Ho sempre orgogliosamente ritenuto quello del femminicidio un problema inesistente e ho spiegato diffusamente i motivi. Questo non significa negare i problemi di un modo di relazionarsi sbagliato, che non sempre arriva all'estremo di un omicidio e che comunque ha reso patologici i rapporti tra le persone, che tuttavia, contrariamente a quanto si sostenga, non ha a che fare con il patriarcato quanto con un aspetto della nostra società che, nel merito, non si è mai analizzato a sufficienza: il socialismo.
Si chiederà qualcuno: cosa diavolo c'entra Marx con una povera ragazza ammazzata? C'entra eccome ed è esattamente il fulcro del problema. E proverò a chiarire perché.
La società italiana si regge su un corposissimo ceto medio di statali il cui unico obiettivo nella vita è di studiare per diventare (cit. Checco Zalone) "posto fisso". Una dimensione nella quale, salvo fare cose oggettivamente gravi, si rimarrà anchilosati per un quarantennale periodo di vita che va dall'università alla pensione. Questo influisce anche sulla socialità, laddove la consapevolezza che - a meno di non stuprare, uccidere e rubare sul posto di lavoro - non si verrà mai cacciati, abitua erroneamente le persone ad un'irreversibilità dei rapporti interpersonali, considerati immutabili, eterni, fin quando il "non ti amo più" o peggio "voglio il divorzio", con tutto il suo carico di conseguenze, non ci viene sbattuto in pieno muso come un montante di Mike Tyson.
Viceversa, nel privato, dove se si lavora si guadagna e se non si lavora si va in mezzo ad una strada, le cose cambiano radicalmente, perché si introietta la consapevolezza di dover mettersi continuamente in discussione, migliorare noi stessi, per poter ottenere il consenso delle persone che ci daranno il pane. Dunque, per poter coltivare quelle relazioni fondamentali per poter sopravvivere e magari prosperare, bisogna fare ogni sforzo per rendere gradevoli se stessi e ciò che si produce.
I rapporti interpersonali sono l'unico ambito dove, anche in Corea del Nord, vige il liberismo e il mercatismo più sfrenato, perché si fondano sulla ricerca di un piacere psicofisico per il quale il partner diventa un mezzo. Chi ci cerca per condividere un'amicizia o un rapporto sentimentale non ci darà la sua attenzione perché sei suo figlio, per l'ovvia ragione che lui non è tuo padre, ma ci valuterà ciò che possiamo possa dargli, in merito a quello che gli interessa per arricchirsi spiritualmente o materialmente. Quando ciò non accadrà più, saremmo gettati nel cestino come se non fossimo mai esistiti. Questa, per dirla col Marsellus Wallace di Pulp Fiction, "è una merdosissima realtà della vita di fronte alla quale il nostro culo deve essere realista" se non si vuole commettere qualche sciocchezza che ci porti in galera.
Sono considerazioni che fanno venire meno molta della poesia sui rapporti interpersonali, per la verità venduta più da certe commedie sentimentali che riscontrabile nella realtà. Ma essermi presto sottratto dalla logica del posto fisso per immergermi in quella del privato, mi ha aiutato a capire molto anche delle dinamiche sentimentali, sfuggendo a quella dimensione idealistica che porta molta gente ad illudersi di una definitività ed una irreversibilità di certi legami che, inevitabilmente, deluderà nel momento in cui, nelle secrete stanze del proprio io, non c'è, per fortuna, nessuno che ci obblighi a stare con una persona con cui non vogliamo stare.
L'idea che un torto subito ottenga un vaffanculo definitivo non passa mai per la mente dell'italiano che abbia una certa idea di famiglia. Quando una mia zia l'altro giorno mi scrive per l'ennesima volta chiedendo perché ho bloccato la figlia su Whatsapp, e io per l'ennesima volta cerco di spiegarle che non voglio avere niente a che fare con chi cerca di truffarmi e mi dice che "è pur sempre tua cugina, è pur sempre la tua famiglia", non si rende conto che l'errore sta nell'avverbio "sempre" che denota una convinzione errata e tipicamente italiana: i rapporti personali sono eterni ed invariabili e io non posso rifiutarli, anche quando molto stretti. Ma quando una persona si è strutturata per non aver bisogno di nessuno, le sue relazioni sociali si fondano solo sul piacere di stare insieme e non sulla percezione di un legame di sangue. Io ho una certa ritrosia a voler avere a che fare con chi sfrutta i miei momenti difficili per indurmi a fare cose che nuocciano al mio interesse. Sono un tipo bizzarro, si sa.
Ecco perché, con queste premesse, non faccio fatica a capire cosa si scatena nella mente di un personaggio come Filippo Turetta. Di base, il nostro muliericida è passato da una situazione in cui la mamma e il papà lo hanno educato al fatto che lui è il migliore, il più bello, il più intelligente, alla realtà di non essere niente di così speciale da non meritare nemmeno l'onta di un abbandono. Ed è esattamente questo il problema di fondo. La dimensione socialistica del sistema italiano porta le persone a non considerare che per poter farsi amare bisogna fare lo sforzo di rendersi gradevoli, di investire su se stessi, di migliorarsi ogni giorno e soprattutto tener presente che si può perdere tutto da un momento all'altro, basta un errore.
E soprattutto, le porta a sopravvalutare persone che probabilmente non meritano tutto questo coinvolgimento emotivo.
La cosa che i nostri potenziali giovani assassini dovrebbero capire - e gliela dice un uomo avviato alla mezza età, ma che ancora ricorda certe delusioni di ragazzo - è che non vale mai la pena rovinarsi la vita per chi non ha dimostrato certe cose che non sono certo alla portata di una giovane ragazza come la povera Giulia Cecchettin, fosse anche una persona straordinaria quale sicuramente era.
Si chiederà qualcuno: cosa diavolo c'entra Marx con una povera ragazza ammazzata? C'entra eccome ed è esattamente il fulcro del problema. E proverò a chiarire perché.
La società italiana si regge su un corposissimo ceto medio di statali il cui unico obiettivo nella vita è di studiare per diventare (cit. Checco Zalone) "posto fisso". Una dimensione nella quale, salvo fare cose oggettivamente gravi, si rimarrà anchilosati per un quarantennale periodo di vita che va dall'università alla pensione. Questo influisce anche sulla socialità, laddove la consapevolezza che - a meno di non stuprare, uccidere e rubare sul posto di lavoro - non si verrà mai cacciati, abitua erroneamente le persone ad un'irreversibilità dei rapporti interpersonali, considerati immutabili, eterni, fin quando il "non ti amo più" o peggio "voglio il divorzio", con tutto il suo carico di conseguenze, non ci viene sbattuto in pieno muso come un montante di Mike Tyson.
Viceversa, nel privato, dove se si lavora si guadagna e se non si lavora si va in mezzo ad una strada, le cose cambiano radicalmente, perché si introietta la consapevolezza di dover mettersi continuamente in discussione, migliorare noi stessi, per poter ottenere il consenso delle persone che ci daranno il pane. Dunque, per poter coltivare quelle relazioni fondamentali per poter sopravvivere e magari prosperare, bisogna fare ogni sforzo per rendere gradevoli se stessi e ciò che si produce.
I rapporti interpersonali sono l'unico ambito dove, anche in Corea del Nord, vige il liberismo e il mercatismo più sfrenato, perché si fondano sulla ricerca di un piacere psicofisico per il quale il partner diventa un mezzo. Chi ci cerca per condividere un'amicizia o un rapporto sentimentale non ci darà la sua attenzione perché sei suo figlio, per l'ovvia ragione che lui non è tuo padre, ma ci valuterà ciò che possiamo possa dargli, in merito a quello che gli interessa per arricchirsi spiritualmente o materialmente. Quando ciò non accadrà più, saremmo gettati nel cestino come se non fossimo mai esistiti. Questa, per dirla col Marsellus Wallace di Pulp Fiction, "è una merdosissima realtà della vita di fronte alla quale il nostro culo deve essere realista" se non si vuole commettere qualche sciocchezza che ci porti in galera.
Sono considerazioni che fanno venire meno molta della poesia sui rapporti interpersonali, per la verità venduta più da certe commedie sentimentali che riscontrabile nella realtà. Ma essermi presto sottratto dalla logica del posto fisso per immergermi in quella del privato, mi ha aiutato a capire molto anche delle dinamiche sentimentali, sfuggendo a quella dimensione idealistica che porta molta gente ad illudersi di una definitività ed una irreversibilità di certi legami che, inevitabilmente, deluderà nel momento in cui, nelle secrete stanze del proprio io, non c'è, per fortuna, nessuno che ci obblighi a stare con una persona con cui non vogliamo stare.
L'idea che un torto subito ottenga un vaffanculo definitivo non passa mai per la mente dell'italiano che abbia una certa idea di famiglia. Quando una mia zia l'altro giorno mi scrive per l'ennesima volta chiedendo perché ho bloccato la figlia su Whatsapp, e io per l'ennesima volta cerco di spiegarle che non voglio avere niente a che fare con chi cerca di truffarmi e mi dice che "è pur sempre tua cugina, è pur sempre la tua famiglia", non si rende conto che l'errore sta nell'avverbio "sempre" che denota una convinzione errata e tipicamente italiana: i rapporti personali sono eterni ed invariabili e io non posso rifiutarli, anche quando molto stretti. Ma quando una persona si è strutturata per non aver bisogno di nessuno, le sue relazioni sociali si fondano solo sul piacere di stare insieme e non sulla percezione di un legame di sangue. Io ho una certa ritrosia a voler avere a che fare con chi sfrutta i miei momenti difficili per indurmi a fare cose che nuocciano al mio interesse. Sono un tipo bizzarro, si sa.
Ecco perché, con queste premesse, non faccio fatica a capire cosa si scatena nella mente di un personaggio come Filippo Turetta. Di base, il nostro muliericida è passato da una situazione in cui la mamma e il papà lo hanno educato al fatto che lui è il migliore, il più bello, il più intelligente, alla realtà di non essere niente di così speciale da non meritare nemmeno l'onta di un abbandono. Ed è esattamente questo il problema di fondo. La dimensione socialistica del sistema italiano porta le persone a non considerare che per poter farsi amare bisogna fare lo sforzo di rendersi gradevoli, di investire su se stessi, di migliorarsi ogni giorno e soprattutto tener presente che si può perdere tutto da un momento all'altro, basta un errore.
E soprattutto, le porta a sopravvalutare persone che probabilmente non meritano tutto questo coinvolgimento emotivo.
La cosa che i nostri potenziali giovani assassini dovrebbero capire - e gliela dice un uomo avviato alla mezza età, ma che ancora ricorda certe delusioni di ragazzo - è che non vale mai la pena rovinarsi la vita per chi non ha dimostrato certe cose che non sono certo alla portata di una giovane ragazza come la povera Giulia Cecchettin, fosse anche una persona straordinaria quale sicuramente era.
Mai affidare tutta la propria vita nelle mani di un altro, chiunque esso sia.