Qualche tempo fa un'anziana signora, lettrice assidua del mio blog, disse che il marito, al quale mandava i miei articoli, si era stancato di leggermi perché diceva che io non indico soluzioni ma sono solo bravo a criticare.
Ho riflettuto molto su questa cosa. Ed è indubbiamente vero che io sia uno smontatore di soluzioni, ma è deformazione professionale. Continuamente, nel mio lavoro, mi trovo a smontare soluzioni che sembrano facili e fattibili e che invece sono impossibili da realizzare. Ma nella tesi del marito di questa mia lettrice c'è soltanto un errore che invalida il discorso e cioè che io non indichi soluzioni. Che, invece, ci sono eccome e sono anche praticabili. Il problema è che per renderle praticabili occorre che il malato capisca di avere una malattia grave che chiede soluzioni radicali. Se ad un diabetico grave dici che bisogna amputargli il piede, quello comprensibilmente dirà "Non è una soluzione praticabile, ti pare che io possa camminare senza un piede?". E ok. Ma se poi la cancrena diabetica si diffonde alla gamba, alla fine ti tocca amputare pure quella. "Non è una soluzione praticabile. Come faccio senza gamba?". E via via fino alla morte quando la situazione casomai si poteva risolvere con un piede amputato che insomma era una gran brutta cosa ma ci sono pur sempre le protesi.
Il problema di fondo è che un diabetico grave non può pretendere che il diabetologo gli dica "ma no, non deve amputarsi niente, beva soltanto un bicchiere d'acqua e limone dopo i pasti" e se questo disgraziato gli dice che, ad oggi, non esiste una cura migliore, non gli si può dire "Eh no dottore, lei non indica un rimedio praticabile". Perché il rimedio c'è ed è praticabile. Il problema è che è molto radicale.
Questa situazione avviene molto più di frequente di quanto si creda. Per esempio, io sono, da sempre, convinto che l'Italia e in generale i paesi europei possano salvarsi solo con una rivoluzione, che è esattamente la "diagnosi" che ha fatto arrabbiare il marito di questa signora. Non c'è naturalmente la certezza che questa sia la cura giusta - perché una rivoluzione può anche peggiorare le cose - ma che sia fattibile non c'è dubbio, perché di rivoluzioni è piena la storia. Semplicemente, non c'è da parte della gente la volontà di accettare un evento traumatico che però potrebbe innescare un cambio di marcia perché ci aspettiamo di curare un brutto diabete con l'acqua e limone, ché del resto di truffatori che ci vendono la ricetta magica per la salvezza è piena la politica. Certo, l'ideale sarebbe che tutti i partiti capissero che l'Italia va salvata, rifacendo la Costituzione e costruendola non per un paese che ha perso la guerra ed è condannata, per trattato, a stare sotto il tallone di altri paesi, ma per un paese sovrano e autonomo. Ma forse nessun partito crede nella necessità di un discorso di questo tipo.
E la stessa cosa accade anche in Palestina.
La ragione di quel conflitto è molto semplice e più volte l'abbiamo scritta qui. La querelle è stata costruita a tavolino da potenze geopolitiche che avevano interesse a dare ad Israele l'opportunità di costituirsi come stato per poter, con la scusa della questione ebraica, avere un pretesto per mantenere la propria presenza in territori ricchi di petrolio come quelli mediorientale. E dall'altra, il popolo palestinese (che non ha, a differenza di Israele, alcun elemento identitario che ne caratterizzi l'essenza) è stato radunato dai sovietici al fine di opporsi ad Israele. Quando crollò l'URSS, gli americani invece di risolvere alla radice la faccenda, hanno sponsorizzato le ali radicali sia di Israele che della Palestina, al fine di tenere destabilizzata l'area e continuare a giustificare la propria presenza. Come si può pensare di arrivare ad una pace se l'obiettivo è proprio che da quelle parti ci sia la guerra? E si badi bene che quel che dico io viene confermato da fior di esperti di geopolitica. George Friedman, nel descrivere queste ed altre vicende nelle quali gli americani sono impelagati, spiega la situazione per come effettivamente è. "Noi americani non abbiamo interesse ad arrivare ad una pace nel territorio, perché se poi si arriva davvero alla pace, noi non veniamo più percepiti come necessari. Così noi prima finanziamo una parte del conflitto affinché si rafforzi, poi non appena ipotizziamo che possa diventare sufficientemente forte, ci mettiamo ad appoggiare l'altra parte del conflitto". Se a questo aggiungiamo che il mantenimento di uno stato di crisi di questo tipo è utile anche alle Borse che, capito il giochino, investono quando una moneta è bassa per poi vendere quando è alta, realizzando un sacco di profitti, si capisce perfettamente il senso della questione. E cioè che non ci sarà mai una pace fin quando le potenze geopolitiche che pensano che il loro interesse sia che le parti rimangano in conflitto non capiranno che se vanno avanti così, perderanno la propria credibilità tutte le volte che interverranno in qualsiasi zona di crisi. Il motivo per cui oggi nessuno, per esempio, crede più nel potere salvifico dell'interventismo americano, non è tanto nel fatto che gli americani abbiano il vizio di voler esportare un modello economico e sociale, perché quello corrisponde al loro interesse, ma che, nel momento in cui lo fanno, non migliorano le realtà che invadono. Ma si può mai pensare che gente di quel livello ascolti un povero diavolo che vive alla periferia orientale di Napoli? E fuoriuscendo dalla questione palestinese, si può mai pensare che i partiti italiani capiscano che per risolvere i problemi di questo paese bisogna mettersi tutti ad un tavolino, rinunciando ciascuno a qualcosa di proprio? Avrei più credibilità se suggerissi di fare, come ai tempi dell'asilo "mignolino mignolino, maledetto il diavoletto che ci ha fatto litigar".
Stati Uniti, Federazione Russia, Cina, Iran, hanno interesse a destabilizzare quell'area perché, concretamente, ritirarsi per loro significherebbe veder colpito il proprio interesse. E quando mai una grande realtà geopolitica ha anteposto la pace, la concordia ai propri interessi? Ditemelo e mi metterò a sperarlo, ma ho paura che cercherete invano.
Ho riflettuto molto su questa cosa. Ed è indubbiamente vero che io sia uno smontatore di soluzioni, ma è deformazione professionale. Continuamente, nel mio lavoro, mi trovo a smontare soluzioni che sembrano facili e fattibili e che invece sono impossibili da realizzare. Ma nella tesi del marito di questa mia lettrice c'è soltanto un errore che invalida il discorso e cioè che io non indichi soluzioni. Che, invece, ci sono eccome e sono anche praticabili. Il problema è che per renderle praticabili occorre che il malato capisca di avere una malattia grave che chiede soluzioni radicali. Se ad un diabetico grave dici che bisogna amputargli il piede, quello comprensibilmente dirà "Non è una soluzione praticabile, ti pare che io possa camminare senza un piede?". E ok. Ma se poi la cancrena diabetica si diffonde alla gamba, alla fine ti tocca amputare pure quella. "Non è una soluzione praticabile. Come faccio senza gamba?". E via via fino alla morte quando la situazione casomai si poteva risolvere con un piede amputato che insomma era una gran brutta cosa ma ci sono pur sempre le protesi.
Il problema di fondo è che un diabetico grave non può pretendere che il diabetologo gli dica "ma no, non deve amputarsi niente, beva soltanto un bicchiere d'acqua e limone dopo i pasti" e se questo disgraziato gli dice che, ad oggi, non esiste una cura migliore, non gli si può dire "Eh no dottore, lei non indica un rimedio praticabile". Perché il rimedio c'è ed è praticabile. Il problema è che è molto radicale.
Questa situazione avviene molto più di frequente di quanto si creda. Per esempio, io sono, da sempre, convinto che l'Italia e in generale i paesi europei possano salvarsi solo con una rivoluzione, che è esattamente la "diagnosi" che ha fatto arrabbiare il marito di questa signora. Non c'è naturalmente la certezza che questa sia la cura giusta - perché una rivoluzione può anche peggiorare le cose - ma che sia fattibile non c'è dubbio, perché di rivoluzioni è piena la storia. Semplicemente, non c'è da parte della gente la volontà di accettare un evento traumatico che però potrebbe innescare un cambio di marcia perché ci aspettiamo di curare un brutto diabete con l'acqua e limone, ché del resto di truffatori che ci vendono la ricetta magica per la salvezza è piena la politica. Certo, l'ideale sarebbe che tutti i partiti capissero che l'Italia va salvata, rifacendo la Costituzione e costruendola non per un paese che ha perso la guerra ed è condannata, per trattato, a stare sotto il tallone di altri paesi, ma per un paese sovrano e autonomo. Ma forse nessun partito crede nella necessità di un discorso di questo tipo.
E la stessa cosa accade anche in Palestina.
La ragione di quel conflitto è molto semplice e più volte l'abbiamo scritta qui. La querelle è stata costruita a tavolino da potenze geopolitiche che avevano interesse a dare ad Israele l'opportunità di costituirsi come stato per poter, con la scusa della questione ebraica, avere un pretesto per mantenere la propria presenza in territori ricchi di petrolio come quelli mediorientale. E dall'altra, il popolo palestinese (che non ha, a differenza di Israele, alcun elemento identitario che ne caratterizzi l'essenza) è stato radunato dai sovietici al fine di opporsi ad Israele. Quando crollò l'URSS, gli americani invece di risolvere alla radice la faccenda, hanno sponsorizzato le ali radicali sia di Israele che della Palestina, al fine di tenere destabilizzata l'area e continuare a giustificare la propria presenza. Come si può pensare di arrivare ad una pace se l'obiettivo è proprio che da quelle parti ci sia la guerra? E si badi bene che quel che dico io viene confermato da fior di esperti di geopolitica. George Friedman, nel descrivere queste ed altre vicende nelle quali gli americani sono impelagati, spiega la situazione per come effettivamente è. "Noi americani non abbiamo interesse ad arrivare ad una pace nel territorio, perché se poi si arriva davvero alla pace, noi non veniamo più percepiti come necessari. Così noi prima finanziamo una parte del conflitto affinché si rafforzi, poi non appena ipotizziamo che possa diventare sufficientemente forte, ci mettiamo ad appoggiare l'altra parte del conflitto". Se a questo aggiungiamo che il mantenimento di uno stato di crisi di questo tipo è utile anche alle Borse che, capito il giochino, investono quando una moneta è bassa per poi vendere quando è alta, realizzando un sacco di profitti, si capisce perfettamente il senso della questione. E cioè che non ci sarà mai una pace fin quando le potenze geopolitiche che pensano che il loro interesse sia che le parti rimangano in conflitto non capiranno che se vanno avanti così, perderanno la propria credibilità tutte le volte che interverranno in qualsiasi zona di crisi. Il motivo per cui oggi nessuno, per esempio, crede più nel potere salvifico dell'interventismo americano, non è tanto nel fatto che gli americani abbiano il vizio di voler esportare un modello economico e sociale, perché quello corrisponde al loro interesse, ma che, nel momento in cui lo fanno, non migliorano le realtà che invadono. Ma si può mai pensare che gente di quel livello ascolti un povero diavolo che vive alla periferia orientale di Napoli? E fuoriuscendo dalla questione palestinese, si può mai pensare che i partiti italiani capiscano che per risolvere i problemi di questo paese bisogna mettersi tutti ad un tavolino, rinunciando ciascuno a qualcosa di proprio? Avrei più credibilità se suggerissi di fare, come ai tempi dell'asilo "mignolino mignolino, maledetto il diavoletto che ci ha fatto litigar".
Stati Uniti, Federazione Russia, Cina, Iran, hanno interesse a destabilizzare quell'area perché, concretamente, ritirarsi per loro significherebbe veder colpito il proprio interesse. E quando mai una grande realtà geopolitica ha anteposto la pace, la concordia ai propri interessi? Ditemelo e mi metterò a sperarlo, ma ho paura che cercherete invano.
Per cui che volete che vi risponda? Se la cura non vi piace, provate con le sabbiature. Dice "Come le sabbiature?". Ve la ricordate la (terribile ma, confesso, divertentissima) barzelletta di Berlusconi sul malato di AIDS? Un tizio va dal dottore che gli dà la tremenda notizia di essere malato di AIDS. Al che il poveretto chiede al medico "Ma non si può proprio fare niente?" e il medico gli risponde "Provi con le sabbiature". "Come le sabbiature? Ma a cosa servono?", "A nulla" risponde il dottore "Ma almeno si abituerà a stare sotto terra".