Un blogger che solitamente parla di "cose serie", quando parla di cose (in apparenza) frivole, di solito suscita un senso di stranezza. Così, di fronte ai miei articoli sulla vicenda della Meloni e del compagno, è tutto un fluire di "E' un'arma di distrazione di massa", "parliamo di cose serie", "Chissenefrega della Meloni". Quanto non sia vero che alle masse non freghi del gossip sulla loro figura, si può riscontrarlo dal fatto che Giorgia Meloni e Giambruno dominino i newsfeed e che i più attivi, secondo un meccanismo molto nannimorettiano/eccebombiano ("Mi si nota più se non ne parlo per niente oppure se dico di non parlarne?") sono proprio quelli che accusano gli altri di parlarne troppo. L'accusa potrebbe essere fondata se noi ci accanissimo a stabilire torti e ragioni, cosa che, oltretutto, date le informazioni in nostro possesso, sarebbe una perdita di tempo.
In realtà, questi argomenti sono tutt'altro che frivoli perché, se si esula dalla potecarella in sé, si possono trarre alcune importanti indicazioni sul tipo di società che si sta costruendo. Ma andiamo con ordine.
La prima cosa da capire è che viviamo in uno stato di diritto, dove i diritti di una persona possono essere limitati solo da un'autorità istituzionale, designata dal diritto pubblico e solo quando violano i diritti di un'altra persona. Non sono all'altezza di dire se i comportamenti di Giambruno possano configurare un'azione civile, penale o disciplinare, cioè interna ad un eventuale codice etico che Mediaset si sia dato, anche se non lo credo. Quel che so, è che, se Giambruno ha commesso dei reati, deve risponderne davanti ad un tribunale, non davanti a Striscia la Notizia. Invece, sempre più di frequente, la gogna mediatica si sostituisce ai tribunali, con la differenza sostanziale - che rende mille volte preferibili questi ultimi - che mentre nei processi c'è un avvocato che ti difende, nella gogna sei tu contro milioni di accusatori, tra i quali ci può anche essere lo sciroccato fuori di testa che può fare una sciocchezza, magari sapendo dove abiti, e venire a farti passare un brutto quarto d'ora. Quando c'è stato il caso dell'orsa ammazzata, milioni di persone si sono precipitate sul profilo del presunto "orsicida" e non c'è stato nessuno tra i giudici della gogna che abbia detto "Ragazzi, datevi una calmata".
Quando accadono cose di questo tipo, la deriva è chiarissima: lo stato di diritto è stato esautorato per far posto ad enti non espressione della legge che decidono la vita e la morte di una persona con un semplice blogpost o tweet o stato di Facebook. E' questo a farmi più paura.
Si stanno affermando, sempre più, delle prassi terribili, l'idea che conti molto di più l'opinione di un influencer che quella di un giudice, che si possa sporcare impunemente la reputazione di una persona che viene posta sotto la lente di ingrandimento dei media. Non è questione di "simpatizzare con la vittima", è che tutto questo rappresenta la morte del diritto, e dunque qualcosa che oggi tocca ad altri ma che domani potrebbe toccare tanto a chi scrive questo articolo, tanto a chi lo legge.
Come vedete, qui di chi abbia colpa tra Giambruno e la Meloni, non si parla minimamente. A me non frega niente se Giambruno sia colpevole e di cosa, come non mi frega niente chi abbia torto tra gli orsi e gli esseri umani, tra Greta Beccaglia e il suo palpatore naticale, tra gli stupratori e le vittime che si drogano, oppure sapere se Impagnatiello sia il pessimo elemento che è. A me interessa rimanere in uno stato di diritto dove le incriminazioni, i rinvii a giudizio, le sentenze e le pene vengano comminate dai giudici. Dove le proporzioni delle pene siano proporzionate, non dettate dalle mode del momento. Dove, dunque, una toccata di culo sia punita dalla legge con una pena relativa all'entità oggettivamente ridotta del gesto, non con 25.000 euro di multa e dove un povero pensionato che spara, per paura, ad un orso che è entrato in casa sua, non sia costretto a pignorare una casa in favore non del (peraltro inesistente) proprietario dell'orso, ma di un'associazione animalista. Dove le opinioni vengono censurate solo se violano le leggi e dove se Giambruno dice che la vittima di uno stupro doveva stare più attenta, se De Angelis dice che la strage di Bologna secondo lui non è opera dei fascisti, dicono cose discutibili ma che non sono reato e dunque nessuno si può permettere di far cambiare loro idea a colpi di insulti, diffamazioni, calunnie.
Non voglio vivere in uno stato in cui le pene sono comminate dai social, da entità private, che si fanno forti del proprio seguito, riproponendo tale e quale la legge della giungla.
In realtà, questi argomenti sono tutt'altro che frivoli perché, se si esula dalla potecarella in sé, si possono trarre alcune importanti indicazioni sul tipo di società che si sta costruendo. Ma andiamo con ordine.
La prima cosa da capire è che viviamo in uno stato di diritto, dove i diritti di una persona possono essere limitati solo da un'autorità istituzionale, designata dal diritto pubblico e solo quando violano i diritti di un'altra persona. Non sono all'altezza di dire se i comportamenti di Giambruno possano configurare un'azione civile, penale o disciplinare, cioè interna ad un eventuale codice etico che Mediaset si sia dato, anche se non lo credo. Quel che so, è che, se Giambruno ha commesso dei reati, deve risponderne davanti ad un tribunale, non davanti a Striscia la Notizia. Invece, sempre più di frequente, la gogna mediatica si sostituisce ai tribunali, con la differenza sostanziale - che rende mille volte preferibili questi ultimi - che mentre nei processi c'è un avvocato che ti difende, nella gogna sei tu contro milioni di accusatori, tra i quali ci può anche essere lo sciroccato fuori di testa che può fare una sciocchezza, magari sapendo dove abiti, e venire a farti passare un brutto quarto d'ora. Quando c'è stato il caso dell'orsa ammazzata, milioni di persone si sono precipitate sul profilo del presunto "orsicida" e non c'è stato nessuno tra i giudici della gogna che abbia detto "Ragazzi, datevi una calmata".
Quando accadono cose di questo tipo, la deriva è chiarissima: lo stato di diritto è stato esautorato per far posto ad enti non espressione della legge che decidono la vita e la morte di una persona con un semplice blogpost o tweet o stato di Facebook. E' questo a farmi più paura.
Si stanno affermando, sempre più, delle prassi terribili, l'idea che conti molto di più l'opinione di un influencer che quella di un giudice, che si possa sporcare impunemente la reputazione di una persona che viene posta sotto la lente di ingrandimento dei media. Non è questione di "simpatizzare con la vittima", è che tutto questo rappresenta la morte del diritto, e dunque qualcosa che oggi tocca ad altri ma che domani potrebbe toccare tanto a chi scrive questo articolo, tanto a chi lo legge.
Come vedete, qui di chi abbia colpa tra Giambruno e la Meloni, non si parla minimamente. A me non frega niente se Giambruno sia colpevole e di cosa, come non mi frega niente chi abbia torto tra gli orsi e gli esseri umani, tra Greta Beccaglia e il suo palpatore naticale, tra gli stupratori e le vittime che si drogano, oppure sapere se Impagnatiello sia il pessimo elemento che è. A me interessa rimanere in uno stato di diritto dove le incriminazioni, i rinvii a giudizio, le sentenze e le pene vengano comminate dai giudici. Dove le proporzioni delle pene siano proporzionate, non dettate dalle mode del momento. Dove, dunque, una toccata di culo sia punita dalla legge con una pena relativa all'entità oggettivamente ridotta del gesto, non con 25.000 euro di multa e dove un povero pensionato che spara, per paura, ad un orso che è entrato in casa sua, non sia costretto a pignorare una casa in favore non del (peraltro inesistente) proprietario dell'orso, ma di un'associazione animalista. Dove le opinioni vengono censurate solo se violano le leggi e dove se Giambruno dice che la vittima di uno stupro doveva stare più attenta, se De Angelis dice che la strage di Bologna secondo lui non è opera dei fascisti, dicono cose discutibili ma che non sono reato e dunque nessuno si può permettere di far cambiare loro idea a colpi di insulti, diffamazioni, calunnie.
Non voglio vivere in uno stato in cui le pene sono comminate dai social, da entità private, che si fanno forti del proprio seguito, riproponendo tale e quale la legge della giungla.
Perché da una società così c'è solo da scappare. E a gambe levate.