Si può essere non credenti e tuttavia dolersi della crisi che attraversa la Chiesa, per tantissime ragioni. Prima di tutto, per il rispetto che si deve ad un'istituzione che ha resistito a mille sportellate e sta in piedi da 2024 anni e poi perché pur da laico e miscredente non posso non notare la pericolosità delle tante chiese che la combattono. Più mi imbatto nelle affermazioni apodittiche di scienziati e letterati, più mi viene voglia di andare a messa e fare la comunione, nella convinzione che la favola consolatoria della Resurrezione sia infinitamente più nobile di un vaccino obbligatorio e che un prete sia immensamente più dotto di cose umane di uno psicologo o di un filosofo.
In sostanza, la mia preoccupazione per le sorti della Chiesa è analoga a quella di Montanelli che, miscredente e laico come me, ben conoscendo i pericoli rappresentati dal PCI, negli anni Settanta invitava i lettori a turarsi il naso votando una DC che in realtà disprezzava. Tutto questo per chiarire che quello che leggete non è il punto di vista di un credente ma di un laico che tuttavia preferisce un mondo in cui si viva, per dirla con Ratzinger, come se Dio esistesse.
Lo spunto di questa riflessione viene da un vivace ma cortese ed interessantissimo confronto su Youtube tra il prof. Martino Mora e Andrea Cionci, di quelli che in TV non si vedono più da anni se non da decenni. Mora e Cionci, sia detto al passaggio, esprimono tesi discutibili ma che, tuttavia, vanno alla sostanza del problema, laddove i dibattiti televisivi ormai sono il pollaio del nulla. Ma nell'attesa che qualcuno di voi assista al confronto, che vi consiglio vivamente, riassumo le due teorie. Cionci sostiene la tesi sedevacantista di Bergoglio imbroglione, Martino Mora, senza rigettarla a priori, sostiene che Bergoglio è solo la conseguenza del modernismo e del Concilio Vaticano II. Chi ha ragione?
Secondo me, ferma restando la stima per entrambi, nessuno dei due.
Intendiamoci, sul piano dottrinale, ha ragione Martino Mora, lefebvriano convinto, quando sostiene che il modernismo e il concilio vaticano II siano una iattura per la Chiesa, come ha ragione Cionci quando mette in luce le tante ombre dietro la legittimità dell'operazione Bergoglio. Ma l'errore di fondo delle rispettive tesi è pensare che la crisi della Chiesa sia nata dove indicano i duellanti e che vi fossero reali alternative.
E' un errore pensare che l'elezione di Bergoglio fosse evitabile, come lo è illudersi che una sua eventuale morte possa mettere al suo posto qualcuno di migliore, quando è chiarissimo che a Papa Francesco si sostituirà un Papa Francesco II, di certo non un Viganò o un Don Curzio, per dire. Ed è un errore di Martino Mora pensare che il tradizionalismo sia applicabile, in un'era in cui anche le elezioni papali sono orientate da ragioni geopolitiche. I tradizionalisti di oggi, che dottrinalmente hanno tutte le ragioni di questo mondo, in realtà commettono l'errore di pensare che il tradizionalismo cattolico possa attecchire in società ormai del tutto scristianizzate. Tradizionalisti e conservatori non vogliono comprendere che le teorie lefebvriane possono sussistere ad una sola condizione: se chi dissente, tende a finire bruciato sul rogo. E questo è possibile solo con una Chiesa forte politicamente, cosa che oggi non è. Dare la colpa al modernismo non serve a nulla né tantomeno dare la colpa a Bergoglio. Se la Chiesa non si fosse inserita nel filone modernista, pur con le sue follie, sarebbe stata semplicemente distrutta dalla politica.
Una volta chiarito questo, si può far risalire la crisi del cristianesimo almeno fino al cosiddetto Secolo dei Lumi, il Settecento, quando una fioritura della scienza e della cultura, promossa dalle principali monarchie del tempo - il cui unico obiettivo era togliersi di torno il potere della Chiesa - portò la gente, vedendo venir meno l'origine divina di certi fenomeni e messe in luce le contraddizioni delle dottrine religiose, a perdere progressivamente la fede, con la Chiesa che, da quel momento, iniziò a perdere il proprio potere di condizionamento, con conseguente indebolimento politico. Lo Stato Pontificio, un tempo potentissimo, iniziò a perdere forza, investendo sempre meno sui territori e dando origine ad una progressiva scristianizzazione dei cittadini, i quali oggi a Messa ci vanno più per convenzione che per convinzione.
Si capisce perfettamente, con queste premesse, che dare la colpa al pur pessimo Bergoglio e riconoscendo nel modernismo e nel Concilio Vaticano II l'inizio di un pericoloso crinale, non si possa sostenere che questi personaggi e questi fenomeni siano cause bensì conseguenze. Dunque, Bergoglio è il padre della crisi attuale o è il figlio? Nessuna delle due. E non è neanche il nipote. E' il pronipote. Il "nipote" è, senza dubbio, il Modernismo, il "figlio" è la perdita del potere politico della Chiesa e il "padre" è l'illuminismo, che ha, erroneamente, convinto tutti quanti che la scienza e la cultura, lungi dal limitarsi a dare informazioni, potessero anche rispondere al senso ultimo della vita. Una sete che alberga anche nei miscredenti.
La crisi della Chiesa è politica. Essa sta subendo un concentrico attacco politico ben preciso, il cui obiettivo è la sua distruzione. Questo attacco ha senza dubbio conosciuto un'accelerazione negli ultimi anni ma è iniziato da almeno due secoli. Le elezioni papali in Vaticano seguono, ormai, percorsi di natura geopolitica e hanno, come unica funzione, quella di mettere le mani sullo IOR e sull'enorme patrimonio immobiliare del Vaticano. Gli stiracchiamenti di Bergoglio e Zuppi alla dottrina e le conseguenti eresie, non sono che la conseguenza di un lungo percorso, sostiene Martino Mora con ragione. Tuttavia il percorso non inizia certo col modernismo, ma ben prima.
Inizia il giorno in cui il potere religioso ha perduto lo scontro con un potere politico che, per liberarsi di un contropotere ingombrante, capace di ribaltare intere classi dirigenti, ha fatto credere ai suoi cittadini che la scienza e la cultura potessero dare risposte a quesiti che possono essere affidati solo mistero della Fede.
La Chiesa non ha iniziato la sua china mortale con Bergoglio e neanche con Giovanni XXIII, al massimo l'ha accelerata.
In sostanza, la mia preoccupazione per le sorti della Chiesa è analoga a quella di Montanelli che, miscredente e laico come me, ben conoscendo i pericoli rappresentati dal PCI, negli anni Settanta invitava i lettori a turarsi il naso votando una DC che in realtà disprezzava. Tutto questo per chiarire che quello che leggete non è il punto di vista di un credente ma di un laico che tuttavia preferisce un mondo in cui si viva, per dirla con Ratzinger, come se Dio esistesse.
Lo spunto di questa riflessione viene da un vivace ma cortese ed interessantissimo confronto su Youtube tra il prof. Martino Mora e Andrea Cionci, di quelli che in TV non si vedono più da anni se non da decenni. Mora e Cionci, sia detto al passaggio, esprimono tesi discutibili ma che, tuttavia, vanno alla sostanza del problema, laddove i dibattiti televisivi ormai sono il pollaio del nulla. Ma nell'attesa che qualcuno di voi assista al confronto, che vi consiglio vivamente, riassumo le due teorie. Cionci sostiene la tesi sedevacantista di Bergoglio imbroglione, Martino Mora, senza rigettarla a priori, sostiene che Bergoglio è solo la conseguenza del modernismo e del Concilio Vaticano II. Chi ha ragione?
Secondo me, ferma restando la stima per entrambi, nessuno dei due.
Intendiamoci, sul piano dottrinale, ha ragione Martino Mora, lefebvriano convinto, quando sostiene che il modernismo e il concilio vaticano II siano una iattura per la Chiesa, come ha ragione Cionci quando mette in luce le tante ombre dietro la legittimità dell'operazione Bergoglio. Ma l'errore di fondo delle rispettive tesi è pensare che la crisi della Chiesa sia nata dove indicano i duellanti e che vi fossero reali alternative.
E' un errore pensare che l'elezione di Bergoglio fosse evitabile, come lo è illudersi che una sua eventuale morte possa mettere al suo posto qualcuno di migliore, quando è chiarissimo che a Papa Francesco si sostituirà un Papa Francesco II, di certo non un Viganò o un Don Curzio, per dire. Ed è un errore di Martino Mora pensare che il tradizionalismo sia applicabile, in un'era in cui anche le elezioni papali sono orientate da ragioni geopolitiche. I tradizionalisti di oggi, che dottrinalmente hanno tutte le ragioni di questo mondo, in realtà commettono l'errore di pensare che il tradizionalismo cattolico possa attecchire in società ormai del tutto scristianizzate. Tradizionalisti e conservatori non vogliono comprendere che le teorie lefebvriane possono sussistere ad una sola condizione: se chi dissente, tende a finire bruciato sul rogo. E questo è possibile solo con una Chiesa forte politicamente, cosa che oggi non è. Dare la colpa al modernismo non serve a nulla né tantomeno dare la colpa a Bergoglio. Se la Chiesa non si fosse inserita nel filone modernista, pur con le sue follie, sarebbe stata semplicemente distrutta dalla politica.
Una volta chiarito questo, si può far risalire la crisi del cristianesimo almeno fino al cosiddetto Secolo dei Lumi, il Settecento, quando una fioritura della scienza e della cultura, promossa dalle principali monarchie del tempo - il cui unico obiettivo era togliersi di torno il potere della Chiesa - portò la gente, vedendo venir meno l'origine divina di certi fenomeni e messe in luce le contraddizioni delle dottrine religiose, a perdere progressivamente la fede, con la Chiesa che, da quel momento, iniziò a perdere il proprio potere di condizionamento, con conseguente indebolimento politico. Lo Stato Pontificio, un tempo potentissimo, iniziò a perdere forza, investendo sempre meno sui territori e dando origine ad una progressiva scristianizzazione dei cittadini, i quali oggi a Messa ci vanno più per convenzione che per convinzione.
Si capisce perfettamente, con queste premesse, che dare la colpa al pur pessimo Bergoglio e riconoscendo nel modernismo e nel Concilio Vaticano II l'inizio di un pericoloso crinale, non si possa sostenere che questi personaggi e questi fenomeni siano cause bensì conseguenze. Dunque, Bergoglio è il padre della crisi attuale o è il figlio? Nessuna delle due. E non è neanche il nipote. E' il pronipote. Il "nipote" è, senza dubbio, il Modernismo, il "figlio" è la perdita del potere politico della Chiesa e il "padre" è l'illuminismo, che ha, erroneamente, convinto tutti quanti che la scienza e la cultura, lungi dal limitarsi a dare informazioni, potessero anche rispondere al senso ultimo della vita. Una sete che alberga anche nei miscredenti.
La crisi della Chiesa è politica. Essa sta subendo un concentrico attacco politico ben preciso, il cui obiettivo è la sua distruzione. Questo attacco ha senza dubbio conosciuto un'accelerazione negli ultimi anni ma è iniziato da almeno due secoli. Le elezioni papali in Vaticano seguono, ormai, percorsi di natura geopolitica e hanno, come unica funzione, quella di mettere le mani sullo IOR e sull'enorme patrimonio immobiliare del Vaticano. Gli stiracchiamenti di Bergoglio e Zuppi alla dottrina e le conseguenti eresie, non sono che la conseguenza di un lungo percorso, sostiene Martino Mora con ragione. Tuttavia il percorso non inizia certo col modernismo, ma ben prima.
Inizia il giorno in cui il potere religioso ha perduto lo scontro con un potere politico che, per liberarsi di un contropotere ingombrante, capace di ribaltare intere classi dirigenti, ha fatto credere ai suoi cittadini che la scienza e la cultura potessero dare risposte a quesiti che possono essere affidati solo mistero della Fede.
La Chiesa non ha iniziato la sua china mortale con Bergoglio e neanche con Giovanni XXIII, al massimo l'ha accelerata.
Il vero inizio della fine è stato l'Illuminismo. Da quel momento, non si è più ripresa.