recuperare.
No, il motivo per cui perderemmo la guerra non è questo ma tutta una serie di cose, per introdurre le quali partirò da una mia esperienza personale.
Come chi mi legge sa, sono (stato) un buon musicista: suono molto bene il pianoforte - che ho studiato per tanti anni, al punto che probabilmente se oggi mi iscrivessi al Conservatorio, con ogni probabilità partirei da un quinto anno - e benino la chitarra e il basso, che ho imparato da solo, da autodidatta. Come maestro di pianoforte ho avuto un personaggio notissimo del paese dove vivevo, tale Luigi Baldelli - padre di una pianista di fama, Leonora Baldelli - un signore vecchio stampo, molto anziano, classe 1926, quindi già anziano quando, a cinque anni, iniziai con lui. Forse la persona più severa che io abbia mai conosciuto e che, ad ogni errore, mi faceva dei cazziatoni che mancava poco che tornassi a casa piangendo. Se le sue lezioni fossero finite su Youtube, i pedagoghi di tutto il mondo avrebbero chiamato la Polizia. Ma intanto, quei metodi così bruschi mi hanno permesso di imparare a suonare il pianoforte e consentito di godere di un certo credito presso molte persone. Perché, non per atteggiarsi, ma uno che sa suonare Improptu op. 66 di Chopin, un po' di impressione positiva la fa, anche se poi magari, alzatosi dal pianoforte, nella vita di tutti i giorni è un piscione. Tutta roba che, senza quelle cazziate di quel severissimo maestro, non avrei mai avuto. Così, essendo la mia casa è piena di strumenti musicali, accade che mia figlia vuole a tutti i costi impararne uno, la chitarra. Contatto un mio amico proprietario di una sala di registrazione, presso la quale si tengono corsi di chitarra e dove c'è un maestro. Di solito funziona così, si fa una sorta di "lezione zero" o "lezione pilota" nella quale il maestro valuta attentamente se l'allievo è portato per lo strumento e mia figlia pare superare l'impatto. A quel punto, il maestro inizia a farmi tutta una serie di discorsi sul fatto che bisogna iniziare in maniera blanda, perché "sennò la bambina si scoccia e la piglia come un'imposizione". E, intendiamoci bene, può anche essere vero che imparare divertendosi sia importante, ci mancherebbe. Ma la questione è un'altra: il principio che si sta sedimentando nella gente è che bisogna fare soltanto ciò che si vuole e che si desidera, sostituendo l'antico precetto che ogni strada verso le stelle passa attraverso un percorso accidentato, che è poi ciò che ha ispirato chi ha detto "Per aspera ad astra". La strada verso una meta è fatta anche di percorsi noiosi, difficili, stancati, sfibranti.
A quel punto la questione è una: io devo spendere 100 sacchi al mese perché mia figlia strimpelli quattro stronzate che io ho imparato, in pochi mesi, da solo, oppure imparare a suonare BENE lo strumento?
Perché il punto non è "cosa il bambino prova quando impara", ma "cosa impara". Se il tuo obiettivo è fargli imparare BENE una cosa, il bambino deve imparare a gestire la noia che, inevitabilmente e immancabilmente, subentra nel percorso di apprendimento.
Cosa voglio dire con questo panegirico? Che oggi si è smarrito completamente tutto ciò che distingue un uomo di successo, capace di difendere se stesso, la propria famiglia, la propria patria, da uno smidollato che si aspetta che il successo gli arrivi dall'alto dei cieli. Oggi non ci si sacrifica più per niente e per nessuno e si pretende che le cose arrivino per grazia ricevuta. I bodybuilder hanno un detto molto efficace "No pain, no gain". Non c'è crescita senza dolore. Il dolore dei muscoli è fondamentale per provocare in essi quei microtraumi che poi sono alla base del processo di supercompensazione che ti porta ad aumentare il tono muscolare (quell'aumento è la reazione dell'organismo al trauma indotto dall'allenamento) e dunque la crescita. Per cui, se oggi l'uomo non conosce la sofferenza, il dolore, la noia, la paura, di rischiare di crepare in una guerra - che però è l'unica cosa che tiene in piedi una patria (e la Shoah dovrebbe ricordare a tante persone cosa capita a chi non ha una patria) - oppure morire di noia mentre esegue noiosissime scale e arpeggi che però sono quelli che ti consentono di crescere musicalmente e suonare le canzoni belle, non riuscirà mai a combinare niente di importante nella vita, a partire da un banale pianoforte. Dunque, alla domanda "l'Occidente è meno virile delle civiltà arabe oppure orientali?" la risposta è che non periremmo per calo del testosterone ma per altre cose: per assenza di senso dell'altro, per eccesso di individualismo, per mancanza di spiritualità e di spirito di sacrificio. Qualità invece presenti nelle altre civiltà. Perché combattere e vincere una guerra non è tanto questione di testosterone, ma di essere pronti al sacrificio di sé per qualcosa di esterno a sé. Viceversa, un Occidente secolarizzato e scristianizzato ha completamente snaturato ogni forma di lotta per tutto ciò che sia esterno alla sfera degli interessi individuali, concentrando tutto sul qui ed ora, sulla lunghezza della vita. Ed è questo il vero problema. L'occidentale non concepisce niente che vada oltre se stesso, indipendentemente se abbia il testosterone a palla oppure no. Per poter mettere in gioco la propria vita per qualcun altro o per qualcos'altro, occorre una cosa che le altre civiltà hanno e noi non abbiamo più: il senso di una vita eterna molto migliore di quella attuale ove rivedersi e avere un amore profondo per l'altro tale da concepire la sua perdita come qualcosa di più importante della perdita della propria vita.
In tal senso, sono molto preoccupato perché vedo l'individuo occidentale completamente addormentato, completamente divorziato dalla realtà.
Il testosterone si recupera. Basta massacrarsi di pesi per ricominciare a produrlo in maniera naturale e, ad esso, accompagnarvi tutti i cambiamenti caratteriali del caso, non è tanto quello il problema. Certamente poi il testosterone è anche calato per varie ragioni, perché non si fanno più lavori pesanti, dal momento che è lo sforzo fisico a stimolare la produzione endogena di testosterone (da distinguere da quella esogena, cioè indotta dalle siringhe) e anche perché oggi la vita sedentaria non contribuisce certo a risvegliare il maschio ipertestosteronico di un tempo. Ma quello è l'effetto. La causa è un Occidente malato di individualismo, laddove l'occidentale è come quel pilota che ha preteso a tutti i costi di avere la chiave, per fare cosa? Per avere il mero piacere di guidare, cercando nuovi distributori che, andando avanti, sono sempre di meno, senza capire che il problema non è la benzina che finisce ma l'assenza di una destinazione.
Non di rado ci si chiede quanto la nostra civiltà si sia effeminata, ma credo che in realtà la questione sia un po' più articolata.
Spiegare questi anni con la riduzione del testosterone - che non è soltanto l'ormone della forza fisica e del sesso ma anche e soprattutto dell'ambizione, della voglia di scoprire nuove cose, di impegnarsi in nuovi progetti - è una cosa che viene fatta da molti autorevoli analisti ed è un approccio che condivido come effetto ma non come causa, anche perché il testosterone si può recuperare.
No, il motivo per cui perderemmo la guerra non è questo ma tutta una serie di cose, per introdurre le quali partirò da una mia esperienza personale.
Come chi mi legge sa, sono (stato) un buon musicista: suono molto bene il pianoforte - che ho studiato per tanti anni, al punto che probabilmente se oggi mi iscrivessi al Conservatorio, con ogni probabilità partirei da un quinto anno - e benino la chitarra e il basso, che ho imparato da solo, da autodidatta. Come maestro di pianoforte ho avuto un personaggio notissimo del paese dove vivevo, tale Luigi Baldelli - padre di una pianista di fama, Leonora Baldelli - un signore vecchio stampo, molto anziano, classe 1926, quindi già anziano quando, a cinque anni, iniziai con lui. Forse la persona più severa che io abbia mai conosciuto e che, ad ogni errore, mi faceva dei cazziatoni che mancava poco che tornassi a casa piangendo. Se le sue lezioni fossero finite su Youtube, i pedagoghi di tutto il mondo avrebbero chiamato la Polizia. Ma intanto, quei metodi così bruschi mi hanno permesso di imparare a suonare il pianoforte e consentito di godere di un certo credito presso molte persone. Perché, non per atteggiarsi, ma uno che sa suonare Improptu op. 66 di Chopin, un po' di impressione positiva la fa, anche se poi magari, alzatosi dal pianoforte, nella vita di tutti i giorni è un piscione. Tutta roba che, senza quelle cazziate di quel severissimo maestro, non avrei mai avuto. Così, essendo la mia casa è piena di strumenti musicali, accade che mia figlia vuole a tutti i costi impararne uno, la chitarra. Contatto un mio amico proprietario di una sala di registrazione, presso la quale si tengono corsi di chitarra e dove c'è un maestro. Di solito funziona così, si fa una sorta di "lezione zero" o "lezione pilota" nella quale il maestro valuta attentamente se l'allievo è portato per lo strumento e mia figlia pare superare l'impatto. A quel punto, il maestro inizia a farmi tutta una serie di discorsi sul fatto che bisogna iniziare in maniera blanda, perché "sennò la bambina si scoccia e la piglia come un'imposizione". E, intendiamoci bene, può anche essere vero che imparare divertendosi sia importante, ci mancherebbe. Ma la questione è un'altra: il principio che si sta sedimentando nella gente è che bisogna fare soltanto ciò che si vuole e che si desidera, sostituendo l'antico precetto che ogni strada verso le stelle passa attraverso un percorso accidentato, che è poi ciò che ha ispirato chi ha detto "Per aspera ad astra". La strada verso una meta è fatta anche di percorsi noiosi, difficili, stancati, sfibranti.
A quel punto la questione è una: io devo spendere 100 sacchi al mese perché mia figlia strimpelli quattro stronzate che io ho imparato, in pochi mesi, da solo, oppure imparare a suonare BENE lo strumento?
Perché il punto non è "cosa il bambino prova quando impara", ma "cosa impara". Se il tuo obiettivo è fargli imparare BENE una cosa, il bambino deve imparare a gestire la noia che, inevitabilmente e immancabilmente, subentra nel percorso di apprendimento.
Cosa voglio dire con questo panegirico? Che oggi si è smarrito completamente tutto ciò che distingue un uomo di successo, capace di difendere se stesso, la propria famiglia, la propria patria, da uno smidollato che si aspetta che il successo gli arrivi dall'alto dei cieli. Oggi non ci si sacrifica più per niente e per nessuno e si pretende che le cose arrivino per grazia ricevuta. I bodybuilder hanno un detto molto efficace "No pain, no gain". Non c'è crescita senza dolore. Il dolore dei muscoli è fondamentale per provocare in essi quei microtraumi che poi sono alla base del processo di supercompensazione che ti porta ad aumentare il tono muscolare (quell'aumento è la reazione dell'organismo al trauma indotto dall'allenamento) e dunque la crescita. Per cui, se oggi l'uomo non conosce la sofferenza, il dolore, la noia, la paura, di rischiare di crepare in una guerra - che però è l'unica cosa che tiene in piedi una patria (e la Shoah dovrebbe ricordare a tante persone cosa capita a chi non ha una patria) - oppure morire di noia mentre esegue noiosissime scale e arpeggi che però sono quelli che ti consentono di crescere musicalmente e suonare le canzoni belle, non riuscirà mai a combinare niente di importante nella vita, a partire da un banale pianoforte. Dunque, alla domanda "l'Occidente è meno virile delle civiltà arabe oppure orientali?" la risposta è che non periremmo per calo del testosterone ma per altre cose: per assenza di senso dell'altro, per eccesso di individualismo, per mancanza di spiritualità e di spirito di sacrificio. Qualità invece presenti nelle altre civiltà. Perché combattere e vincere una guerra non è tanto questione di testosterone, ma di essere pronti al sacrificio di sé per qualcosa di esterno a sé. Viceversa, un Occidente secolarizzato e scristianizzato ha completamente snaturato ogni forma di lotta per tutto ciò che sia esterno alla sfera degli interessi individuali, concentrando tutto sul qui ed ora, sulla lunghezza della vita. Ed è questo il vero problema. L'occidentale non concepisce niente che vada oltre se stesso, indipendentemente se abbia il testosterone a palla oppure no. Per poter mettere in gioco la propria vita per qualcun altro o per qualcos'altro, occorre una cosa che le altre civiltà hanno e noi non abbiamo più: il senso di una vita eterna molto migliore di quella attuale ove rivedersi e avere un amore profondo per l'altro tale da concepire la sua perdita come qualcosa di più importante della perdita della propria vita.
In tal senso, sono molto preoccupato perché vedo l'individuo occidentale completamente addormentato, completamente divorziato dalla realtà.
Il testosterone si recupera. Basta massacrarsi di pesi per ricominciare a produrlo in maniera naturale e, ad esso, accompagnarvi tutti i cambiamenti caratteriali del caso, non è tanto quello il problema. Certamente poi il testosterone è anche calato per varie ragioni, perché non si fanno più lavori pesanti, dal momento che è lo sforzo fisico a stimolare la produzione endogena di testosterone (da distinguere da quella esogena, cioè indotta dalle siringhe) e anche perché oggi la vita sedentaria non contribuisce certo a risvegliare il maschio ipertestosteronico di un tempo. Ma quello è l'effetto. La causa è un Occidente malato di individualismo, laddove l'occidentale è come quel pilota che ha preteso a tutti i costi di avere la chiave, per fare cosa? Per avere il mero piacere di guidare, cercando nuovi distributori che, andando avanti, sono sempre di meno, senza capire che il problema non è la benzina che finisce ma l'assenza di una destinazione.
Oggi siamo liberi sì. Di andare verso il deserto. E abbiamo confuso questo deserto con la libertà.