Da molti anni ho smesso di parlare di singole persone famose. La ragione ha un po' a che fare con quel pizzico di codardia che tutti posseggono ma non ammetteranno mai neanche sotto tortura e che io rivendico apertamente: da buon codardo, sento che non posso permettermi cause che, da sconosciuto e signor nessuno quale sono, perderei, con avversari troppo più forti di me. Quando un famoso giornalista - che non nomineremo ma avrete capito - periodicamente si vanta su Youtube di farsi nuove moto e di rifarsi casa con i soldi delle querele che lui sporge contro qualsiasi povero diavolo abbia l'improvvida idea di insultarlo invece di ignorarlo, penso che se in un momento come questo scrivessi ciò che penso di lui - tutto il peggio possibile, tanto per capirci - come di altri e mi arrivasse una condanna per diffamazione, dovrei vendermi quel che ho: e, sinceramente, non ne vale la pena.
Ma non ne vale la pena anche per un altro motivo: è inutile prendersela con i singoli personaggi. Gran parte dell'odio nei confronti di certi VIP nasce dalla convinzione che essi siano i veri vertici alti di quel che fanno e scrivono: invece non fanno altro che intercettare un sentimento corrente e lo cavalcano. Se alcuni giornalisti particolarmente famosi hanno così successo con i loro libri e post carichi di insulti, è perché c'è in effetti un'opinione pubblica che crede alla bontà di ciò che scrivono. Se quindi - e ovviamente non ce lo auguriamo - un malore li cogliesse domani, subentrerebbe subito qualcuno simile a loro che avrebbe lo stesso successo e attraverso gli stessi metodi che a me non piacciono.
E', dunque, con questo presupposto che parlo di Davigo. Questo signore, un tempo temutissimo magistrato - e anche lui dalla querela facile - nella trasmissione "Muschio Selvaggio" di Fedez si è lasciato scappare che "quando un imputato si suicida, si perde una preziosa fonte di informazione". Molti hanno gridato allo scandalo, come se Davigo avesse detto chissà cosa. In realtà, la caratteristica di questo magistrato è di dire ciò che in realtà tutti i PM dicono ma non confessano. Davigo, in tal senso, esprime una mentalità corrente. Se la mentalità corrente è che "Non esistono innocenti ma solo colpevoli non ancora scoperti" (va detto ad onore del vero che Davigo si riferiva ad un caso specifico, non alla generalità) non è certo prendendosela con chi dice una cosa del genere che si risolve il problema, che - non per evitare querele - non deriva certo da lui. E qui bisogna chiarire perché.
Nessuno sfugge al condizionamento ambientale. Nel Settecento, chi nasceva nobile, trovava tanto naturale la propria condizione da maltrattare chiunque non fosse tale. Non è che i nobili fossero "cattivi", semplicemente vivevano in un mondo proprio. Questa circostanza fece originare anche la famosa frase "se non hanno più pane, che mangino brioche - attribuita alla principessa Maria Antonietta ma in realtà pronunziata da qualcun altro - che in realtà non è che fosse di disprezzo o di cattiveria, semplicemente fu pronunciata da una persona al di fuori della realtà, talmente presa dalla propria vita, da non rendersi conto del mondo circostante.
Fu con questo presupposto che la Rivoluzione Francese colse sbigottita la monarchia francese: i nobili non si rendevano conto di essere migliaia contro una popolazione affamata di milioni che infatti di lì a poco li fecero finire sotto la ghigliottina.
Un altro esempio, più banale e personale, di vita al di fuori della realtà. Poco dopo la morte di mio padre, mi recai in banca per sbrigare alcune faccende relative alla chiusura del conto che avevo in comune con lui, ritrovandomi davanti un direttore di filiale che, mentre con sussiego mi faceva attendere il turno per poter occuparsi di me, parlava con un amico del periodo stressante che stava vivendo: volete sapere da dove derivava questo momento stressante? Dal fatto che di lì a breve lo avrebbero trasferito in un'altra filiale: non in uno sperduto paesino del Nord Italia ma in un comune alle porte di Napoli. E lo diceva ad una partita IVA che ogni giorno si suda il pane quotidiano. Ma non c'è da stupirsene: quando uno vive in una realtà ovattata, è abituato a pensare che quella sia la vita.
Allo stesso modo, un magistrato, non appena vince un concorso, si vede cooptato in una casta in cui tutti sono autoritari, tutti parlano con condiscendenza agli avvocati, fossero anche i principi del foro di competenza, in cui tutti strapazzano i testimoni. Perché? Perché godono di un potere illimitato e privo di responsabilità. Un qualsiasi procuratore di una provincia sperduta italiana può letteralmente distruggere la vita e la carriera di una persona e l'attività economica di un'azienda e, soprattutto, non ne risponde di fronte a nessuno se non alla corporazione stessa alla quale appartiene. E se a questo si aggiunge che, per cattivarsene le grazie o per regalarsi un'immunità in virtù di qualche marachella commessa, i media all'unisono dipingono il magistrato come un oplita del bene sempre proiettato alla realizzazione di un'eterna palingenesi morale, si capisce benissimo qual è il problema: i magistrati ritengono di essere il Bene Assoluto. E nessuno di loro è consapevole di esercitare unicamente una funzione pubblica e che rispondono soltanto alla legge, in nome del popolo italiano.
Se in Italia i procuratori fossero eletti come avviene negli Stati Uniti, oltre al problema di dover rispettare la legge, si porrebbero anche quello di dover rendersi conto che ogni inchiesta ha effetti anche sulle attività economiche del posto. Non voglio, per esempio, entrare nell'annosa vicenda dell'ILVA di Taranto. Ma quale magistrato avrebbe attaccato frontalmente quell'acciaieria - col risultato che l'Italia ha perso un asset di fondamentale importanza della meccanica - se ne avesse risposto di fronte ai tarantini?
Non c'è quindi da stupirsi che Davigo dica certe cose. Ha vinto un concorso che gli ha dato un potere enorme, che gli permette di godere di una superiorità morale a prescindere e di dire cose che se provenissero da un politico comune, magari di destra, avremmo i suoi avversari a chiedere, starnazzanti, le dimissioni, come già oggi è prassi comune per chiunque deroghi dal rosario progressista.
La magistratura oggi gode di un potere che, come diceva Lord Acton, quando è assoluto, corrompe assolutamente.
Il problema non è Davigo. Come non lo sono quei giornalisti. E non lo diciamo per metterci al riparo da qualche querela, ma perché la questione è sistemica. Va oltre le parole in libertà di un singolo magistrato o di opinion leader innamorati di se stessi.
Ma non ne vale la pena anche per un altro motivo: è inutile prendersela con i singoli personaggi. Gran parte dell'odio nei confronti di certi VIP nasce dalla convinzione che essi siano i veri vertici alti di quel che fanno e scrivono: invece non fanno altro che intercettare un sentimento corrente e lo cavalcano. Se alcuni giornalisti particolarmente famosi hanno così successo con i loro libri e post carichi di insulti, è perché c'è in effetti un'opinione pubblica che crede alla bontà di ciò che scrivono. Se quindi - e ovviamente non ce lo auguriamo - un malore li cogliesse domani, subentrerebbe subito qualcuno simile a loro che avrebbe lo stesso successo e attraverso gli stessi metodi che a me non piacciono.
E', dunque, con questo presupposto che parlo di Davigo. Questo signore, un tempo temutissimo magistrato - e anche lui dalla querela facile - nella trasmissione "Muschio Selvaggio" di Fedez si è lasciato scappare che "quando un imputato si suicida, si perde una preziosa fonte di informazione". Molti hanno gridato allo scandalo, come se Davigo avesse detto chissà cosa. In realtà, la caratteristica di questo magistrato è di dire ciò che in realtà tutti i PM dicono ma non confessano. Davigo, in tal senso, esprime una mentalità corrente. Se la mentalità corrente è che "Non esistono innocenti ma solo colpevoli non ancora scoperti" (va detto ad onore del vero che Davigo si riferiva ad un caso specifico, non alla generalità) non è certo prendendosela con chi dice una cosa del genere che si risolve il problema, che - non per evitare querele - non deriva certo da lui. E qui bisogna chiarire perché.
Nessuno sfugge al condizionamento ambientale. Nel Settecento, chi nasceva nobile, trovava tanto naturale la propria condizione da maltrattare chiunque non fosse tale. Non è che i nobili fossero "cattivi", semplicemente vivevano in un mondo proprio. Questa circostanza fece originare anche la famosa frase "se non hanno più pane, che mangino brioche - attribuita alla principessa Maria Antonietta ma in realtà pronunziata da qualcun altro - che in realtà non è che fosse di disprezzo o di cattiveria, semplicemente fu pronunciata da una persona al di fuori della realtà, talmente presa dalla propria vita, da non rendersi conto del mondo circostante.
Fu con questo presupposto che la Rivoluzione Francese colse sbigottita la monarchia francese: i nobili non si rendevano conto di essere migliaia contro una popolazione affamata di milioni che infatti di lì a poco li fecero finire sotto la ghigliottina.
Un altro esempio, più banale e personale, di vita al di fuori della realtà. Poco dopo la morte di mio padre, mi recai in banca per sbrigare alcune faccende relative alla chiusura del conto che avevo in comune con lui, ritrovandomi davanti un direttore di filiale che, mentre con sussiego mi faceva attendere il turno per poter occuparsi di me, parlava con un amico del periodo stressante che stava vivendo: volete sapere da dove derivava questo momento stressante? Dal fatto che di lì a breve lo avrebbero trasferito in un'altra filiale: non in uno sperduto paesino del Nord Italia ma in un comune alle porte di Napoli. E lo diceva ad una partita IVA che ogni giorno si suda il pane quotidiano. Ma non c'è da stupirsene: quando uno vive in una realtà ovattata, è abituato a pensare che quella sia la vita.
Allo stesso modo, un magistrato, non appena vince un concorso, si vede cooptato in una casta in cui tutti sono autoritari, tutti parlano con condiscendenza agli avvocati, fossero anche i principi del foro di competenza, in cui tutti strapazzano i testimoni. Perché? Perché godono di un potere illimitato e privo di responsabilità. Un qualsiasi procuratore di una provincia sperduta italiana può letteralmente distruggere la vita e la carriera di una persona e l'attività economica di un'azienda e, soprattutto, non ne risponde di fronte a nessuno se non alla corporazione stessa alla quale appartiene. E se a questo si aggiunge che, per cattivarsene le grazie o per regalarsi un'immunità in virtù di qualche marachella commessa, i media all'unisono dipingono il magistrato come un oplita del bene sempre proiettato alla realizzazione di un'eterna palingenesi morale, si capisce benissimo qual è il problema: i magistrati ritengono di essere il Bene Assoluto. E nessuno di loro è consapevole di esercitare unicamente una funzione pubblica e che rispondono soltanto alla legge, in nome del popolo italiano.
Se in Italia i procuratori fossero eletti come avviene negli Stati Uniti, oltre al problema di dover rispettare la legge, si porrebbero anche quello di dover rendersi conto che ogni inchiesta ha effetti anche sulle attività economiche del posto. Non voglio, per esempio, entrare nell'annosa vicenda dell'ILVA di Taranto. Ma quale magistrato avrebbe attaccato frontalmente quell'acciaieria - col risultato che l'Italia ha perso un asset di fondamentale importanza della meccanica - se ne avesse risposto di fronte ai tarantini?
Non c'è quindi da stupirsi che Davigo dica certe cose. Ha vinto un concorso che gli ha dato un potere enorme, che gli permette di godere di una superiorità morale a prescindere e di dire cose che se provenissero da un politico comune, magari di destra, avremmo i suoi avversari a chiedere, starnazzanti, le dimissioni, come già oggi è prassi comune per chiunque deroghi dal rosario progressista.
La magistratura oggi gode di un potere che, come diceva Lord Acton, quando è assoluto, corrompe assolutamente.
Il problema non è Davigo. Come non lo sono quei giornalisti. E non lo diciamo per metterci al riparo da qualche querela, ma perché la questione è sistemica. Va oltre le parole in libertà di un singolo magistrato o di opinion leader innamorati di se stessi.
Il problema è come i cittadini non capiscano mai nulla delle zappate che si tirano sui piedi, seguendo cattivi maestri.