Chiara Ferragni è ufficialmente indagata per truffa aggravata. Ho naturalmente espresso tutte le mie opinioni negative su di lei ma senza affondare più di tanto il tackle perché, sin dal primo momento, ho avuto la sensazione che, dietro il comprensibile sdegno per la triste vicenda in cui si è messa, ci fosse altro. Così separerò la questione in due tronconi: quello morale e quello sostanziale.
Sul piano morale, c'è poco da dire. Chiara Ferragni ha commesso una truffa odiosa perché specula sulla salute dei bambini. Non c'è molto da stare a sindacare sul fatto che, ipoteticamente, l'odio nei suoi confronti derivi da invidia sociale. Può darsi ma non rileva. Rimane il fatto che, se le ipotesi di reato sono fondate, la Ferragni ha meritato la riprovazione a cui viene sottoposta in questi giorni né più né meno di quanto abbia meritato il successo per il valore economico della sua attività, che certo non era poggiata sul nulla. Al netto di tutti gli intrallazzi che si possano fare, non si diventa ricchi se si vende solo fuffa.
La vera questione che mi interessa è quella sostanziale, ovvero perché proprio ora ci si sta accanendo contro la Ferragni?
La prima cosa da dire è che la popolare influencer è la bandiera di un sottobosco molto più profondo che i media mainstream, da molto tempo, vogliono colpire, quello della comunicazione digitale che, non essendo mediata e, soprattutto, sfuggendo al controllo dei singoli stati-nazione, sfugge anche alle regole sbirresche che li regolano.
Chiunque voglia diventare giornalista in Italia, per esempio, deve sottostare ad una legislazione fascista. E non la definisco fascista con l'aria di chi vuol definire tale qualsiasi cosa che non piaccia alla sinistra ma perché l'Ordine dei Giornalisti è effettivamente una corporazione inventata dal fascismo, abolita con la caduta del regime e ricostruita praticamente tale e quale negli anni Sessanta.
L'Italia è il paese dove, forse più di tutti gli altri, questa dissonanza cognitiva tra il definirsi antifascisti e avere strutture mutuate pari pari dal fascismo, è più palese. Ma tutto l'Occidente ha strutture concepite per sabotare qualsiasi informazione che sfugga ai grandi editori mainstream.
Cosa succede però? Succede che arriva Internet e scompagina tutti i piani, creando un'economia del tutto priva di mediazioni. C'è il car sharing che, in epoca di crisi energetica, è utile per chi vuole andare in alcuni posti senza spendere troppo, ci sono gli e-commerce, ci sono le criptovalute che sfuggono al controllo degli stati, c'è Amazon che permette ad uno sconosciuto come Vannacci di scrivere un libro - neanche tanto avvincente - e di guadagnarci cifre tali che gli consentirebbero di comprarsi un appartamento al centro di Roma e, soprattutto, c'è la possibilità, attraverso Youtube, Instagram e Tiktok, di far circolare le informazioni scavalcando le oligarchie mediatiche tradizionali che ovviamente non sono contente della cosa. Chi ha cose importanti da dire, può dirle senza dover passare attraverso settanta articoli da abusivo per qualche giornale, per poi avere la bizzarra tessera di giornalista pubblicista. C'è in sostanza, col digitale, un superamento delle figure di intermediazione che succhiano risorse tra chi produce un bene o un servizio e il consumatore. E che naturalmente non ci stanno ad essere scavalcate. Anche perché parliamo di centinaia di miliardi di euro in ballo.
Non sto naturalmente dicendo che la Ferragni sia un esempio genuino di indipendenza informativa, tutt'altro: Chiara Ferragni sta all'influencing esattamente come Beppe Grillo stava al suo blog. Entrambi hanno goduto di coperture, di spinte, di sponsorizzazioni che non avrebbero mai ottenuto senza un pregresso che li spingesse.
Separiamo dunque i due blocchi: c'è il giudizio morale sulla Ferragni, naturalmente pessimo, e quello sostanziale.
E sinceramente, io non trovo nulla di genuino in questo attacco concentrico contro di lei. Non so se, come sostiene qualcuno, si sia rotto qualche equilibrio o la Ferragni abbia pestato i piedi a qualcuno. Quello che so è che tutti sapevano come funzionava il modello Ferragni ma è strano che ci si sia svegliati soltanto ora, dopo aver pompato la sua figura a più non posso, invitandola a Sanremo, glamourizzando ogni aspetto della sua vita privata. Se create un mostro, non ha senso, poi, trasformarlo in capro espiatorio.
Sul piano morale, c'è poco da dire. Chiara Ferragni ha commesso una truffa odiosa perché specula sulla salute dei bambini. Non c'è molto da stare a sindacare sul fatto che, ipoteticamente, l'odio nei suoi confronti derivi da invidia sociale. Può darsi ma non rileva. Rimane il fatto che, se le ipotesi di reato sono fondate, la Ferragni ha meritato la riprovazione a cui viene sottoposta in questi giorni né più né meno di quanto abbia meritato il successo per il valore economico della sua attività, che certo non era poggiata sul nulla. Al netto di tutti gli intrallazzi che si possano fare, non si diventa ricchi se si vende solo fuffa.
La vera questione che mi interessa è quella sostanziale, ovvero perché proprio ora ci si sta accanendo contro la Ferragni?
La prima cosa da dire è che la popolare influencer è la bandiera di un sottobosco molto più profondo che i media mainstream, da molto tempo, vogliono colpire, quello della comunicazione digitale che, non essendo mediata e, soprattutto, sfuggendo al controllo dei singoli stati-nazione, sfugge anche alle regole sbirresche che li regolano.
Chiunque voglia diventare giornalista in Italia, per esempio, deve sottostare ad una legislazione fascista. E non la definisco fascista con l'aria di chi vuol definire tale qualsiasi cosa che non piaccia alla sinistra ma perché l'Ordine dei Giornalisti è effettivamente una corporazione inventata dal fascismo, abolita con la caduta del regime e ricostruita praticamente tale e quale negli anni Sessanta.
L'Italia è il paese dove, forse più di tutti gli altri, questa dissonanza cognitiva tra il definirsi antifascisti e avere strutture mutuate pari pari dal fascismo, è più palese. Ma tutto l'Occidente ha strutture concepite per sabotare qualsiasi informazione che sfugga ai grandi editori mainstream.
Cosa succede però? Succede che arriva Internet e scompagina tutti i piani, creando un'economia del tutto priva di mediazioni. C'è il car sharing che, in epoca di crisi energetica, è utile per chi vuole andare in alcuni posti senza spendere troppo, ci sono gli e-commerce, ci sono le criptovalute che sfuggono al controllo degli stati, c'è Amazon che permette ad uno sconosciuto come Vannacci di scrivere un libro - neanche tanto avvincente - e di guadagnarci cifre tali che gli consentirebbero di comprarsi un appartamento al centro di Roma e, soprattutto, c'è la possibilità, attraverso Youtube, Instagram e Tiktok, di far circolare le informazioni scavalcando le oligarchie mediatiche tradizionali che ovviamente non sono contente della cosa. Chi ha cose importanti da dire, può dirle senza dover passare attraverso settanta articoli da abusivo per qualche giornale, per poi avere la bizzarra tessera di giornalista pubblicista. C'è in sostanza, col digitale, un superamento delle figure di intermediazione che succhiano risorse tra chi produce un bene o un servizio e il consumatore. E che naturalmente non ci stanno ad essere scavalcate. Anche perché parliamo di centinaia di miliardi di euro in ballo.
Non sto naturalmente dicendo che la Ferragni sia un esempio genuino di indipendenza informativa, tutt'altro: Chiara Ferragni sta all'influencing esattamente come Beppe Grillo stava al suo blog. Entrambi hanno goduto di coperture, di spinte, di sponsorizzazioni che non avrebbero mai ottenuto senza un pregresso che li spingesse.
Il punto è che il tiro al piccione contro la Ferragni nasconde una palese lotta che i media mainstream vogliono condurre contro la libera iniziativa di chi ha delle cose da dire e non vuole iscriversi ad ordini professionali. E che non colpirà direttamente la Ferragni che è attrezzata a sufficienza per cavarsela ma i tantissimi influencer che invece lavorano eticamente e che anzi offrono uno sbocco alternativo ad oligarchie mediatiche ormai totalmente autoreferenziali e autoritarie.
Ad esempio, leggi per regolamentare i blog, albi per influencer e fesserie varie. Cose che non sono parto di un delirio complottista, ma di cui si parla da anni, non da giorni.Separiamo dunque i due blocchi: c'è il giudizio morale sulla Ferragni, naturalmente pessimo, e quello sostanziale.
E sinceramente, io non trovo nulla di genuino in questo attacco concentrico contro di lei. Non so se, come sostiene qualcuno, si sia rotto qualche equilibrio o la Ferragni abbia pestato i piedi a qualcuno. Quello che so è che tutti sapevano come funzionava il modello Ferragni ma è strano che ci si sia svegliati soltanto ora, dopo aver pompato la sua figura a più non posso, invitandola a Sanremo, glamourizzando ogni aspetto della sua vita privata. Se create un mostro, non ha senso, poi, trasformarlo in capro espiatorio.
Distinguiamo i due ambiti della questione. Non vorrei che la soddisfazione di aver visto cadere un'icona del fuffismo progressista odierno si trasformasse in una fregatura nel medio termine.