Ho spesso detto che la cosa di cui vado più fiero è di non aver mai creduto ad una virgola della narrazione covid. In realtà ce n'è anche un'altra: non aver mai considerato neanche per un momento di votare il Movimento 5 Stelle. Tutto mi divide, sia interiormente che esteriormente, da quel mondo che ho visto nascere con i miei occhi, di cui conosco moltissimi di quei personaggi poi diventati famosi e con i quali mi sono spesso scontrato, fino a giungere presto alla determinata convinzione che dove ci sono loro, non ci posso essere io. Avrei detto, fino a qualche anno fa, che io sono antropologicamente diverso dai grillini. Oggi potrei dirlo di meno perché il Movimento 5 Stelle ha cambiato pelle. Rimane sempre un partito nettamente distante da me sotto ogni aspetto, ma è passato dall'ugola ipertrofica di Grillo e dai deliri della dinastia Casaleggio ai toni flautati di un mite professore di diritto costituzionale, cambiando completamente abito. Si può dunque dire archiviata l'esperienza del Movimento 5 Stelle come lo abbiamo conosciuto tutti - che ha mantenuto dell'originale soltanto il nome e il simbolo - e che oggi Grillo, che di quel progetto è stato un insostituibile ariete mediatico, sia di fatto ormai fuori dai giochi. In questi giorni, ospitato da Fazio, ha fatto autocritica dicendo di aver peggiorato la politica e che tutti quelli che lui ha mandato a quel paese, oggi sono al governo. E francamente non mi stupisce. Grillo è un personaggio eccessivo e i personaggi eccessivi sono tali anche quando si danno colpe. C'è, infatti, chi lo ha seguito come il Messia - e se non avesse seguito lui, avrebbe seguito un altro Messia - e chi come il sottoscritto è sempre stato sordamente immune al suo fascino politico, perché ciò che c'era da sapere su di lui l'ho saputo ancor prima di conoscerlo. E non sto scherzando. Ma bisogna chiarire.

Uno dei miei amori di gioventù - rimasto intatto del resto anche oggi che mi avvio alla mezza età - è stato l'umorismo, in particolare quello anglosassone. Nella biblioteca di mio padre, un giorno trovai Jerome K. Jerome e fu una folgorazione. Avendo il vezzo di leggere i libri di un autore in ordine di data, mai casuale, li ho letti praticamente tutti, divorandoli con gusto fino ad arrivare a "Loro ed io", che è stato, invece, quello che mi ha deluso di più. Il Jerome di "tre uomini in barca" o "tre uomini a zonzo", così esilarante da aprirmi un mondo, era scomparso per fare spazio ad un moralista predicatore, né più né meno di come il Grillo di "Ve lo do io il Brasile" si era trasformato nel monocorde predicatore ecologista, misoneista e pauperista che con Casaleggio avrebbe poi fondato il Movimento. E allora ho capito un fenomeno pressoché eterno.
L'umorismo nasce dal matrimonio tra il senso critico e il coraggio di dire la verità. Quando nella barzelletta del malato di AIDS raccontata da Berlusconi, il medico dice al paziente disperato di farsi le sabbiature perché così si abitua a stare sotto terra, la forma è quella di un umorismo nerissimo che, infatti, a suo tempo scandalizzò tutti, ma il senso della gag è serissimo: non si può pretendere una soluzione a tutti i costi di un problema irrisolvibile. La risposta del medico è, dunque, cattivissima ma sincera e reale. E dunque, ridere è un conto ma risolvere il problema ne è un altro. Il comico di buonsenso identifica un problema e si limita a proporne una risoluzione grottesca che, nella sua assurdità, scatena la risata. Quello poco accorto, prende sul serio la risata e si convince di poterla convogliare in un programma politico. Grillo ha seguito quest'ultimo schema, dando voce non al cervello e all'intelligenza del paese, ma ai suoi istinti rabbiosi, al suo furore. Cosa che gli ha provocato un enorme successo politico che però ha visto la corda quando lui stesso si è reso conto che, per effetto di quello stesso giustizialismo da lui nutrito, oggi, in molti, danno sommariamente per scontato che il figlio, accusato di stupro, sia colpevole. Così come ha visto la corda anche l'idea che i grossi temi geopolitici potessero essere dipanati dall'uomo comune purché onesto e disposto a farsi sottopagare per assumersi enormi responsabilità, idea naufragata quando tutti gli amministratori da lui fatti eleggere si sono resi conto che le competenze costano e anche care.

Ecco dunque l'errore di fondo di Grillo e dei suoi seguaci. La realtà è complessa, non si può risolvere a colpi di slogan e battute. Ma questa non è una cosa inventata da lui. Quando Alessandro Di Battista dice che lui ha iniziato a fare politica perché ispirato dalla "questione morale proposta da Enrico Berlinguer", si capisce perfettamente che certi fenomeni, l'indignazionismo giustizialista, il superficialismo politico, la demagogia, il populismo, sono eterni, tanto che vengono condannati persino da autori greci e latini, quindi roba di millenni fa. Il che significa che certi errori, valicando il tempo e lo spazio, ciclicamente si ripresentano, proprio come quegli schemi Ponzi che, puntualmente si risolvono in eserciti di poveri diavoli mandati sul lastrico ma che periodicamente si ripropongono perché si basano su presupposti seducenti.
Ecco, Grillo è stato l'ennesimo "Schema Ponzi" della politica. Si è presentato con la promessa che avrebbe cambiato la politica, dando a tutti gli italiani un po' di soldi per non fare niente, facendo entrare Mario il Barman e Concetta la sciampista in Parlamento, nella convinzione, rivelatasi ovviamente fallace, che avrebbero resistito alle sirene di partiti ben più attrezzati, per poi scoprire strada facendo che tanti barman e sciampisti sono contrari alla casta, fin quando non trovano il modo di penetrarne una, e che, dato che i soldi non si fabbricano, la ricchezza da redistribuire, attraverso redditi di cittadinanza, o va prodotta facendo ponti d'oro a chi la produce oppure bisogna piangere miseria al cospetto di un'Europa che non fa regali a nessuno.
Lo schema ponzi ha presto mostrato la corda, lui ne ha tratto personalmente qualche dividendo, ma nulla sarebbe accaduto se milioni di italiani creduloni, non gli avessero affidato la propria fiducia.
La colpa non è di Grillo ma di chi l'ha votato.

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Quando il Beppe nazionale si esibì nelle piazze italiane, sinceramente, mai avrei pensato che riuscisse a tirar su così tanta gente per un partito virtuale. Siamo coetanei. Lo incontravo 50 anni fa a Milano io studentessa lui cercava di fare il pagliaccio (mai considerato come comico) per entrare al Derby, il tempio del cabaret, dove si esibivano i "mostri" della satira. Non l'hanno mai voluto. Frequentavamo il "Tencitt" vicino alla Statale dove spesso trovavamo anche lui, accompagnato da pochi in quanto persona insopportabile, borioso, maleducato, strafottente, rancoroso, avaro, profittatore.
Se lo vedevamo seduto "Uh signùr ghe el Bepp ndem via". Quando ha formato il M5S scommessi con un amico che, appena fatto i soldi lui sarebbe scomparso mollando tutto. Ovviamente ho vinto, ma, ho tristemente verificato quanto sia facile "imbelinare" (termine genovese) gli italiani. Quelli di adesso però, perchè, 50, 40, anche 30 anni fa non ce l'avrebbe fatta.
 

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Franco Marino
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