Un brillante proverbio inglese dice che "si può portare un cavallo all'abbeveratoio, ma non si può obbligarlo a bere". Questo detto si rivolge a chi crede che si possa forzare o deviare il corso di fenomeni che, proprio perché naturali, sono eterni, ineluttabili.
L'essere umano tende ad accumulare ricchezza e a ridurre gli sforzi per acquisirla. Naturalmente uno Stato deve vigilare che ciò avvenga senza violare i diritti di nessuno, ma non può certo impedire al singolo di sognare di diventare ricco. Qui viene da ripensare a quando Berlusconi diceva che "se le tasse sono al 33% la gente si convince che sia giusto pagarle, ma se le tasse arrivano al 50/60%, è moralmente giusto evaderle". Che il Cavaliere dicesse, nella sua posizione di statista, qualcosa di improprio, si può anche condividerlo. Il problema è che nessuno è disposto a farsi mungere più della metà dei propri guadagni per arricchire la bella faccia dei cittadini di una nazione.
Questo ci porta a Jannik Sinner, il quale, all'indomani del suo approdo al quarto posto della classifica ATP - miglior risultato dai tempi di Panatta, il quale a quella posizione arrivò a metà carriera mentre questo ragazzo ha ancora tanti anni davanti a sé - è stato aspramente criticato da molti giornalisti e anche da qualche ex-collega per aver scelto Montecarlo come sede fiscale. E sia detto al volo senza giri di parole: per il più, sono scemenze.
Naturalmente, da fondatore di un progetto che si propone di difendere la sovranità e l'italianità, non sprizzo gioia da tutti i pori nel vedere che un italiano sembra aver poca voglia di condividere i propri successi con la sua nazione. Ma mai come in questo caso è un errore dare la colpa al giovane tennista altoatesino. Tanto per cominciare, il tennis è uno sport individuale. Sinner, in quanto tale, non rappresenta la Nazione ma se stesso e, dunque, non ha alcun obbligo nei confronti della Nazionale, tanto più che la sua formazione come tennista si deve molto più ad un coach come Piatti che non al "movimento tennistico italiano". Tanto più che, se per sfortunato caso, si infortunasse durante una partita oppure consumasse energie che invece potrebbero servirgli per una partita ATP, ne risponderebbe personalmente lui, non certo il movimento italiano. A quei livelli, ogni vittoria sono soldi che entrano nelle sue tasche e ogni sconfitta sono soldi che da quelle medesime tasche escono.
Inoltre, Sinner i principali guadagni non li ottiene in Italia ma all'estero. Un tennista è sostanzialmente un cittadino del mondo. E se si vuole che un cittadino del mondo posi le sue basi qui in Italia, portando i suoi soldi qui, non bisogna far altro che ciò per lui sia conveniente. Ed evidentemente - e giustamente - il giovane Jannik non vede questa convenienza. Il nostro Stato è sinceramente convinto che i ricchi, invece di essere incentivati a prosperare, siano mucche da mungere, da sfruttare per poi gettarli via. Il risultato è che i più bravi e talentuosi vanno dove ci sono paesi molto più pragmatici e razionali, i quali, a quelli dotati di talento, di inventiva, di spirito di iniziativa, fanno ponti d'oro, invece di dedicare articoli al sapor di fiele o magari perseguitarli.
Bisognerebbe prendere come esempio - almeno nelle loro cose migliori (invece di imitarli in quelle peggiori) - proprio gli americani. Che i loro talenti li premiano, li vezzeggiano, li coccolano. E infatti creano Facebook, Apple, Google, Walt Disney, Hollywood, McDonalds. Ai talenti italiani invece facciamo la guerra, mettiamo sotto processo i Berlusconi, criminalizziamo i Briatore perché esibiscono la propria ricchezza, propagandiamo l'idea che arricchirsi significhi essere criminali tout court e andare all'inferno. E il risultato qual è? Che quei ricchi se ne vanno in paesi dove si può ancora godere del piacere di vivere in una gran bella casa senza essere guardati storto da qualche nullafacente invidioso, dove si può comprare una Ferrari senza che i vicini, per citare Montanelli, invece di provare a farsene una, cerchino di bucargli le gomme, dove il merito viene premiato e non considerato sterco del diavolo o "prodotto delle diseguaglianze" e altre baggianate del genere. In quei paesi dove chi vuole fare impresa va a viverci perché si rende conto che in Italia non può farla.
L'essere umano tende ad accumulare ricchezza e a ridurre gli sforzi per acquisirla. Naturalmente uno Stato deve vigilare che ciò avvenga senza violare i diritti di nessuno, ma non può certo impedire al singolo di sognare di diventare ricco. Qui viene da ripensare a quando Berlusconi diceva che "se le tasse sono al 33% la gente si convince che sia giusto pagarle, ma se le tasse arrivano al 50/60%, è moralmente giusto evaderle". Che il Cavaliere dicesse, nella sua posizione di statista, qualcosa di improprio, si può anche condividerlo. Il problema è che nessuno è disposto a farsi mungere più della metà dei propri guadagni per arricchire la bella faccia dei cittadini di una nazione.
Questo ci porta a Jannik Sinner, il quale, all'indomani del suo approdo al quarto posto della classifica ATP - miglior risultato dai tempi di Panatta, il quale a quella posizione arrivò a metà carriera mentre questo ragazzo ha ancora tanti anni davanti a sé - è stato aspramente criticato da molti giornalisti e anche da qualche ex-collega per aver scelto Montecarlo come sede fiscale. E sia detto al volo senza giri di parole: per il più, sono scemenze.
Naturalmente, da fondatore di un progetto che si propone di difendere la sovranità e l'italianità, non sprizzo gioia da tutti i pori nel vedere che un italiano sembra aver poca voglia di condividere i propri successi con la sua nazione. Ma mai come in questo caso è un errore dare la colpa al giovane tennista altoatesino. Tanto per cominciare, il tennis è uno sport individuale. Sinner, in quanto tale, non rappresenta la Nazione ma se stesso e, dunque, non ha alcun obbligo nei confronti della Nazionale, tanto più che la sua formazione come tennista si deve molto più ad un coach come Piatti che non al "movimento tennistico italiano". Tanto più che, se per sfortunato caso, si infortunasse durante una partita oppure consumasse energie che invece potrebbero servirgli per una partita ATP, ne risponderebbe personalmente lui, non certo il movimento italiano. A quei livelli, ogni vittoria sono soldi che entrano nelle sue tasche e ogni sconfitta sono soldi che da quelle medesime tasche escono.
Inoltre, Sinner i principali guadagni non li ottiene in Italia ma all'estero. Un tennista è sostanzialmente un cittadino del mondo. E se si vuole che un cittadino del mondo posi le sue basi qui in Italia, portando i suoi soldi qui, non bisogna far altro che ciò per lui sia conveniente. Ed evidentemente - e giustamente - il giovane Jannik non vede questa convenienza. Il nostro Stato è sinceramente convinto che i ricchi, invece di essere incentivati a prosperare, siano mucche da mungere, da sfruttare per poi gettarli via. Il risultato è che i più bravi e talentuosi vanno dove ci sono paesi molto più pragmatici e razionali, i quali, a quelli dotati di talento, di inventiva, di spirito di iniziativa, fanno ponti d'oro, invece di dedicare articoli al sapor di fiele o magari perseguitarli.
Bisognerebbe prendere come esempio - almeno nelle loro cose migliori (invece di imitarli in quelle peggiori) - proprio gli americani. Che i loro talenti li premiano, li vezzeggiano, li coccolano. E infatti creano Facebook, Apple, Google, Walt Disney, Hollywood, McDonalds. Ai talenti italiani invece facciamo la guerra, mettiamo sotto processo i Berlusconi, criminalizziamo i Briatore perché esibiscono la propria ricchezza, propagandiamo l'idea che arricchirsi significhi essere criminali tout court e andare all'inferno. E il risultato qual è? Che quei ricchi se ne vanno in paesi dove si può ancora godere del piacere di vivere in una gran bella casa senza essere guardati storto da qualche nullafacente invidioso, dove si può comprare una Ferrari senza che i vicini, per citare Montanelli, invece di provare a farsene una, cerchino di bucargli le gomme, dove il merito viene premiato e non considerato sterco del diavolo o "prodotto delle diseguaglianze" e altre baggianate del genere. In quei paesi dove chi vuole fare impresa va a viverci perché si rende conto che in Italia non può farla.
Chissà quando capiremo che questa mentalità sta distruggendo il nostro paese.