Tutte le volte che parlo di fascismo, non nascondo un certo disagio. Tanto per cominciare, non è epoca mia. Il fascismo è finito nel 1945 - comprendendo, con esso, la coda di Salò - e stiamo parlando di quasi ottant'anni. E io sono del 1981. Nel 1945 non c'era neanche mio padre. Se mi improvvisassi un dotto storico di quegli anni, apparirei ridicolo. Ma l'altro motivo di imbarazzo sta proprio nel fatto che ormai il fascismo non c'è più. Accanirsi su chi avesse ragione tra fascisti e antifascisti non è meno stupido di chi si accanisse sulle ragioni che dividevano Lucio Silla e Caio Mario. E' storia. Che certamente va studiata, ma non al punto di ammorbare le presenti e future generazioni, addirittura di più di quanto non si siano già ammorbate quelle passate. Non ho, dunque, intenzione di dilungarmi in ricostruzioni storiche, in dibattiti storiografici e quant'altro. Dico soltanto che ha senso condannare il fascismo soltanto se, in cambio, lo si sostituisce con qualcosa di migliore. Per esempio, uno stato di diritto dove tutti sono uguali secondo la legge.
In merito alla vicenda di Acca Larentia c'è poco da dire. Se i militanti dell'antifascismo sognano un mondo dove le vittime non sono vittime se non sono dalla parte giusta - perché "l'unico fascista buono è il fascista morto" - questo è proprio il mondo del fascismo che loro combattono. Essere antifascisti significa anzitutto essere liberali e soprattutto credere in uno stato di diritto, dove le vittime di destra della violenza politica meritano di essere ricordate al pari delle vittime di sinistra. Qualcuno può avere da ridire sul fatto che fosse opportuno fare il saluto romano alle commemorazioni ma fa pari e patta con l'intitolazione di un'aula del Senato a chi è morto mentre stava buttando un estintore in faccia ad un carabiniere. Se non ci si scandalizza per l'intitolazione di un'aula a Carlo Giuliani, ha ancor meno senso scandalizzarsi se qualcuno fa il saluto romano, che per giunta non ammazza nessuno.
Ma un mondo dove un gesto è grave se viene da una parte mentre viene assolto se viene dall'altra, è esattamente quel regime totalitario che gli antifa', a chiacchiere, dicono di combattere.
Molti ricorderanno la vicenda Priebke. Si può discutere quanto si vuole sul ruolo di quel militare, sul fatto che sia stato giusto condannarlo dopo cinquant'anni. Ma io non ho nulla da spartire con quelli che presero a calci la sua bara. Il mio senso dell'onore mi obbliga a combattere solo chi può difendersi.
Tanto che in questi giorni avevo pensato ad un articolo, molto critico, sul libro postumo della Murgia: ma, alla fine, me lo sono risparmiato. Mi piace combatterli da vivi i nemici e alla Murgia non ho risparmiato certo qualche fendente: ma quando era in vita e mi poteva querelare.
Oggi un articolo su di lei avrebbe ancor meno senso di quanto abbia senso l'antifascismo. Anche perché sono certo di una cosa: durante il fascismo, io probabilmente, per indole, sarei stato un antifascista e sin dalla prima ora. Mentre sono assolutamente sicuro che gli antifascisti di oggi sarebbero sicuramente stati i fascisti di ieri.
In merito alla vicenda di Acca Larentia c'è poco da dire. Se i militanti dell'antifascismo sognano un mondo dove le vittime non sono vittime se non sono dalla parte giusta - perché "l'unico fascista buono è il fascista morto" - questo è proprio il mondo del fascismo che loro combattono. Essere antifascisti significa anzitutto essere liberali e soprattutto credere in uno stato di diritto, dove le vittime di destra della violenza politica meritano di essere ricordate al pari delle vittime di sinistra. Qualcuno può avere da ridire sul fatto che fosse opportuno fare il saluto romano alle commemorazioni ma fa pari e patta con l'intitolazione di un'aula del Senato a chi è morto mentre stava buttando un estintore in faccia ad un carabiniere. Se non ci si scandalizza per l'intitolazione di un'aula a Carlo Giuliani, ha ancor meno senso scandalizzarsi se qualcuno fa il saluto romano, che per giunta non ammazza nessuno.
Ma un mondo dove un gesto è grave se viene da una parte mentre viene assolto se viene dall'altra, è esattamente quel regime totalitario che gli antifa', a chiacchiere, dicono di combattere.
Molti ricorderanno la vicenda Priebke. Si può discutere quanto si vuole sul ruolo di quel militare, sul fatto che sia stato giusto condannarlo dopo cinquant'anni. Ma io non ho nulla da spartire con quelli che presero a calci la sua bara. Il mio senso dell'onore mi obbliga a combattere solo chi può difendersi.
Tanto che in questi giorni avevo pensato ad un articolo, molto critico, sul libro postumo della Murgia: ma, alla fine, me lo sono risparmiato. Mi piace combatterli da vivi i nemici e alla Murgia non ho risparmiato certo qualche fendente: ma quando era in vita e mi poteva querelare.
Oggi un articolo su di lei avrebbe ancor meno senso di quanto abbia senso l'antifascismo. Anche perché sono certo di una cosa: durante il fascismo, io probabilmente, per indole, sarei stato un antifascista e sin dalla prima ora. Mentre sono assolutamente sicuro che gli antifascisti di oggi sarebbero sicuramente stati i fascisti di ieri.
Perché i codardi un nemico lo sanno combattere solo quando è morto. Tirando calci alla sua bara.