Parlare di un argomento come l'attuale conflitto in Palestina come del resto anche in Ucraina è come toccare i fili della corrente elettrica. E se si può capirlo quando il tema tocca la carne viva dei propri interessi, è stupefacente e stucchevole quando gli interessi dei cittadini non vengono neanche sfiorati. Nei giorni dell'ennesima fiammata mediorientale, l'armamentario bandierinistico peculiare dei social è letteralmente esploso. Chi si è bardato con la stella di David, chi con la mezzaluna, chi si è messo la kippah e chi la kefiah. E intendiamoci bene, che lo facciano l'israeliano o l'israelita, oppure il palestinese, la cosa è ovviamente comprensibile. Non si può, invece, trattenere il riso quando l'accanimento viene dalla casalinga di Voghera o dal tassista di Pollena Trocchia. Cosa cambia, della sorte di costoro, la militanza per le parti in causa di un conflitto di cui non sanno nulla? Che contributo credono di dare? Queste sono bolle mediatiche già viste, e lo sappiamo bene. Ma prima che si schiattino, tocca assistere all'avvilente delirio di gente che toglie la parola, l'amicizia, che litiga, che insulta, che offende, che minaccia "Se state con Israele/Hamas, vi tolgo l'amicizia" (Direbbero a Roma E 'STICAZZI??).
Ma perché?
Pensavamo che i film western fossero finiti con la morte di John Wayne. E invece la sempiternità di certi schemi, che probabilmente giustifica l'effettivo successo dei western, oscura la domanda molto banale che bisognerebbe porre ai fessi che stanno riempendo i social di bandierine: "Ma a voi, personalmente che diavolo cambia se vi schierate? Se vince Israele o la Palestina? Che apporto pensate di dare alla causa?".
Porre la domanda in questo modo significa cattivarsi le critiche di chi ci accusa di meschinità, di viltà, di orizzonti ristretti. A costoro bisognerebbe semplicemente chiedere: come reagirete quando sarete costretti a dovervi vendere casa perché vi si chiederà una gigantesca patrimoniale per sostenere gli interessi di un popolo che vi viene fatto credere che siano vitali, oppure - peggio ancora - sarete costretti a portare le vostre chiappe in quel territorio? Questa è una domanda che nessuno pone, perché il vero guaio di questa fase storica è che troppa gente è stata convinta che una serie di totali imbecillità siano più importanti delle bollette, delle tasse green, del carovita e del rischio di finire ammazzati in qualche guerra. Se qualcuno ci convince che sostenere Israele e Ucraina è vitale e comunque molto più conveniente che sostenere la Federazione Russa e la Palestina, è giusto schierarsi. Se qualcuno invece ne fa una questione di tifo da stadio, di simpatia o antipatia, merita un'unica etichetta: quella di imbecille.
Gli schieramenti sui social raramente, anzi praticamente mai, si fondano su basi razionali, ma sono frutto di un'opinione pubblica che, come non mai nella storia, mostra la sconcertante maturità di un bambino di terza elementare. Il tifoso social non si rende minimamente conto che non sta lottando per il Bene contro il Male, ma si sta solo narcisisticamente inserendo in una faida tra cosche mafiose internazionali. Si fa impressionare dalle notizie oggettivamente raccapriccianti, come quella (ancora non confermata) delle teste di neonato mozzate, come se la guerra non fosse orrore, schifo, tragedia, come se esistessero santarellini e demoni in questa storia. Come se non si sapesse che, vinca l'Occidente o vinca la Russia, vinca Israele o la Palestina, non assisteremo alla vittoria del Bene sul Male, ma a quella di un clan mafioso sull'altro, perché QUESTO E SOLTANTO QUESTO è la politica internazionale. Il tifoso social non si rende conto che quello che per lui è il Bene universale, è il Bene solo dello schieramento geopolitico di cui fa parte, in un mondo in cui i diritti di un popolo sono i reati di un altro. E che spesso quel Bene universale sono solo i valori che l'elemento Alfa di un'alleanza ha imposto a tutti gli alleati Beta e Gamma, spesso sulla base di notizie false.
La persona seria, viceversa, valuta la compatibilità degli interessi del proprio paese e della propria persona con la causa da sostenere. E si schiera in base alla propria convenienza. Perché tanto, non temete, che di tutti i socialbandieristi, soltanto l'1% starà davvero con Israele, con l'Ucraina o con la Palestina, se riceverà la letterina che lo obbligherà ad andare sul campo di battaglia. Gli altri si daranno alla macchia e transumeranno verso un nuovo regime. Film già visto ai tempi del fascismo.
Ma perché?
Pensavamo che i film western fossero finiti con la morte di John Wayne. E invece la sempiternità di certi schemi, che probabilmente giustifica l'effettivo successo dei western, oscura la domanda molto banale che bisognerebbe porre ai fessi che stanno riempendo i social di bandierine: "Ma a voi, personalmente che diavolo cambia se vi schierate? Se vince Israele o la Palestina? Che apporto pensate di dare alla causa?".
Porre la domanda in questo modo significa cattivarsi le critiche di chi ci accusa di meschinità, di viltà, di orizzonti ristretti. A costoro bisognerebbe semplicemente chiedere: come reagirete quando sarete costretti a dovervi vendere casa perché vi si chiederà una gigantesca patrimoniale per sostenere gli interessi di un popolo che vi viene fatto credere che siano vitali, oppure - peggio ancora - sarete costretti a portare le vostre chiappe in quel territorio? Questa è una domanda che nessuno pone, perché il vero guaio di questa fase storica è che troppa gente è stata convinta che una serie di totali imbecillità siano più importanti delle bollette, delle tasse green, del carovita e del rischio di finire ammazzati in qualche guerra. Se qualcuno ci convince che sostenere Israele e Ucraina è vitale e comunque molto più conveniente che sostenere la Federazione Russa e la Palestina, è giusto schierarsi. Se qualcuno invece ne fa una questione di tifo da stadio, di simpatia o antipatia, merita un'unica etichetta: quella di imbecille.
Gli schieramenti sui social raramente, anzi praticamente mai, si fondano su basi razionali, ma sono frutto di un'opinione pubblica che, come non mai nella storia, mostra la sconcertante maturità di un bambino di terza elementare. Il tifoso social non si rende minimamente conto che non sta lottando per il Bene contro il Male, ma si sta solo narcisisticamente inserendo in una faida tra cosche mafiose internazionali. Si fa impressionare dalle notizie oggettivamente raccapriccianti, come quella (ancora non confermata) delle teste di neonato mozzate, come se la guerra non fosse orrore, schifo, tragedia, come se esistessero santarellini e demoni in questa storia. Come se non si sapesse che, vinca l'Occidente o vinca la Russia, vinca Israele o la Palestina, non assisteremo alla vittoria del Bene sul Male, ma a quella di un clan mafioso sull'altro, perché QUESTO E SOLTANTO QUESTO è la politica internazionale. Il tifoso social non si rende conto che quello che per lui è il Bene universale, è il Bene solo dello schieramento geopolitico di cui fa parte, in un mondo in cui i diritti di un popolo sono i reati di un altro. E che spesso quel Bene universale sono solo i valori che l'elemento Alfa di un'alleanza ha imposto a tutti gli alleati Beta e Gamma, spesso sulla base di notizie false.
La persona seria, viceversa, valuta la compatibilità degli interessi del proprio paese e della propria persona con la causa da sostenere. E si schiera in base alla propria convenienza. Perché tanto, non temete, che di tutti i socialbandieristi, soltanto l'1% starà davvero con Israele, con l'Ucraina o con la Palestina, se riceverà la letterina che lo obbligherà ad andare sul campo di battaglia. Gli altri si daranno alla macchia e transumeranno verso un nuovo regime. Film già visto ai tempi del fascismo.
Questo progetto si chiama La Grande Italia non a caso. Avrei potuto usare un nome neutro - cosa che pure mi è stata suggerita da alcuni (e che mi ha fatto più volte vacillare) - oppure avrei potuto usare un nome generico che indicasse la mia collocazione ideologica. Invece ho scelto il nome "La Grande Italia" proprio perché non volevo la stessa poltiglia di dissidenti che durante la pandemia ha unito gente di ogni provenienza per poi, a cappio allentato, sfarinarsi di fronte ai temi successivi. Invece, questo, è un momento in cui bisogna passare alla costruzione. La certificazione dell'irrilevanza del dissenso mi ha definitivamente convinto - ma già lo sapevo - che il vero dissenso non deve fare contropiede alle scemenze del sistema, ma dotarsi di un impianto ideologico. E l'ideologia di questo progetto è chiarissima: il primato dell'interesse nazionale e un sovranismo di ispirazione liberale. Naturalmente, parliamo - se volete, pure male - anche di geopolitica e ci schieriamo, ma lo facciamo unicamente dal punto di vista dell'interesse dell'Italia. Non ci vedrete mai angelicare o demonizzare Putin, ma solo prendere posizione sulla base di quelli che crediamo essere i nostri interessi, peraltro anche nell'eterogeneità dei punti di vista. Ci proponiamo, in sintesi, di costruire un tipo di sovranismo di cui non si è mai parlato, il sovranismo morale, il principio che un popolo debba costruire la propria morale politica sulla base degli interessi dell'Italia e degli italiani, non appiattendola sulla morale di un grande alleato, come purtroppo si è sempre fatto in Italia.
Io la vita la rischio solo per il mio paese. E solo se la classe dirigente del mio paese fa gli interessi della mia patria. Non la rischio né per Zelensky, né per Hamas, né per Putin, né per Netanyahu, se da questo schieramento non ricavo un vantaggio tangibile e concreto. Rispetto le ragioni di tutti, ma il mio interesse, quello della famiglia e della mia patria, viene prima di tutto il resto.