Costanzo Preve, prima di morire, lasciò una perla immortale che, una volta che mi trovai a condividerla su Twitter, divenne virale al punto da diventare il mio tweet più popolare. Disse cioè che "questa è la prima generazione in cui gli intellettuali sono più cretini delle persone normali".
Questa mirabile sintesi può apparire di cattivo gusto e denotare rancore, e tuttavia a volte si dispone di imponenti giustificazioni. Non solo il male che può aver commesso l’oggetto della reprimenda può gridare vendetta, ma può essere irresistibile il bisogno di sottolineare l’arroganza di chi si è sentito importante, di chi ha considerato un diritto essere riverito, di chi ha avuto la pretesa di indicare agli altri la via da seguire e si è regolarmente sbagliato.
Per capire il senso delle parole di Preve, dobbiamo salire sulla macchina del tempo e tornare al passato, ai tempi dell'illuminismo. Prima di quel periodo, la cultura non aveva alcun impatto sulla vita del paese e i valori più importanti erano la nascita e la spada. In sostanza, si diventava qualcuno solo se si era nati nobili o se si aveva acquisito, per meriti militari, un grande potere.
La Rivoluzione Francese, di cui i sanculotti furono la manovalanza ma che in realtà - non se lo dimentichino mai quelli che si eccitano per le rivolte francesi - era condotta dagli intellettuali, affermò il valore della conoscenza e della sua applicazione, col risultato che intellettuali e scienziati diventarono più importanti di militari e nobili. Può piacere o meno, ma la società in cui viviamo oggi l'hanno fatta loro. Ma poi? Cosa è successo? Quello che succede sempre quando si va al potere: ci si fa cooptare, diventando suggeritori quando non servi del regime. Ed era inevitabile che questo prevalesse sui principi di libertà ed indipendenza di pensiero che furono cardini dell'Illuminismo. Ecco così che gli intellettuali, in Italia - ma, con forme diverse, ovunque - hanno appoggiato conformisticamente tutti i regimi più umanamente ridicoli del Novecento. Caduto Mussolini, sono diventati comunisti. Caduto il comunismo, sono diventati neoliberisti. E si può star certi che quando e se cadrà il regime neoliberista e se ne affermerà uno novax, putiniano, antiamericano, anticlimatologico, gli stessi intellettuali italiani che hanno applaudito le peggiori scemenze di questo tempo, con giravolte da contorsionisti, riusciranno ad apparire come usciti dal Primato Nazionale o da Byoblu.
Malgrado tutto questo curriculum assai poco edificante, gli intellettuali hanno, per molto tempo, goduto di un rispetto sacrale, al punto che Montanelli, che pure era quel che era - cioè il più grande intellettuale italiano - una volta si rese ridicolo cercando disperatamente di giustificare un suo errore grammaticale, facendolo passare per corretto. Avvenne che lui scrisse un articolo intitolato "Si", senza accento, che ovviamente non significava nulla. In realtà, come poi si scoprì, voleva intendere "Sì" con l'accento, ma, colto in fallo, cercò in tutti i modi di giustificarsi, cercando di difendere l'indifendibile, quando pure avrebbe avuto i mezzi per cavarsela con una battuta da toscanaccio. Sul momento molti risero e lo derisero - non per l'errore ma per la penosa arrampicata sugli specchi - quando sarebbe bastato comprendere che semplicemente il vecchio Indro era un uomo di un'altra epoca, in cui un errore di quel tipo sarebbe valso la squalifica irreversibile e universale, in cui bastava scrivere "un'altro" per meritare un 4 ad un tema di italiano. E che quindi quell'errore lui lo vivesse malissimo. Altri tempi.
Nei tempi di oggi, invece, il decadimento della cultura, del valore della scuola e soprattutto della competenza dei laureati, è tale che la mediocrità impera ovunque. La sguaiata esibizione degli accenti territoriali - ora un romanoide ben lontano dalla bellezza del romanesco, ora un settentrionaloide che non si capisce se è genovese, veneto, milanese, emilliano, ora un sicilianoide montalbanesco - ormai dilaga ovunque, assieme agli errori, anzi, agli orrori ortografici. E quando un intellettuale pontifica, il popolo, anche fingendo di seguirlo - del resto, questo è il paese dove tutti si dicevano comunisti ma poi vinceva sempre la DC - in realtà va verso l'opposto.
Soprattutto, siamo approdati in un'era sloganistica o, peggio, twitteristica ove in spazi angusti, appena sufficienti per gridare scemenze come "La scienza non è democratica" o lo sgrammaticato "C'è un aggressore e un aggredito" (in realtà bisognerebbe scrivere "Ci sono un aggressore e un aggredito"), orde barbariche di cretini multimediali - che viceversa, se non lo fossero, si vergognerebbero di avere dei "seguaci" - si sfidano in sanguinose polemiche, più o meno col cervello di un passero.
Perché stupirsi che Alain Elkann scriva un articolo così autocelebrativo di disprezzo per il popolo? O che Ezio Mauro - per anni boss di Repubblica - abbia detto che "dubitare è di destra", come se dubitare fosse reato? O ancora stupirsi delle scemenze della Murgia e dei tanti che infestano il dibattito pubblico? E' gente che nessuno legge con interesse, salvo tutte quelle marieantoniette che pensano davvero che la priorità di questo paese sia punire chi nega l'Holomodor - ultima scemenza approvata dal Parlamento - o consentire ai malati di mente nati maschi che si sentono femmine o viceversa, di cambiare sesso e non di essere sottoposti, come la logica vorrebbe, ad un trattamento psichiatrico. E' gente che sta lì solo perché occupa una posizione di potere. Perché per il resto, sul piano intellettuale, non ha più alcuna reale credibilità.
E il vero intellettuale? Esiste ancora ma se ne sta chiuso a casa sua. Ed è un bene sia per gli altri che per se stesso. Perché alla fine della corsa, la conclusione a cui giunge il vero intellettuale è di rendere felice la propria porzione di mondo, prima di cambiare quella altrui.
Questa mirabile sintesi può apparire di cattivo gusto e denotare rancore, e tuttavia a volte si dispone di imponenti giustificazioni. Non solo il male che può aver commesso l’oggetto della reprimenda può gridare vendetta, ma può essere irresistibile il bisogno di sottolineare l’arroganza di chi si è sentito importante, di chi ha considerato un diritto essere riverito, di chi ha avuto la pretesa di indicare agli altri la via da seguire e si è regolarmente sbagliato.
Per capire il senso delle parole di Preve, dobbiamo salire sulla macchina del tempo e tornare al passato, ai tempi dell'illuminismo. Prima di quel periodo, la cultura non aveva alcun impatto sulla vita del paese e i valori più importanti erano la nascita e la spada. In sostanza, si diventava qualcuno solo se si era nati nobili o se si aveva acquisito, per meriti militari, un grande potere.
La Rivoluzione Francese, di cui i sanculotti furono la manovalanza ma che in realtà - non se lo dimentichino mai quelli che si eccitano per le rivolte francesi - era condotta dagli intellettuali, affermò il valore della conoscenza e della sua applicazione, col risultato che intellettuali e scienziati diventarono più importanti di militari e nobili. Può piacere o meno, ma la società in cui viviamo oggi l'hanno fatta loro. Ma poi? Cosa è successo? Quello che succede sempre quando si va al potere: ci si fa cooptare, diventando suggeritori quando non servi del regime. Ed era inevitabile che questo prevalesse sui principi di libertà ed indipendenza di pensiero che furono cardini dell'Illuminismo. Ecco così che gli intellettuali, in Italia - ma, con forme diverse, ovunque - hanno appoggiato conformisticamente tutti i regimi più umanamente ridicoli del Novecento. Caduto Mussolini, sono diventati comunisti. Caduto il comunismo, sono diventati neoliberisti. E si può star certi che quando e se cadrà il regime neoliberista e se ne affermerà uno novax, putiniano, antiamericano, anticlimatologico, gli stessi intellettuali italiani che hanno applaudito le peggiori scemenze di questo tempo, con giravolte da contorsionisti, riusciranno ad apparire come usciti dal Primato Nazionale o da Byoblu.
Malgrado tutto questo curriculum assai poco edificante, gli intellettuali hanno, per molto tempo, goduto di un rispetto sacrale, al punto che Montanelli, che pure era quel che era - cioè il più grande intellettuale italiano - una volta si rese ridicolo cercando disperatamente di giustificare un suo errore grammaticale, facendolo passare per corretto. Avvenne che lui scrisse un articolo intitolato "Si", senza accento, che ovviamente non significava nulla. In realtà, come poi si scoprì, voleva intendere "Sì" con l'accento, ma, colto in fallo, cercò in tutti i modi di giustificarsi, cercando di difendere l'indifendibile, quando pure avrebbe avuto i mezzi per cavarsela con una battuta da toscanaccio. Sul momento molti risero e lo derisero - non per l'errore ma per la penosa arrampicata sugli specchi - quando sarebbe bastato comprendere che semplicemente il vecchio Indro era un uomo di un'altra epoca, in cui un errore di quel tipo sarebbe valso la squalifica irreversibile e universale, in cui bastava scrivere "un'altro" per meritare un 4 ad un tema di italiano. E che quindi quell'errore lui lo vivesse malissimo. Altri tempi.
Nei tempi di oggi, invece, il decadimento della cultura, del valore della scuola e soprattutto della competenza dei laureati, è tale che la mediocrità impera ovunque. La sguaiata esibizione degli accenti territoriali - ora un romanoide ben lontano dalla bellezza del romanesco, ora un settentrionaloide che non si capisce se è genovese, veneto, milanese, emilliano, ora un sicilianoide montalbanesco - ormai dilaga ovunque, assieme agli errori, anzi, agli orrori ortografici. E quando un intellettuale pontifica, il popolo, anche fingendo di seguirlo - del resto, questo è il paese dove tutti si dicevano comunisti ma poi vinceva sempre la DC - in realtà va verso l'opposto.
Soprattutto, siamo approdati in un'era sloganistica o, peggio, twitteristica ove in spazi angusti, appena sufficienti per gridare scemenze come "La scienza non è democratica" o lo sgrammaticato "C'è un aggressore e un aggredito" (in realtà bisognerebbe scrivere "Ci sono un aggressore e un aggredito"), orde barbariche di cretini multimediali - che viceversa, se non lo fossero, si vergognerebbero di avere dei "seguaci" - si sfidano in sanguinose polemiche, più o meno col cervello di un passero.
Perché stupirsi che Alain Elkann scriva un articolo così autocelebrativo di disprezzo per il popolo? O che Ezio Mauro - per anni boss di Repubblica - abbia detto che "dubitare è di destra", come se dubitare fosse reato? O ancora stupirsi delle scemenze della Murgia e dei tanti che infestano il dibattito pubblico? E' gente che nessuno legge con interesse, salvo tutte quelle marieantoniette che pensano davvero che la priorità di questo paese sia punire chi nega l'Holomodor - ultima scemenza approvata dal Parlamento - o consentire ai malati di mente nati maschi che si sentono femmine o viceversa, di cambiare sesso e non di essere sottoposti, come la logica vorrebbe, ad un trattamento psichiatrico. E' gente che sta lì solo perché occupa una posizione di potere. Perché per il resto, sul piano intellettuale, non ha più alcuna reale credibilità.
E il vero intellettuale? Esiste ancora ma se ne sta chiuso a casa sua. Ed è un bene sia per gli altri che per se stesso. Perché alla fine della corsa, la conclusione a cui giunge il vero intellettuale è di rendere felice la propria porzione di mondo, prima di cambiare quella altrui.
Di intellettuali che vorrebbero guidare la cosa pubblica, che vorrebbero un mondo a proprio piacimento, non abbiamo bisogno. Abbiamo già dato.