Da quando Putin è diventato per i filoamericani dogmatici l'erede di Hitler, mi sono guadagnato tante ostilità presso di loro per aver sempre sostenuto la tesi che i giornalisti russi antiputiniani siano stati, in realtà, ammazzati dagli Stati Uniti. Certo, prove non ne ho ma del resto non ci sono nemmeno prove che il colpevole fosse Putin. Eppure gli omicidi dei giornalisti vengono attribuiti tout court a Putin come ad Andreotti viene attribuita la mafia sebbene i fatti dicano che il Divo sia colui che l'ha combattuta più aspramente. Questo avviene perché gli indizi che di solito vengono considerati probanti, non solo spesso non lo siano, ma anzi la logica - ossia il fatto che quei giornalisti non dicessero nulla di nuovo che i russi non sapessero già e non avessero già approvato (e cioè che in Cecenia siano state commesse schifezze) - porti a far giungere alla conclusione contraria: e nel fatto in questione, Putin non aveva alcun interesse ad ammazzare quei giornalisti.
Questa premessa è fondamentale per stabilire il principio che capire le questioni geopolitiche è alquanto complesso. Tanto per cominciare, le parti ufficiali mentono, sempre. Infatti l'informazione ufficiale è sempre parziale. Non leggiamo la verità vera ma quella che si ha interesse a far uscire fuori. Anche per questo le tesi su cosa possa davvero essere successo a Prigožin sono premature. E chiunque volesse tentare di capirci qualcosa, rischierebbe la figuraccia. Quel che si può fare è trarre qualche indicazione sulla base delle regole generali della geopolitica. E già sarebbe tanto.
Primo punto: chi era Prigožin? Da tempo - e qui su La Grande Italia lo abbiamo scritto più volte - era in atto un lungo braccio di ferro tra Putin e il capo della Wagner che, come è noto, è un'organizzazione militare di mercenari, capeggiata da un oligarca di Putin, definito "cuoco" perché dopo un passato oscuro - nel quale è stato anche in galera - ad un certo punto si è arricchito (o è stato arricchito da Putin) con una grande azienda del catering, fino a diventare molto potente. Sostanzialmente, il conflitto tra i due si basava su due elementi costitutivi: l'importanza vitale per la Russia della questione ucraina e il ruolo, decisivo, giocato da Prigožin nei successi conseguiti dalla Russia. E, esattamente come nel calcio, dopo aver fatto un bel po' di gol in Ucraina, si è presentato a battere cassa al cospetto di Putin. Normalissime schermaglie, a patto che non si esageri. E invece Prigožin - uomo abilissimo per molti versi (uno non arriva a quei livelli se è uno scemo) ma evidentemente sprovvisto di cultura politica, a differenza di Putin - ha esagerato: dapprima ha iniziato a fare un gioco strano, dicendo che in Ucraina le cose vanno male, esternazione che, specialmente in una guerra dove l'informazione gioca un ruolo chiave al punto che addirittura il Cremlino minaccia la galera per chi chiama guerra quella in Ucraina, non poteva certo fare piacere a Putin. E se a questo si aggiunge che Prigožin aveva organizzato a Luglio una specie di marcia su Mosca - molto più apparente che reale - è ovvio che al Cremlino si siano allarmati. Il capo della Wagner ha voluto strafare e si è messo a ricattare il Cremlino, il che introduce il secondo punto. Perché potrebbe essere stata un'azione di Putin?
Non appena si accenna all'ipotesi che dietro il disastro aereo possa esserci la mano di Putin, parte la reazione scomposta dei putiniani. Ed è un errore, proprio per gli stessi motivi per cui, come si diceva prima, non ho mai creduto che dietro l'omicidio dei giornalisti ci fosse la mano di Putin. Al presidente russo non conveniva far fuori, per dire, la Politkovskaja perché questa non ha fatto altro che rivelare ciò che qualsiasi russo sapeva e approvava e cioè che in Cecenia ci sono state atrocità: le sue rivelazioni non avrebbero spostato un voto ed anzi proprio il suo omicidio ha contribuito a scatenare la putinfobia che va in atto dal 2006. Ma la convenienza di far fuori Prigozin c'era. Ed è, dunque, solo col parametro della convenienza personale che si può giudicare l'attentato aereo di cui stiamo parlando. Che, se fosse opera di Putin, mostrerebbe che il capo del Cremlino è più forte che mai, per l'ovvia ragione che Prigozin, che non era certo uno sprovveduto, non si sarebbe mai messo in un aereo sapendo di non stare molto simpatico a Putin. Questo significa che è stato tirato dentro un'imboscata, circostanza che accade soltanto quando qualcuno riesce a mettere, contro il capo, i suoi vice. E, a sua volta, ciò vuol dire che il presidente del Cremlino ha ancora armi di persuasione molto convincenti, tali da aver detto agli uomini più vicini a Prigožin "Datemelo e io vi prometto questo e quell'altro ancora".
L'ipotesi della mano ucraina o americana non convince. Si era in una fase in cui il nostro sembrava più un avversario per la Russia che non un effettivo punto di forza e, soprattutto, se si fosse anche solo subodorata la prospettiva di una responsabilità ucraina, le autorità russe si sarebbero precipitate a dare la colpa all'Ucraina o agli americani. E tutto ciò non è avvenuto.
Naturalmente, sia detto per inciso, queste sono soltanto ipotesi, nessuno di noi è nelle condizioni di dire con certezza chi ci sia davvero dietro questo palese attentato. Queste sono speculazioni. Bisogna semplicemente iniziare a vedere la geopolitica come una grande Gomorra dove l'unica cosa che conta è l'interesse personale. E se l'interesse personale di Putin era quello di ammazzare il capo della Wagner, ci sono ottime possibilità che sia andata così. Non c'è bisogno di prove, basta sapere che, a quei livelli, chi non ragiona così, non sopravvive. Solo nella bacata mentalità occidentale i buoni sono quelli che non si sporcano mai le mani di sangue: mentalità che, ca va sans dire, vale soltanto per essere venduta ai castrati dell'opinione pubblica. Perché poi i politici di alto livello, quando occorre, ammazzano e fanno ammazzare, se non c'è altra scelta. E in una guerra come quella in Ucraina, scelta non c'è. Se c'è bisogno di organizzare un attentato, il capo politico che ha interesse a compierlo, lo compie e basta.
Questa premessa è fondamentale per stabilire il principio che capire le questioni geopolitiche è alquanto complesso. Tanto per cominciare, le parti ufficiali mentono, sempre. Infatti l'informazione ufficiale è sempre parziale. Non leggiamo la verità vera ma quella che si ha interesse a far uscire fuori. Anche per questo le tesi su cosa possa davvero essere successo a Prigožin sono premature. E chiunque volesse tentare di capirci qualcosa, rischierebbe la figuraccia. Quel che si può fare è trarre qualche indicazione sulla base delle regole generali della geopolitica. E già sarebbe tanto.
Primo punto: chi era Prigožin? Da tempo - e qui su La Grande Italia lo abbiamo scritto più volte - era in atto un lungo braccio di ferro tra Putin e il capo della Wagner che, come è noto, è un'organizzazione militare di mercenari, capeggiata da un oligarca di Putin, definito "cuoco" perché dopo un passato oscuro - nel quale è stato anche in galera - ad un certo punto si è arricchito (o è stato arricchito da Putin) con una grande azienda del catering, fino a diventare molto potente. Sostanzialmente, il conflitto tra i due si basava su due elementi costitutivi: l'importanza vitale per la Russia della questione ucraina e il ruolo, decisivo, giocato da Prigožin nei successi conseguiti dalla Russia. E, esattamente come nel calcio, dopo aver fatto un bel po' di gol in Ucraina, si è presentato a battere cassa al cospetto di Putin. Normalissime schermaglie, a patto che non si esageri. E invece Prigožin - uomo abilissimo per molti versi (uno non arriva a quei livelli se è uno scemo) ma evidentemente sprovvisto di cultura politica, a differenza di Putin - ha esagerato: dapprima ha iniziato a fare un gioco strano, dicendo che in Ucraina le cose vanno male, esternazione che, specialmente in una guerra dove l'informazione gioca un ruolo chiave al punto che addirittura il Cremlino minaccia la galera per chi chiama guerra quella in Ucraina, non poteva certo fare piacere a Putin. E se a questo si aggiunge che Prigožin aveva organizzato a Luglio una specie di marcia su Mosca - molto più apparente che reale - è ovvio che al Cremlino si siano allarmati. Il capo della Wagner ha voluto strafare e si è messo a ricattare il Cremlino, il che introduce il secondo punto. Perché potrebbe essere stata un'azione di Putin?
Non appena si accenna all'ipotesi che dietro il disastro aereo possa esserci la mano di Putin, parte la reazione scomposta dei putiniani. Ed è un errore, proprio per gli stessi motivi per cui, come si diceva prima, non ho mai creduto che dietro l'omicidio dei giornalisti ci fosse la mano di Putin. Al presidente russo non conveniva far fuori, per dire, la Politkovskaja perché questa non ha fatto altro che rivelare ciò che qualsiasi russo sapeva e approvava e cioè che in Cecenia ci sono state atrocità: le sue rivelazioni non avrebbero spostato un voto ed anzi proprio il suo omicidio ha contribuito a scatenare la putinfobia che va in atto dal 2006. Ma la convenienza di far fuori Prigozin c'era. Ed è, dunque, solo col parametro della convenienza personale che si può giudicare l'attentato aereo di cui stiamo parlando. Che, se fosse opera di Putin, mostrerebbe che il capo del Cremlino è più forte che mai, per l'ovvia ragione che Prigozin, che non era certo uno sprovveduto, non si sarebbe mai messo in un aereo sapendo di non stare molto simpatico a Putin. Questo significa che è stato tirato dentro un'imboscata, circostanza che accade soltanto quando qualcuno riesce a mettere, contro il capo, i suoi vice. E, a sua volta, ciò vuol dire che il presidente del Cremlino ha ancora armi di persuasione molto convincenti, tali da aver detto agli uomini più vicini a Prigožin "Datemelo e io vi prometto questo e quell'altro ancora".
L'ipotesi della mano ucraina o americana non convince. Si era in una fase in cui il nostro sembrava più un avversario per la Russia che non un effettivo punto di forza e, soprattutto, se si fosse anche solo subodorata la prospettiva di una responsabilità ucraina, le autorità russe si sarebbero precipitate a dare la colpa all'Ucraina o agli americani. E tutto ciò non è avvenuto.
Naturalmente, sia detto per inciso, queste sono soltanto ipotesi, nessuno di noi è nelle condizioni di dire con certezza chi ci sia davvero dietro questo palese attentato. Queste sono speculazioni. Bisogna semplicemente iniziare a vedere la geopolitica come una grande Gomorra dove l'unica cosa che conta è l'interesse personale. E se l'interesse personale di Putin era quello di ammazzare il capo della Wagner, ci sono ottime possibilità che sia andata così. Non c'è bisogno di prove, basta sapere che, a quei livelli, chi non ragiona così, non sopravvive. Solo nella bacata mentalità occidentale i buoni sono quelli che non si sporcano mai le mani di sangue: mentalità che, ca va sans dire, vale soltanto per essere venduta ai castrati dell'opinione pubblica. Perché poi i politici di alto livello, quando occorre, ammazzano e fanno ammazzare, se non c'è altra scelta. E in una guerra come quella in Ucraina, scelta non c'è. Se c'è bisogno di organizzare un attentato, il capo politico che ha interesse a compierlo, lo compie e basta.
Per tutto il resto, ci sono i telegiornali di regime.