Ho conosciuto Vittorio Arrigoni, sia pure soltanto digitalmente e ci siamo spesso confrontati. Dire che fossimo diversi è un eufemismo ma l'indiscusso pregio di difendere le sue posizioni con l'onore di un soldato e con la civiltà di chi, pur su opinioni molto nette, accettava il confronto, mi ha fatto provare grande sconcerto per la sua scomparsa. Era un uomo in prima linea, di cui leggevo spesso il blog e, conoscendone il pensiero oltre la melassa retorica del mainstream, so che se da qualche parte udisse l'abuso perpetrato dallo zecchismo sinistroide sul suo nome e sul suo celeberrimo slogan "restiamo umani", uscirebbe dalla tomba e prenderebbe a botte un sacco di gente. Perché questa premessa?
In questi due giorni sono successe due cose di diverso grado di drammaticità dove di umanità se n'è vista ben poca. La prima è una banale storia di corna che un buongusto ormai estinto, se quantomeno sopravvivesse in qualche esemplare, confinerebbe nelle oscurità in cui dovrebbero risiedere le faccende private. Riguarda, come ormai noto, un banchiere della finanza torinese che durante una festa che in teoria dovrebbe annunciare le loro nozze, invece denuncia le corna che la fidanzata gli avrebbe apposto sopra la testa. Il tutto ripreso da un video che i massimi decimi meridi dei media italiani non vedendo l'ora di usarlo come segnale per scatenare l'inferno, hanno gettato in pasto su quel raccapricciante sciocchezzaio che sanno essere i social. La seconda è la ben più drammatica vicenda della morte di Michela Murgia, una controversa e talentuosa scrittrice, purtroppo spentasi per un cancro.
Specialmente per quest'ultima, non ho intenzione di indulgere al buonismo. Della Murgia ho apprezzato la prima fase della sua produzione letteraria, quella in cui non si era ancora inserita nella psichiatrica deriva del progressismo odierno. Poi è emersa un'altra Murgia che era tutto ciò che io normalmente detesto in una persona, in una donna e in un'intellettuale. Irrisolta, settaria, arrogante, antifascista ma di quell'antifascismo untuoso e divisivo che non è la rivendicazione di una vera cultura liberaldemocratica oltre ogni pulsione totalitaria ma soltanto l'estrinsecazione di un fascismo di segno opposto, del quale l'autrice di Accabadora non ha mai smesso di essere propugnatrice, neanche nell'avvicinamento all'ultimo spiro, ché anzi ha continuato ad usarne il manganello mediatico per attizzare un rancore di cui ormai il paese è pericolosamente saturo. Così come è probabilissimo che la Seymandi, la donna accusata dal banchiere di infedeltà, sia effettivamente un'arrampicatrice sociale, che volesse solo i soldi del futuro coniuge. C'è però un punto di fondo che non capisce chi in queste ore esibisce indifferenza e quasi un sottile piacere per la sua scomparsa così come chi si sta divertendo ad insultare la traditrice del banchiere, irridendola. E proverò a spiegarlo.
Il covid è stato uno spartiacque che più che mai ha divaricato le correnti umane di questo paese. In quei bruttissimi giorni, in cui ho scorto disumanità finanche in volti che credevo familiari, ho anche scoperto un esercito di codardi conformisti che non si farebbe alcuno scrupolo un domani a consegnarmi alle autorità affinché venga perseguito e magari pure perseguitato per le mie idee. Poi c'è il dissenso che, in nome dei principi di libertà, pare volersi ribellare alle imposizioni della tirannia che sta cancellando la democrazia liberale in Occidente e a cui, sia pure da cane sciolto, appartengo.
Queste due parti si scontrano in una guerra antropologica sovranazionale che contrappone due tipologie di esseri umani così diversi, anche esteriormente, da sembrare due specie differenti.
La Murgia, che apparteneva ad una delle due tipologie, avrebbe applaudito per la morte di un avversario. Così come probabilmente, la Seymandi è un'arrivista che ha cercato di spennare un pollo dell'alta finanza. Ma sappiamo anche che quando morì Oriana Fallaci e anche più recentemente Darya Dugina, gli stessi che oggi esultano o sono indifferenti alla morte della Murgia, protestarono - fatte le dovute proporzioni (la Murgia non era certo la Fallaci) - per l'indifferenza dei media mainstream. Sappiamo anche che, se nel famoso video che sta invadendo i social media, le sorti si fossero ribaltate e fosse stata lei a denunciare le corna di lui, quelli che oggi attaccano lui, difenderebbero lei. E viceversa.
Ecco, tutto questo significa non essere umani. Significa non aver compreso che la guerra nella quale noi siamo, di fatto, schierati apertamente nel campo di coloro che si oppongono a questo regime, si vince solo dimostrandosi migliori dei nostri avversari, con i quali, un giorno, potremmo anche essere costretti a contrapporci fisicamente, con tanto di armi. Ma un conto è sparare ad un nemico che può ammazzarci a sua volta, altro è sputare sul cadavere di una donna che certamente era, per chi la pensa come me, un'avversaria. Ma che è morta di una malattia orribile le cui atroci sofferenze dovrebbero quantomeno far sorgere spontaneo uno spirito cavalleresco che sospenda le scemenze che questa donna ha scritto; che stemperi il clima divisivo che ha creato; che perdoni le sue considerazioni degne più di una clinica psichiatrica che di tribune radiotelevisive e cartacee; per poi infine manifestarle l'umana pietà da riservare a chi cade per una malattia così grave, dopo atroci sofferenze.
Perché - aspetto poco noto ad estremisti e radicali che infatti rimangono irrilevanti - una guerra va certamente combattuta e fino alle estreme conseguenze, ma si vince non radicalizzando i capi ultrà ma portando dalla propria parte quegli indecisi che, non ragionando per partito preso, spostano il peso del dibattito. Non esistono solo filoputiniani e antiputiniani, provax e novax, gretini e antigretini. Esiste anche chi si schiera osservando non i contenuti ma l'umanità di chi li propone. E se nel dissenso si osservano le stesse dinamiche tossiche del sistema, gli indecisi alla fine si convincono che, tossicità per tossicità, meglio schierarsi col sistema ufficiale, di fatto alimentandolo.
Sì, Michela Murgia era probabilmente una brutta persona. Sì, la Seymandi è probabilmente una traditrice seriale. Questo tuttavia non giustifica né la gioia per la morte della scrittrice né che da 48 ore il profilo facebook dell'avvocatessa traditrice venga preso di mira da pletore di cyberbulli che nulla sanno di una storia che potrebbe essere ben diversa da quella unilateralmente raccontata. Gente che non ha mai provato la devastante esperienza del cancro o che l'ha provata e che proprio per questo dovrebbe provare un moto di orrore nel non sentirsi capace di pietà per il nemico anche più aspro a cui la vita riserva simile sorte. Gente che sconosce le dinamiche di una coppia ma si contenta delle giaculatorie aggressivo-passive di un signore che potrebbe tanto essere una povera vittima quanto un perfido manipolatore per scagliarsi contro una donna che prima ancora di essere, forse, una traditrice, è anzitutto una madre e una professionista la cui reputazione è ormai compromessa. E con una sommarietà non degna di un paese civile ma di certe incivili culture primitive. Tutto questo non ha niente a che fare con l'umanità.
In questi due giorni sono successe due cose di diverso grado di drammaticità dove di umanità se n'è vista ben poca. La prima è una banale storia di corna che un buongusto ormai estinto, se quantomeno sopravvivesse in qualche esemplare, confinerebbe nelle oscurità in cui dovrebbero risiedere le faccende private. Riguarda, come ormai noto, un banchiere della finanza torinese che durante una festa che in teoria dovrebbe annunciare le loro nozze, invece denuncia le corna che la fidanzata gli avrebbe apposto sopra la testa. Il tutto ripreso da un video che i massimi decimi meridi dei media italiani non vedendo l'ora di usarlo come segnale per scatenare l'inferno, hanno gettato in pasto su quel raccapricciante sciocchezzaio che sanno essere i social. La seconda è la ben più drammatica vicenda della morte di Michela Murgia, una controversa e talentuosa scrittrice, purtroppo spentasi per un cancro.
Specialmente per quest'ultima, non ho intenzione di indulgere al buonismo. Della Murgia ho apprezzato la prima fase della sua produzione letteraria, quella in cui non si era ancora inserita nella psichiatrica deriva del progressismo odierno. Poi è emersa un'altra Murgia che era tutto ciò che io normalmente detesto in una persona, in una donna e in un'intellettuale. Irrisolta, settaria, arrogante, antifascista ma di quell'antifascismo untuoso e divisivo che non è la rivendicazione di una vera cultura liberaldemocratica oltre ogni pulsione totalitaria ma soltanto l'estrinsecazione di un fascismo di segno opposto, del quale l'autrice di Accabadora non ha mai smesso di essere propugnatrice, neanche nell'avvicinamento all'ultimo spiro, ché anzi ha continuato ad usarne il manganello mediatico per attizzare un rancore di cui ormai il paese è pericolosamente saturo. Così come è probabilissimo che la Seymandi, la donna accusata dal banchiere di infedeltà, sia effettivamente un'arrampicatrice sociale, che volesse solo i soldi del futuro coniuge. C'è però un punto di fondo che non capisce chi in queste ore esibisce indifferenza e quasi un sottile piacere per la sua scomparsa così come chi si sta divertendo ad insultare la traditrice del banchiere, irridendola. E proverò a spiegarlo.
Il covid è stato uno spartiacque che più che mai ha divaricato le correnti umane di questo paese. In quei bruttissimi giorni, in cui ho scorto disumanità finanche in volti che credevo familiari, ho anche scoperto un esercito di codardi conformisti che non si farebbe alcuno scrupolo un domani a consegnarmi alle autorità affinché venga perseguito e magari pure perseguitato per le mie idee. Poi c'è il dissenso che, in nome dei principi di libertà, pare volersi ribellare alle imposizioni della tirannia che sta cancellando la democrazia liberale in Occidente e a cui, sia pure da cane sciolto, appartengo.
Queste due parti si scontrano in una guerra antropologica sovranazionale che contrappone due tipologie di esseri umani così diversi, anche esteriormente, da sembrare due specie differenti.
La Murgia, che apparteneva ad una delle due tipologie, avrebbe applaudito per la morte di un avversario. Così come probabilmente, la Seymandi è un'arrivista che ha cercato di spennare un pollo dell'alta finanza. Ma sappiamo anche che quando morì Oriana Fallaci e anche più recentemente Darya Dugina, gli stessi che oggi esultano o sono indifferenti alla morte della Murgia, protestarono - fatte le dovute proporzioni (la Murgia non era certo la Fallaci) - per l'indifferenza dei media mainstream. Sappiamo anche che, se nel famoso video che sta invadendo i social media, le sorti si fossero ribaltate e fosse stata lei a denunciare le corna di lui, quelli che oggi attaccano lui, difenderebbero lei. E viceversa.
Ecco, tutto questo significa non essere umani. Significa non aver compreso che la guerra nella quale noi siamo, di fatto, schierati apertamente nel campo di coloro che si oppongono a questo regime, si vince solo dimostrandosi migliori dei nostri avversari, con i quali, un giorno, potremmo anche essere costretti a contrapporci fisicamente, con tanto di armi. Ma un conto è sparare ad un nemico che può ammazzarci a sua volta, altro è sputare sul cadavere di una donna che certamente era, per chi la pensa come me, un'avversaria. Ma che è morta di una malattia orribile le cui atroci sofferenze dovrebbero quantomeno far sorgere spontaneo uno spirito cavalleresco che sospenda le scemenze che questa donna ha scritto; che stemperi il clima divisivo che ha creato; che perdoni le sue considerazioni degne più di una clinica psichiatrica che di tribune radiotelevisive e cartacee; per poi infine manifestarle l'umana pietà da riservare a chi cade per una malattia così grave, dopo atroci sofferenze.
Perché - aspetto poco noto ad estremisti e radicali che infatti rimangono irrilevanti - una guerra va certamente combattuta e fino alle estreme conseguenze, ma si vince non radicalizzando i capi ultrà ma portando dalla propria parte quegli indecisi che, non ragionando per partito preso, spostano il peso del dibattito. Non esistono solo filoputiniani e antiputiniani, provax e novax, gretini e antigretini. Esiste anche chi si schiera osservando non i contenuti ma l'umanità di chi li propone. E se nel dissenso si osservano le stesse dinamiche tossiche del sistema, gli indecisi alla fine si convincono che, tossicità per tossicità, meglio schierarsi col sistema ufficiale, di fatto alimentandolo.
Sì, Michela Murgia era probabilmente una brutta persona. Sì, la Seymandi è probabilmente una traditrice seriale. Questo tuttavia non giustifica né la gioia per la morte della scrittrice né che da 48 ore il profilo facebook dell'avvocatessa traditrice venga preso di mira da pletore di cyberbulli che nulla sanno di una storia che potrebbe essere ben diversa da quella unilateralmente raccontata. Gente che non ha mai provato la devastante esperienza del cancro o che l'ha provata e che proprio per questo dovrebbe provare un moto di orrore nel non sentirsi capace di pietà per il nemico anche più aspro a cui la vita riserva simile sorte. Gente che sconosce le dinamiche di una coppia ma si contenta delle giaculatorie aggressivo-passive di un signore che potrebbe tanto essere una povera vittima quanto un perfido manipolatore per scagliarsi contro una donna che prima ancora di essere, forse, una traditrice, è anzitutto una madre e una professionista la cui reputazione è ormai compromessa. E con una sommarietà non degna di un paese civile ma di certe incivili culture primitive. Tutto questo non ha niente a che fare con l'umanità.
Restiamo umani davvero. Perché è solo così che vinceremo.