Esistono alcuni concetti come morale, bontà, onestà, Stato, che hanno un'importanza fondamentale per chiunque voglia vivere in una società dove non si corra il rischio di uscire di casa ed essere uccisi da qualcuno solo perché fisicamente più forte di noi. E poi ci sono gli "ismi", che trasformano qualsiasi concetto in qualcosa di insopportabile, di intollerabile.
Non si può vivere senza morale, ma il moralismo è insopportabile. La bontà d'animo è fondamentale ma il buonismo è intollerabile. E l'onestà è fondamentale nei rapporti umani ma l'onestismo proposto dai Cinquestelle ha reso impronunciabile la parola onestà per almeno i prossimi cinquant'anni.
E allo stesso modo, è insopportabile lo statalismo, la ridicola convinzione che lo Stato, che in realtà è interessato solo alla propria sopravvivenza. sia un babbo munifico interessato alla sorte dei suoi figli, i cittadini. Ma uno Stato è, tuttavia, necessario. Non perché lo dica un signor nessuno come me, ma perché è l'evoluzione della naturale tendenza da parte dei cittadini ad associarsi e a costituirsi dunque in varie comunità, la più forte delle quali si impone su tutte le altre e diventa, appunto, lo Stato. Chi sogna un mondo anarcoide dove lo Stato non esista, evidentemente non sa che questo significa che nessuno dei diritti di cui noi godiamo e che diamo per scontati, a quel punto sarà garantito. Per esempio, possiamo uscire di casa, tornare a casa e trovarla occupata perché qualcuno più forte di noi ha deciso di farlo: come riappropriarsene se non c'è una Polizia da chiamare? Significa che se ci facciamo male, non c'è un Pronto Soccorso che, gratuitamente, ci soccorra. Significa che, non essendoci una Polizia, siamo alla mercé di qualsiasi individuo più forte di noi che decida di vessarci. Tutto questo e tant'altro rende necessarie le tasse che sono semplicemente il contributo che i cittadini versano per vivere in un posto che certamente non è perfetto ma è, di gran lunga, migliore di quello anarcoide qui sopra descritto.
Ma perché questa premessa? Perché il Corriere pubblica un articolo dove, per lanciare l'ennesimo anatema contro l'evasione fiscale, ci spiega che il 47% degli italiani non dichiara alcun reddito e che il 14% paga un terzo del totale. Dal momento che non è ragionevole pensare che metà degli italiani non abbia reddito, è evidente che la gran parte di quel 47% sia fatta da evasori. Ma è altrettanto ragionevole pensare che non siano tutti delinquenti ma magari cittadini che hanno sviluppato nei confronti dello Stato una sorta di insofferenza generalizzata, spesso indotta anche dai media, i quali a furia di parlare di scandali dove Tizio è colpevole di questa corruzione e Caio di quel peculato, fanno dimenticare alla cittadinanza che la corruzione è il lubrificante di ogni socialdemocrazia e che, in quanto tale, ha un odore nauseabondo ma, se si vuol vivere in un paese democratico e con un welfare accettabile, non se ne può fare a meno. Qual è il vero punto di fondo?
Mio padre, direttore dell'Agenzia Entrate della mia città, sosteneva che gran parte dell'evasione si debba ad uno Stato che comunica male. Basterebbe, diceva, non chiamare "IMU" la tassa sulla casa e trasformarla in "Tassa di difesa della proprietà", e così via tutte le tasse, stabilendo un nesso di causa e conseguenza per ogni tributo, per far capire ai cittadini che quello che loro pagano, è anzitutto nel loro interesse. Il limite di questo discorso, teoricamente imparabile, è che se si dice al cittadino a cosa serva ogni tassa, quando questi non vede tutelato il proprio diritto, si veda autorizzato ad evaderla ancor di più. Un esempio è proprio il diritto di proprietà. Ogni proprietario di casa, quando decide di fittarla, sa che il suo è un terno al lotto, in quanto può tanto trovare una persona perbene, che onorerà i propri doveri con puntualità, tanto chi invece, una volta insediatosi in casa, non solo non pagherà il pigione ma addirittura la distruggerà, come pure è capitato a me in una circostanza, che mi ha visto non percepire quasi due anni di fitto e, finalmente, quando lo Stato si è deciso a sfrattare il moroso, mi sono ritrovato danni fino a trentamila euro. A quel punto, perché pagare le tasse se lo Stato non onora il suo dovere.
Ciò che unisce l'idiozia di entrambi gli schieramenti, "evasori ideologici" e "moralisti tributari" è la non comprensione del concetto che le tasse non sono un diritto divino dello Stato sul cittadino ma il giusto corrispettivo per i servizi che offre in cambio della protezione sociale, alla base del concetto stesso di "Stato". Se le tasse sono troppo alte rispetto alla qualità dei servizi offerti e se al cittadino, per effetto di un'argomentazione reale o di un'informazione che ha interesse a spargere zizzania nella società, arriva il messaggio che lo Stato è gestito da ladri, cialtroni, corruttori, concussori e che il suo interesse non sia il benessere dei cittadini ma quello di altre realtà, a quel punto l'evasione non solo appare inevitabile ma, come sosteneva persino il liberale Einaudi, Presidente della Repubblica di tanti anni fa, addirittura una legittima difesa.
Lo Stato, così, si trova di fronte ad un bivio: o decide di scegliere un modello socialdemocratico, ma a quel punto deve garantire, in cambio delle tasse, dei servizi di eccellenza, oppure sceglie un modello liberale e a quel punto, a fronte di molti meno servizi, riduce drasticamente le tasse.
In un'era in cui di risorse ce ne sono poche e non ci sono più grosse potenze geopolitiche straniere in grado di garantire i debiti dei paesi più piccoli - e che, quando lo fanno, non lo fanno certo gratis - una classe politica razionale deve semplicemente scegliere un modello liberale che certamente darebbe al cittadino molte meno tutele ma quantomeno gli permetterebbe di prosperare in pace senza dover, ogni anno, impazzire alla ricerca di quell'euro perduto che, se non dichiarato, si trasformerebbe in sanzioni da qualche decina di migliaia di euro. Perché tutto questo è esattamente il motivo per cui la gente preferisce rifugiarsi nella clandestinità fiscale.
Occorrerebbe un cambio di mentalità che, temiamo, non può essere indotto da nessuna classe politica, fin quando non si capirà che, indipendentemente dai punti di vista socialdemocratici o liberali, lo Stato, di per sé, non è né una divinità né un padre munifico, ma un male necessario, e che la ricchezza che poi redistribuisce è procurata dai cittadini stessi, ai quali, invece di fare anagrafi fiscali, studi di settore, accertamenti vari, obblighi di ristrutturare casa, di cambiare auto e quant'altro, invece di essere insultati da articoli allarmistici, vanno fatti ponti d'oro nel momento in cui decidono di produrre quella ricchezza. Perché l'alternativa è indebitarsi sempre più fin quando, come uno schema Ponzi, qualcuno capisce la truffa su cui si strutturano i debiti pubblici e il castello di carta crolla, con conseguenze catastrofiche che perlomeno avranno il merito di riportare la gente alla dimensione della tavola pitagorica smarrita.
Non si può vivere senza morale, ma il moralismo è insopportabile. La bontà d'animo è fondamentale ma il buonismo è intollerabile. E l'onestà è fondamentale nei rapporti umani ma l'onestismo proposto dai Cinquestelle ha reso impronunciabile la parola onestà per almeno i prossimi cinquant'anni.
E allo stesso modo, è insopportabile lo statalismo, la ridicola convinzione che lo Stato, che in realtà è interessato solo alla propria sopravvivenza. sia un babbo munifico interessato alla sorte dei suoi figli, i cittadini. Ma uno Stato è, tuttavia, necessario. Non perché lo dica un signor nessuno come me, ma perché è l'evoluzione della naturale tendenza da parte dei cittadini ad associarsi e a costituirsi dunque in varie comunità, la più forte delle quali si impone su tutte le altre e diventa, appunto, lo Stato. Chi sogna un mondo anarcoide dove lo Stato non esista, evidentemente non sa che questo significa che nessuno dei diritti di cui noi godiamo e che diamo per scontati, a quel punto sarà garantito. Per esempio, possiamo uscire di casa, tornare a casa e trovarla occupata perché qualcuno più forte di noi ha deciso di farlo: come riappropriarsene se non c'è una Polizia da chiamare? Significa che se ci facciamo male, non c'è un Pronto Soccorso che, gratuitamente, ci soccorra. Significa che, non essendoci una Polizia, siamo alla mercé di qualsiasi individuo più forte di noi che decida di vessarci. Tutto questo e tant'altro rende necessarie le tasse che sono semplicemente il contributo che i cittadini versano per vivere in un posto che certamente non è perfetto ma è, di gran lunga, migliore di quello anarcoide qui sopra descritto.
Ma perché questa premessa? Perché il Corriere pubblica un articolo dove, per lanciare l'ennesimo anatema contro l'evasione fiscale, ci spiega che il 47% degli italiani non dichiara alcun reddito e che il 14% paga un terzo del totale. Dal momento che non è ragionevole pensare che metà degli italiani non abbia reddito, è evidente che la gran parte di quel 47% sia fatta da evasori. Ma è altrettanto ragionevole pensare che non siano tutti delinquenti ma magari cittadini che hanno sviluppato nei confronti dello Stato una sorta di insofferenza generalizzata, spesso indotta anche dai media, i quali a furia di parlare di scandali dove Tizio è colpevole di questa corruzione e Caio di quel peculato, fanno dimenticare alla cittadinanza che la corruzione è il lubrificante di ogni socialdemocrazia e che, in quanto tale, ha un odore nauseabondo ma, se si vuol vivere in un paese democratico e con un welfare accettabile, non se ne può fare a meno. Qual è il vero punto di fondo?
Mio padre, direttore dell'Agenzia Entrate della mia città, sosteneva che gran parte dell'evasione si debba ad uno Stato che comunica male. Basterebbe, diceva, non chiamare "IMU" la tassa sulla casa e trasformarla in "Tassa di difesa della proprietà", e così via tutte le tasse, stabilendo un nesso di causa e conseguenza per ogni tributo, per far capire ai cittadini che quello che loro pagano, è anzitutto nel loro interesse. Il limite di questo discorso, teoricamente imparabile, è che se si dice al cittadino a cosa serva ogni tassa, quando questi non vede tutelato il proprio diritto, si veda autorizzato ad evaderla ancor di più. Un esempio è proprio il diritto di proprietà. Ogni proprietario di casa, quando decide di fittarla, sa che il suo è un terno al lotto, in quanto può tanto trovare una persona perbene, che onorerà i propri doveri con puntualità, tanto chi invece, una volta insediatosi in casa, non solo non pagherà il pigione ma addirittura la distruggerà, come pure è capitato a me in una circostanza, che mi ha visto non percepire quasi due anni di fitto e, finalmente, quando lo Stato si è deciso a sfrattare il moroso, mi sono ritrovato danni fino a trentamila euro. A quel punto, perché pagare le tasse se lo Stato non onora il suo dovere.
Ciò che unisce l'idiozia di entrambi gli schieramenti, "evasori ideologici" e "moralisti tributari" è la non comprensione del concetto che le tasse non sono un diritto divino dello Stato sul cittadino ma il giusto corrispettivo per i servizi che offre in cambio della protezione sociale, alla base del concetto stesso di "Stato". Se le tasse sono troppo alte rispetto alla qualità dei servizi offerti e se al cittadino, per effetto di un'argomentazione reale o di un'informazione che ha interesse a spargere zizzania nella società, arriva il messaggio che lo Stato è gestito da ladri, cialtroni, corruttori, concussori e che il suo interesse non sia il benessere dei cittadini ma quello di altre realtà, a quel punto l'evasione non solo appare inevitabile ma, come sosteneva persino il liberale Einaudi, Presidente della Repubblica di tanti anni fa, addirittura una legittima difesa.
Lo Stato, così, si trova di fronte ad un bivio: o decide di scegliere un modello socialdemocratico, ma a quel punto deve garantire, in cambio delle tasse, dei servizi di eccellenza, oppure sceglie un modello liberale e a quel punto, a fronte di molti meno servizi, riduce drasticamente le tasse.
In un'era in cui di risorse ce ne sono poche e non ci sono più grosse potenze geopolitiche straniere in grado di garantire i debiti dei paesi più piccoli - e che, quando lo fanno, non lo fanno certo gratis - una classe politica razionale deve semplicemente scegliere un modello liberale che certamente darebbe al cittadino molte meno tutele ma quantomeno gli permetterebbe di prosperare in pace senza dover, ogni anno, impazzire alla ricerca di quell'euro perduto che, se non dichiarato, si trasformerebbe in sanzioni da qualche decina di migliaia di euro. Perché tutto questo è esattamente il motivo per cui la gente preferisce rifugiarsi nella clandestinità fiscale.
Occorrerebbe un cambio di mentalità che, temiamo, non può essere indotto da nessuna classe politica, fin quando non si capirà che, indipendentemente dai punti di vista socialdemocratici o liberali, lo Stato, di per sé, non è né una divinità né un padre munifico, ma un male necessario, e che la ricchezza che poi redistribuisce è procurata dai cittadini stessi, ai quali, invece di fare anagrafi fiscali, studi di settore, accertamenti vari, obblighi di ristrutturare casa, di cambiare auto e quant'altro, invece di essere insultati da articoli allarmistici, vanno fatti ponti d'oro nel momento in cui decidono di produrre quella ricchezza. Perché l'alternativa è indebitarsi sempre più fin quando, come uno schema Ponzi, qualcuno capisce la truffa su cui si strutturano i debiti pubblici e il castello di carta crolla, con conseguenze catastrofiche che perlomeno avranno il merito di riportare la gente alla dimensione della tavola pitagorica smarrita.
Ma se tutto questo non si è capito per decenni, la prospettiva di capirlo entro la fine non dico del 2023 ma quanto meno del 2024 o del 2025 appare come uno di quei dolci sogni dai quali non ci si vorrebbe svegliare mai.