Non è raro che qualcuno cerchi la cura da chi è la causa della malattia, come può essere un medico incapace o una medicina sbagliata. Arriva però un momento in cui la realtà si mostra nella sua evidenza - il medico è incapace - e a quel punto il paziente si rende conto che, se dopo anni di terapie, la malattia non passa, due sono le cose: o la cura non è adatta - e quindi va cambiata - oppure non è adatto il medico.
I sindacati sono un esempio di medico la cui cura è sbagliata oppure è sbagliato il medico. Senza stare a perdersi troppo nei dettagli, pare che tra le ragioni dello sciopero generale di questi giorni ci sia, stando al comunicato ufficiale, l'obiettivo di "sensibilizzare l'opinione pubblica sulle carenze della legge di Bilancio". Tradotto dal propagandese all'italiano, i lavoratori vogliono più soldi. Il che non stupisce. Anche perché i sindacati nascono con la specifica funzione di difendere i lavoratori, per il cui fine mettono in atto tutti i mezzi con i quali possono costringere le aziende o lo Stato ad ascoltarli. E lo sciopero è uno di questi. E' la cura. Ma è sbagliata. E proviamo a dire anche perché.
Così come l'operaio va al lavoro per guadagnare, ci va anche l'imprenditore che, gravato da una marea di scadenze da rispettare, di tasse e di fornitori da pagare, se non riesce a prosperare, chiude. Il presupposto alla base dello sciopero è che il lavoro sia un diritto e che il datore di lavoro (dottrina marxista) appropriandosi del plusvalore, in quanto tale è uno sfruttatore, un ladro. Ed è ovvio che se questo è l'assunto, qualsiasi imprenditore che miri ad arricchirsi, vada perseguitato. Il problema è che quando questa mentalità diventa così sistematica da diventare corrente, nessuno si sforza più di produrre ricchezza, non si aprono nuove imprese e dunque sempre più lavoratori si ritrovano a dover spartirsi una torta che si fa sempre più esigua.
Parabola significa: che i lavoratori vogliano guadagnare di più, è giusto, logico e ovvio. Ma non è una cosa che si può ottenere prendendo acqua da pozzi dove non ce n'è. I salari non possono essere gestiti dallo stato, che non ha più soldi, e tutto è rinviato al mercato del lavoro, perché le imprese prosperano se vendono qualcosa di cui si sente un reale bisogno e dunque possono assumere più lavoratori soltanto se prosperano, in un circolo virtuoso che, se si spezza, provoca come conseguenza che c'è meno prosperità e dunque meno posti di lavoro. E quei pochi che ci sono, sono sottopagati e a nero. Questa è la realtà dinnanzi alla quale i sindacati sono sordi. E, purtroppo, ubriacati dalla demagogia sindacale, ci siamo convinti che i diritti di cui godono i lavoratori oggi, siano figli delle fantomatiche "conquiste sindacali dell'Ottocento", e non invece della prosperità dovuta alla Rivoluzione Industriale prima e - purtroppo - all'artificiale ricchezza generata dal grande indebitamento poi che, disossando l'apparenza dalla realtà, ha convinto tutti che il benessere si possa pianificare ideologicamente, che i diritti siano acquisiti e gratuiti, mentre all'apparir del vero si sta, invece, semplicemente prendendo atto che o un'impresa viene messa nelle condizioni di produrre, oppure fallisce, mandando a casa tutti.
I sindacati sono un esempio di medico la cui cura è sbagliata oppure è sbagliato il medico. Senza stare a perdersi troppo nei dettagli, pare che tra le ragioni dello sciopero generale di questi giorni ci sia, stando al comunicato ufficiale, l'obiettivo di "sensibilizzare l'opinione pubblica sulle carenze della legge di Bilancio". Tradotto dal propagandese all'italiano, i lavoratori vogliono più soldi. Il che non stupisce. Anche perché i sindacati nascono con la specifica funzione di difendere i lavoratori, per il cui fine mettono in atto tutti i mezzi con i quali possono costringere le aziende o lo Stato ad ascoltarli. E lo sciopero è uno di questi. E' la cura. Ma è sbagliata. E proviamo a dire anche perché.
Così come l'operaio va al lavoro per guadagnare, ci va anche l'imprenditore che, gravato da una marea di scadenze da rispettare, di tasse e di fornitori da pagare, se non riesce a prosperare, chiude. Il presupposto alla base dello sciopero è che il lavoro sia un diritto e che il datore di lavoro (dottrina marxista) appropriandosi del plusvalore, in quanto tale è uno sfruttatore, un ladro. Ed è ovvio che se questo è l'assunto, qualsiasi imprenditore che miri ad arricchirsi, vada perseguitato. Il problema è che quando questa mentalità diventa così sistematica da diventare corrente, nessuno si sforza più di produrre ricchezza, non si aprono nuove imprese e dunque sempre più lavoratori si ritrovano a dover spartirsi una torta che si fa sempre più esigua.
Parabola significa: che i lavoratori vogliano guadagnare di più, è giusto, logico e ovvio. Ma non è una cosa che si può ottenere prendendo acqua da pozzi dove non ce n'è. I salari non possono essere gestiti dallo stato, che non ha più soldi, e tutto è rinviato al mercato del lavoro, perché le imprese prosperano se vendono qualcosa di cui si sente un reale bisogno e dunque possono assumere più lavoratori soltanto se prosperano, in un circolo virtuoso che, se si spezza, provoca come conseguenza che c'è meno prosperità e dunque meno posti di lavoro. E quei pochi che ci sono, sono sottopagati e a nero. Questa è la realtà dinnanzi alla quale i sindacati sono sordi. E, purtroppo, ubriacati dalla demagogia sindacale, ci siamo convinti che i diritti di cui godono i lavoratori oggi, siano figli delle fantomatiche "conquiste sindacali dell'Ottocento", e non invece della prosperità dovuta alla Rivoluzione Industriale prima e - purtroppo - all'artificiale ricchezza generata dal grande indebitamento poi che, disossando l'apparenza dalla realtà, ha convinto tutti che il benessere si possa pianificare ideologicamente, che i diritti siano acquisiti e gratuiti, mentre all'apparir del vero si sta, invece, semplicemente prendendo atto che o un'impresa viene messa nelle condizioni di produrre, oppure fallisce, mandando a casa tutti.
I sindacati sono i veri nemici dei lavoratori perché non capiscono che la ricchezza, prima di essere redistribuita, va prodotta. Non c'entra niente ma serve a chiarire la nocività di certe ubbie: è inutile prendersela con Sinner perché porta i suoi soldi a Montecarlo, se poi gli si rende impossibile tenerli in Italia senza essere spennato. Se si facessero i ponti d'oro ai campioni dello sport e dell'impresa, i soldi in Italia li porterebbero eccome e si potrebbero redistribuirne i proventi. Invece lo Stato, ingordo, decide di rendere loro la vita difficile e alla fine "perde Filippo e 'o panaro", come diciamo a Napoli. Ed è, dunque, inutile difendere il lavoratore dal licenziamento o dai bassi salari se poi le aziende, non potendo prosperare, delocalizzano. Inutile sperare che la prosperità venga dal Pozzo di San Patrizio, ché anzi è meglio limitarsi ad ammirare quella struttura che si trova a Orvieto, nella bellissima Piazza Cahen, senza aspettarsi che per magia, dalle profondità, salga qualche soldo.