Non di rado, per trovare un mafioso, bisogna infiltrarsi nella sua banda per cercare di capire dove scovarlo e come si struttura la sua organizzazione. Un compito delicatissimo che porta il poliziotto o il carabiniere a cui viene assegnato a diventare come quei mafiosi tra i quali si dovrà muovere e per il quale dovrà sottoporsi ad un durissimo addestramento nel quale ogni dettaglio farà la differenza. Al tempo stesso, fatte le ovvie e dovute proporzioni tra un poliziotto e un anonimo osservatore di cose, mi trovo ad interessarmi di cronaca nera, pur detestandola, odiandola dal profondo del cuore, disprezzando chi vi partecipa con un ruolo o nell'altro. E questo paradosso può legittimamente parere incomprensibile, dunque va chiarito.
Ho avuto il dispiacere di assistere a due fatti di cronaca nei quali non soltanto conoscevo sia le vittime che l'assassino, ma anche le circostanze che hanno fatto scaturire l'omicidio. E la cosa che più mi ha raggelato, in ambedue i casi, è come i media abbiano completamente trasformato i fatti, mentendo anche quando non ce n'era bisogno. Nel primo dei due casi, la vittima era una bella ragazza della provincia di Caserta che fu ammazzata dall'ex-fidanzato, un finanziere, della quale si dice sempre che fosse innamoratissima di lui che però la lasciava sempre, quando è esattamente il contrario. Nel secondo, lui viene lasciato da lei che però inizia a dileggiarlo alle sue spalle, ironizzando sulla sua scarsa dotazione sessuale. Certamente, nessuno dei due delitti merita una giustificazione. Ma perché allora moncare la cronaca di questi elementi, presentando le due vittime come due angeli del focolare? Cui prodest? Queste esperienze hanno avuto il risultato di vaccinarmi contro qualsiasi interesse per le vicende di cronaca, per trasferirlo - ecco chiarito il paradosso - in un altro punto della questione: qual è il vero obiettivo della cronaca nera?

Venendo alla vicenda di cui si parla, Giulia Cecchettin è stata ammazzata dal fidanzato che è stato arrestato. In un paese normale si esulterebbe. E' stato risolto un caso: c'è, purtroppo, una vittima e c'è, per fortuna, un colpevole chiaro e definito che i giudici decideranno come punire.
Tutto finito? No. Perché qualcuno ha stabilito, in barba all'articolo 27 della Costituzione, che la responsabilità penale non è dell'assassino ma di tutto il genere maschile, compreso il sottoscritto, che non soltanto non si è mai azzardato a sfiorare una donna contro il suo consenso, ma che dal genere femminile ha, non di rado, subito - come qualsiasi comune mortale di sesso maschile - non poche violenze psicologiche, fino al caso estremo di essere, in una circostanza, accoltellato. E se si considera che la cronaca nera è condotta dagli stessi media che gestiscono la pandemia, il clima, le guerre nel Donbass e nella Palestina e l'animalismo, si arriva chiaramente alla considerazione che c'è qualcuno che ha un interesse che con la lotta contro la violenza sulle donne non ha niente a che vedere. Quale?
Ogni classe dirigente, per acquisire più potere, ha bisogno di indebolire i diritti individuali dei cittadini e non c'è dunque strategia migliore che creare un'emergenza che costringa i cittadini a scegliere tra la libertà e la sicurezza, col risultato che sceglieranno quest'ultima. E' esattamente questo il punto. Attraverso la cronaca nera, si cerca di indebolire i diritti di un imputato, che in questa circostanza sono quelli di un assassino ma magari nella prossima saranno quelli di un cittadino qualsiasi che non ha ucciso nessuno. Attraverso le balle pandemiche, si è indebolito il concetto di diritto individuale, facendo passare chi rifiutava di vaccinarsi come un criminale comune. Attraverso le canee legate al Donbass e alla Palestina, si cerca di indebolire lo spirito critico del cittadino, trasformando chi pensa che il governo menta in un nemico della patria. Attraverso l'isterismo ecologista, si cerca di mettere le mani nel patrimonio degli italiani, costringendoli - per ora pare saltata la cosa, ma sicuramente si riproporrà più in avanti - a rifare casa propria per adeguarla ai parametri green. Chi, in sostanza, ha la capacità di vedere il filo comune dietro tutti questi fenomeni vedrà la sistematicità di un meccanismo consolidato che prima cerca, con le buone, di convincere il destinatario della propaganda di avere un problema. Se quest'ultimo ha spirito critico sa benissimo di non avere un problema, ma chi ha il potere crea l'emergenza affinché il nostro destinatario capisca di avere un problema, mettendolo di fronte ad un bivio: o cede - ricevendo il premio dal potere - oppure resiste e viene accusato di essere il problema, ricevendo la punizione.

La cronaca nera è perfettamente funzionale a tutto questo. Ai conduttori televisivi, agli esperti, alle figure intermedie che si occupano della vicenda, delle sorti della povera Giulia Cecchettin non frega nulla, come non interessava nulla della sorte di Giulia Tramontano, di Melania Rea, di Roberta Ragusa. L'obiettivo è creare l'emergenza, per rendere il diritto molto più sommario o per perorare scopi occulti, che magari si scopriranno domani. Cosicché, oggi a finire vittima del tritacarne è un assassino che effettivamente merita, come suggerisce la neolingua di oggi, di "marcire in galera", domani invece quella stessa sommarietà verrà usata per colpire un povero diavolo magari perché contesta il sistema.
Non ci può che essere una ragione losca dietro la morbosità con cui i media si interessano di cronaca nera. Perché con 100 morti all'anno non esiste alcuna emergenza femminicidio. Al massimo ce n'è un'altra e cioè che gli assassini non si fanno tutta la galera del caso e, nel giro di qualche anno, ritornano di nuovo in libertà. Ma chiamerebbe direttamente lo Stato a risponderne.
E' più facile dare la colpa a tutti i cittadini di sesso maschile, non hanno difese, non hanno un apparato potente e prepotente che possa difenderli. E' più facile dare la colpa al competitivo sistema universitario, all'educazione familiare, all'immancabile liberismo (te pareva) al "macho italiano" come fece qualche tempo fa Repubblica, ed è più conveniente tenere il malato in agonia per poter alimentare un carrozzone fatto di soldi, di voti, che risolvere davvero il problema. Perché un sistema di potere che guadagna sui problemi, non ha interesse a guarire il malato ma a tenerlo in agonia. E questo sia in senso letterale che metaforico.
L'unica magra consolazione di questa storia è il padre della vittima che riconoscendo nei genitori dell'assassino le ulteriori vittime di quanto accaduto, si è mostrato molto più maturo, razionale ed equilibrato di tutti gli altri.

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Guarda Franco...premetto che mi riferisco al puro sistema mediatico, con rispetto per le vittime e famiglie, ma...il fattaccio è caduto come cacio sui maccheroni dato che la storia della bimba inglese è finita.
 
Concordo. Tra l'altro Indi era una BAMBINA, quindi femmina, ma non c'è stata la stessa levata di scudi che per Giulia. Non sto a dilungarmi sulle differenze di trattamento, ma sono sintomatiche della sottile propaganda che è sempre in agguato.
 
Ringrazio l'autore per questo articolo, apprezzo sempre chi cerca di ricostruire e spiegare una vicenda complessa.
Due consiserazioni.
1) Sulla vicenda di Pamela Mastropietro.
Uccisa, fatta a pezzi ficcati in due valigie poi scaricate in un fosso.
Facciamo il paragone tra Silvia e Pamela.
La prima con un clamore mediatico impressionante che Pamela non ha avuto neanche di striscio, anzi, con i media che sembrava volessero in un certo senso nascondere l'efferato delitto.
2) Quando c'è un accanimento impressionante di coltellate e disprezzo totale verso una persona mi sono sempre chiesto cosa abbia potuto scatenare una simile violenza.
Nel caso del recente delitto, se quello che ho letto è vero, si capisce cosa abbia mosso la rabbia immensa anche se, ovviamente, non c'è giustificazione che tenga.
Però la vicenda mi fa concludere che ho ragione quando immagino che una violenza inaudita non può che scatenarsi o da un corpo saturo di alcol o droga e/o da una provocazione che mette alla berlina pubblica quello che poi diventerà il proprio assassino.
 
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Franco Marino
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