Una vicenda che sta passando - per ovvie ragioni di pubblica sicurezza - abbastanza inosservata è quella relativa alla diatriba tra il Texas e il governo centrale degli Stati Uniti. Ma mi sembra che la faccenda venga analizzata nel modo meno indicato, cioè concentrandosi sul singolo fatto e su chi abbia ragione. Dobbiamo tuttavia pur dire il fatto in cosa consiste e le argomentazioni di ambedue le parti: sostanzialmente, il Texas si è ritrovato invaso di immigrati (ben 230.000 solo nel mese di Dicembre) e di fronte al governo centrale che, attraverso la corte suprema, ha autorizzato quest'ultimo a rimuovere il filo spinato che la guardia nazionale del Texas ha installato, lo stato texano ha reagito dando ad intendere che saboterà qualsiasi iniziativa del governo centrale che vada in direzione della Corte Suprema.
Chi ha ragione? Come sempre accade in questi casi, tutti e nessuno. Ha ragione Abbott - il governatore del Texas - a dirsi preoccupato per l'invasione ormai sfrenata da parte di immigrati clandestini con tutto il loro carico di guai, ma anche a voler ritenere Biden il rincoglionito che effettivamente è, bisogna anche dover dire che se la risposta della Casa Bianca, di fronte alle minacce del Texas di andare allo scontro, non fosse quella di mandare l'esercito, di fatto gli Stati Uniti sarebbero finiti. Infatti, alle rimostranze dei texani si sono aggiunti anche altri stati.
Una volta chiarito il fatto, bisogna contestualizzarlo.
Intanto, è partita la campagna elettorale e lo scontro texano, di fatto, contribuisce a riportare Trump sul proscenio. Il vecchio Donald, avviato verso una facile vittoria alle primarie, è minacciato dai giudici i quali sostanzialmente cercano, per quanto possono, di azzopparlo. Di conseguenza, che Trump scateni i pretoriani che ha disseminato nel territorio - e si sa che il Texas è una storica piazzaforte repubblicana e, nello stile e nei modi di fare, molto trumpiana e ribelle al padrone - è inevitabile e questo mi fa pensare che l'ex-presidente abbia qualche copertura internazionale, aspetto che magari approfondiremo successivamente. Ma il dato emerso dalle ultime presidenziali del 2020 parla di un'America spaccata in due tra quella ufficiale, hollywoodiana delle metropoli, e l'America profonda, della provincia, tutta fortemente repubblicana e ormai nauseata dal totalitarismo progressista che pervade la società americana.
In questo senso, la guerra civile che molti evocano come spettro non è certo iniziata dalla diatriba texana che rappresenta solo il bubbone di una situazione potenzialmente molto pericolosa.
L'America, se si esce dalle atmosfere patinate degli Oscar, di Hollywood, di Beverly Hills e dei serial TV americani, è da tempo un paese ormai diviso in due. Che questo evolva addirittura in un conflitto secessionistico è prematuro dirlo. Ma certi nodi o si sbrogliano oppure arriva l'Alessandro Magno di turno a tagliarli con la spada.
Che poi il macedone della situazione sia Trump o un altro leader più giovane, più avanti negli anni, non è poi così importante.
L'America sta semplicemente implodendo sotto il peso delle proprie contraddizioni, del proprio abnorme debito e del crescente spaccamento in due del proprio popolo.
Chi ha ragione? Come sempre accade in questi casi, tutti e nessuno. Ha ragione Abbott - il governatore del Texas - a dirsi preoccupato per l'invasione ormai sfrenata da parte di immigrati clandestini con tutto il loro carico di guai, ma anche a voler ritenere Biden il rincoglionito che effettivamente è, bisogna anche dover dire che se la risposta della Casa Bianca, di fronte alle minacce del Texas di andare allo scontro, non fosse quella di mandare l'esercito, di fatto gli Stati Uniti sarebbero finiti. Infatti, alle rimostranze dei texani si sono aggiunti anche altri stati.
Una volta chiarito il fatto, bisogna contestualizzarlo.
Intanto, è partita la campagna elettorale e lo scontro texano, di fatto, contribuisce a riportare Trump sul proscenio. Il vecchio Donald, avviato verso una facile vittoria alle primarie, è minacciato dai giudici i quali sostanzialmente cercano, per quanto possono, di azzopparlo. Di conseguenza, che Trump scateni i pretoriani che ha disseminato nel territorio - e si sa che il Texas è una storica piazzaforte repubblicana e, nello stile e nei modi di fare, molto trumpiana e ribelle al padrone - è inevitabile e questo mi fa pensare che l'ex-presidente abbia qualche copertura internazionale, aspetto che magari approfondiremo successivamente. Ma il dato emerso dalle ultime presidenziali del 2020 parla di un'America spaccata in due tra quella ufficiale, hollywoodiana delle metropoli, e l'America profonda, della provincia, tutta fortemente repubblicana e ormai nauseata dal totalitarismo progressista che pervade la società americana.
In questo senso, la guerra civile che molti evocano come spettro non è certo iniziata dalla diatriba texana che rappresenta solo il bubbone di una situazione potenzialmente molto pericolosa.
L'America, se si esce dalle atmosfere patinate degli Oscar, di Hollywood, di Beverly Hills e dei serial TV americani, è da tempo un paese ormai diviso in due. Che questo evolva addirittura in un conflitto secessionistico è prematuro dirlo. Ma certi nodi o si sbrogliano oppure arriva l'Alessandro Magno di turno a tagliarli con la spada.
Che poi il macedone della situazione sia Trump o un altro leader più giovane, più avanti negli anni, non è poi così importante.
L'America sta semplicemente implodendo sotto il peso delle proprie contraddizioni, del proprio abnorme debito e del crescente spaccamento in due del proprio popolo.