L'italiano ha un'idea abbastanza infantile del concetto di istituzioni: pensa che il potere derivi dal comando, dalla possibilità di premere dei bottoni e non dalle circostanze che possono rendere potentissimo anche chi, ufficialmente, non lo è. Se - dopo che nella Seconda Repubblica si sono alternati governi di destra e di sinistra - la convinzione di tutti è di essere tiranneggiati dalla sinistra, è perché il comando è cosa ben diversa dall'avere il potere. Anche per questo, si può dubitare di riuscire a cambiare un paese riformando la costituzione come, più volte, si è tentato di fare. In questo senso la domanda più ricorrente è: il premierato forte è utile?
Come principio, si pone di rafforzare il ruolo del Presidente del Consiglio dei Ministri (che d'ora in poi chiameremo PDCM) trasformandolo in quel "premier eletto dal popolo" spesso impropriamente definito da Berlusconi quando - avendo ragione politicamente ma torto costituzionalmente - si lamentava dei ribaltoni operati dalle opposizioni. La norma - così funziona nei paesi dove questo sistema è in vigore - se rimarrà intonsa, consentirà al premier di sciogliere le camere e andare al voto se non ha più la fiducia del Parlamento, ponendo fine ai carnevali dei governi tecnici ispirati dal Presidente della Repubblica (che d'ora in poi chiameremo PDR) e quant'altro.
Non cambierebbe nulla in termini di effettivi poteri del PDCM, a parte la possibilità di rimuovere ministri sgraditi, ma quantomeno non assisteremmo più ai giochini che solitamente il PDR - che, a dispetto di quanto recitato dalla Costituzione, non è il garante di nessuna unità ma è semplicemente una carica politica come tutte le altre - mette in atto quando è di segno politico opposto al PDCM. In caso di dimissioni del premier, si scioglierebbero le camere e si andrebbe a nuove elezioni e il PDR non potrebbe farci nulla.
Questo se il premierato forte si attiene ai suoi principi di base. Ma chi conosce i meccanismi della dialettica politica, sa benissimo che tra un emendamento e l'altro, il rischio che ne esca fuori qualcosa di ben lontano dalle intenzioni - e di molto vicino al concetto gattopardesco di cambiamento - è molto alto.
Riguardo alla possibilità che venga approvata, iniziano le criticità. Se si trattasse di una legge ordinaria, la maggioranza sarebbe solida e non ci sarebbero problemi, tanto più che non solo Salvini l'ha più volte auspicata ma anche Berlusconi, nel 2006, provò a far passare una legge simile, perdendo la partita. Ma trattandosi di una riforma costituzionale, per evitare che si vada ad un rischioso referendum, deve essere approvata dai due terzi del Parlamento. Se invece viene approvata dalla sola maggioranza, le condizioni richieste dalla Costituzione per andare al referendum sono molto blande: un quinto dei parlamentari, cinque consigli regionali e 500.000 firme. Tutti obiettivi alla portata di un'opposizione distruttiva, che ha un totale strapotere dei mezzi di comunicazione e appoggi e appigli internazionali. Ed è facilissimo immaginare che assisteremo al consueto profluvio di scemenze da parte della sinistra - di cui ben conosciamo la disonestà intellettuale - che urlerà al regime come è sempre accaduto tutte le volte che si è cercato di dare più poteri al governo o alla maggioranza, dimenticando che la fragilità dell'esecutivo italiano è un unicum nell'alveo dei paesi democratici davvero sovrani, laddove l'equivalente del presidente del consiglio è di fatto il vero capo dello stato (presidenzialismo) oppure ha poteri del tutto analoghi a quello del premierato forte.
Per rendere davvero governabile questo paese occorrerebbe una presa di coscienza non solo politica ma anche popolare, che la governabilità di un paese è una cosa che non è né di destra né di sinistra ma nell'interesse di tutti, compresi quelli che oggi, per logica di parte, la avversano. Che non sono i pieni poteri a provocare le dittature ma i vuoti di potere. Che la Germania di Weimar, che poi finì nelle mani di Hitler, aveva una struttura praticamente identica a quella italiana di oggi (con l'unica differenza di un Presidente della Repubblica eletto dal popolo ma senza poteri) e che quindi non c'è contropotere che tenga se le condizioni per una dittatura sono mature.
Il problema è che i governi stabili non piacciono a troppa gente fuori dall'Italia. Non piacciono ai "mercati" (cioè ai fondi di investimento che, drogando i mercati, decidono cosa deve fare un politico locale) non piacciono all'Unione Europea che dovrebbe confrontarsi con governi locali molto più forti. Non piacciono ai poteri del deep state americano, che sicuramente avrebbero meno potere di destabilizzazione della politica italiana. Ed essendo molte le quinte colonne italiane di questi poteri, c'è di che essere pessimisti.
Inoltre, molto dipenderà da come arriverà la Meloni al referendum: sarà forte a sufficienza per disinnescare la propaganda della sinistra? La sua popolarità sarà altissima oppure in calo? L'opposizione avrà trovato un leader convincente? Perché è vero che la propaganda progressista è sempre più un disco rotto, ma tantissime cose potrebbero entrare in giuoco nei prossimi tempi, tali da rovesciare la situazione attuale e da mettere in forte difficoltà la Meloni. Film già visto con Renzi nel 2016.
Infine, dovrebbe cambiare il quadro internazionale: nel 2024 dovrebbe salire Trump in America e avviarsi finalmente il disinnesco dei poteri forti americani che condizionano la politica di tutto l'Occidente, sperando che qualche tempesta perfetta da essi scatenata non crei al vecchio Donald gli stessi problemi che già gli furono creati nel 2020, quando era in netto vantaggio per poi, tra covid e brogli elettorali, perdere.
Ma partiamo dai punti principali. Cos'è il premierato forte? Ce la farà Giorgia Meloni a farlo approvare?
Come principio, si pone di rafforzare il ruolo del Presidente del Consiglio dei Ministri (che d'ora in poi chiameremo PDCM) trasformandolo in quel "premier eletto dal popolo" spesso impropriamente definito da Berlusconi quando - avendo ragione politicamente ma torto costituzionalmente - si lamentava dei ribaltoni operati dalle opposizioni. La norma - così funziona nei paesi dove questo sistema è in vigore - se rimarrà intonsa, consentirà al premier di sciogliere le camere e andare al voto se non ha più la fiducia del Parlamento, ponendo fine ai carnevali dei governi tecnici ispirati dal Presidente della Repubblica (che d'ora in poi chiameremo PDR) e quant'altro.
Non cambierebbe nulla in termini di effettivi poteri del PDCM, a parte la possibilità di rimuovere ministri sgraditi, ma quantomeno non assisteremmo più ai giochini che solitamente il PDR - che, a dispetto di quanto recitato dalla Costituzione, non è il garante di nessuna unità ma è semplicemente una carica politica come tutte le altre - mette in atto quando è di segno politico opposto al PDCM. In caso di dimissioni del premier, si scioglierebbero le camere e si andrebbe a nuove elezioni e il PDR non potrebbe farci nulla.
Questo se il premierato forte si attiene ai suoi principi di base. Ma chi conosce i meccanismi della dialettica politica, sa benissimo che tra un emendamento e l'altro, il rischio che ne esca fuori qualcosa di ben lontano dalle intenzioni - e di molto vicino al concetto gattopardesco di cambiamento - è molto alto.
Riguardo alla possibilità che venga approvata, iniziano le criticità. Se si trattasse di una legge ordinaria, la maggioranza sarebbe solida e non ci sarebbero problemi, tanto più che non solo Salvini l'ha più volte auspicata ma anche Berlusconi, nel 2006, provò a far passare una legge simile, perdendo la partita. Ma trattandosi di una riforma costituzionale, per evitare che si vada ad un rischioso referendum, deve essere approvata dai due terzi del Parlamento. Se invece viene approvata dalla sola maggioranza, le condizioni richieste dalla Costituzione per andare al referendum sono molto blande: un quinto dei parlamentari, cinque consigli regionali e 500.000 firme. Tutti obiettivi alla portata di un'opposizione distruttiva, che ha un totale strapotere dei mezzi di comunicazione e appoggi e appigli internazionali. Ed è facilissimo immaginare che assisteremo al consueto profluvio di scemenze da parte della sinistra - di cui ben conosciamo la disonestà intellettuale - che urlerà al regime come è sempre accaduto tutte le volte che si è cercato di dare più poteri al governo o alla maggioranza, dimenticando che la fragilità dell'esecutivo italiano è un unicum nell'alveo dei paesi democratici davvero sovrani, laddove l'equivalente del presidente del consiglio è di fatto il vero capo dello stato (presidenzialismo) oppure ha poteri del tutto analoghi a quello del premierato forte.
Per rendere davvero governabile questo paese occorrerebbe una presa di coscienza non solo politica ma anche popolare, che la governabilità di un paese è una cosa che non è né di destra né di sinistra ma nell'interesse di tutti, compresi quelli che oggi, per logica di parte, la avversano. Che non sono i pieni poteri a provocare le dittature ma i vuoti di potere. Che la Germania di Weimar, che poi finì nelle mani di Hitler, aveva una struttura praticamente identica a quella italiana di oggi (con l'unica differenza di un Presidente della Repubblica eletto dal popolo ma senza poteri) e che quindi non c'è contropotere che tenga se le condizioni per una dittatura sono mature.
Il problema è che i governi stabili non piacciono a troppa gente fuori dall'Italia. Non piacciono ai "mercati" (cioè ai fondi di investimento che, drogando i mercati, decidono cosa deve fare un politico locale) non piacciono all'Unione Europea che dovrebbe confrontarsi con governi locali molto più forti. Non piacciono ai poteri del deep state americano, che sicuramente avrebbero meno potere di destabilizzazione della politica italiana. Ed essendo molte le quinte colonne italiane di questi poteri, c'è di che essere pessimisti.
Inoltre, molto dipenderà da come arriverà la Meloni al referendum: sarà forte a sufficienza per disinnescare la propaganda della sinistra? La sua popolarità sarà altissima oppure in calo? L'opposizione avrà trovato un leader convincente? Perché è vero che la propaganda progressista è sempre più un disco rotto, ma tantissime cose potrebbero entrare in giuoco nei prossimi tempi, tali da rovesciare la situazione attuale e da mettere in forte difficoltà la Meloni. Film già visto con Renzi nel 2016.
Infine, dovrebbe cambiare il quadro internazionale: nel 2024 dovrebbe salire Trump in America e avviarsi finalmente il disinnesco dei poteri forti americani che condizionano la politica di tutto l'Occidente, sperando che qualche tempesta perfetta da essi scatenata non crei al vecchio Donald gli stessi problemi che già gli furono creati nel 2020, quando era in netto vantaggio per poi, tra covid e brogli elettorali, perdere.