La notizia che Putin voglia trasformare l'omosessualità in una malattia mentale e dare un'ulteriore stretta contro la propaganda gay può apparire scioccante ma va contestualizzata, altrimenti può apparire incomprensibile a chi non conosce il retroterra su cui è maturata. In effetti neanche io, essendo nato all'inizio degli anni Ottanta, in un tempo in cui l'omofobia era molto forte, non conoscendo il retroterra, riuscivo mai a spiegarmi perché uno che volesse baciare una persona del suo stesso sesso, dovesse essere fatto oggetto di offese, insulti, ironie, persecuzioni. A quel tempo poi chiamarsi "ricchioni" (nella città dove sono nato) o "finocchi" (in quella dove ho vissuto per i primi quindici anni della mia vita) era l'insulto massimo. Come osi mettere in discussione la mia virilità? Non mi riusciva proprio di capire il perché di questa ossessione. In fin dei conti, pensavo, se uno è gay sono affari suoi. Ed essendo etero, non vedevo perché a me dovesse fregare qualcosa dei gay e di cosa facessero.
In realtà, col tempo capii. Quando negli anni Novanta andammo a trovare mio zio in Russia - era l'era di Eltsin - dopo che ci eravamo già andati nell'era sovietica, ci sorprendemmo di scoprire una Russia letteralmente devastata. Grazie alla cura americana, il paese era ridotto una tale chiavica che l'insicurezza sociale aveva dato adito alla formazione di clan criminali, che - esattamente come in Italia - erano le braccia armate dei poteri forti angloamericani. Il clima era tale che tutti noi dovevamo uscire scortati per le strade di San Pietroburgo, per scongiurare il rischio che i ragazzini - a quel tempo avevo sedici anni - venissero rapiti da qualche pervertito che intendesse usarli per girare filmini porno gay. Questa era la Russia voluta dall'Occidente che, va da sé, durante tutto il periodo eltsiniano subiva la stessa propaganda gay di oggi.
Tornai in Italia sconvolto per quello che vidi in Russia, per la paura che i russi avevano degli americani e, deciso ad approfondire il tema, lessi, piuttosto grandicello, alcune frasi di Mario Mieli, tra cui questa "Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino l'essere umano potenzialmente libero. Noi, si, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l'amore con loro".
Si tenga presente che, quando parliamo di Mario Mieli, non ci riferiamo ad uno dei tanti gay che l'attivismo ha prodotto, ma ad una personalità di grande riferimento, italiana ma, in generale, anche internazionale, citato, stracitato, idolatrato, da tutti quelli che fanno parte della cosiddetta "comunità gay".
Intendiamoci, è senz'altro vero che non tutti i gay siano così e ridurre l'omosessuale allo stereotipo progressista è un grave errore. Ed è anche vero che esiste una marea di gay dichiarati che non solo non esibiscono la propria omosessualità, ma anzi sono contrarissimi alla deriva totalitaria che le comunità LGBT stanno prendendo. Senza scomodare le tante personalità VIP dichiaratamente omosessuali, da Giorgio Armani a Rupert Everett, da Malgioglio a Platinette, da Zeffirelli a Paolo Poli, le parole migliori sul tema le ho sentite da un gay che disse "Io so bene che essendo gay, posso fare alcune cose e altre no. Ma nel momento in cui io rivendico la mia essenza, ne rivendico anche i limiti, altrimenti la mia essenza si trasforma in prepotenza. Esattamente quella che subisco io quando vengo discriminato". Meraviglioso!
Ma dalle parole di Mieli, la comunità gay non ha mai preso ufficialmente le distanze. Ed anzi, da anni le coppie gay manifestano un desiderio di adottare dei bambini che è diventato un'ossessione. Per fare cosa poi? Per desiderarli eroticamente eccetera eccetera come teorizzava Mario Mieli?
All'interno del mondo gay deve sorgere una comunità che - similmente alla famosa "marcia dei quarantamila" degli operai della FIAT, che pose fine al carnevale sindacale - argini la pericolosa deriva autoritaria della parte più estremista del mondoLGBT. Perché se in una democrazia liberale, il diritto di un individuo di andare a letto con chi gli pare DEVE essere tutelato, è anche vero che ormai l'omonormativismo, ossia la pretesa di spacciare l'omosessualità come un normale orientamento - e fin qui, passi pure - ma di far trovare normale anche la disforia di genere, sono cose sfuggite di mano e diventate palesi ossessioni, dai tratti psichiatrici che nascondono fini molto più subdoli. Ed è anche per questo che la Federazione Russa ha forse preso questa decisione scomposta. Perché, se da una parte è un errore, è anche vero che certe fobie, come dicevamo prima, non sono mai casuali. Partono sempre da un dato di fondo, da una reazione eccessiva ad una tossicità reale. Se Putin ha preso questa strada, ha indubbiamente sbagliato. Ma il problema del totalitarismo LGBT indubbiamente esiste. Quella di Putin è una risposta aggressiva, scomposta, fuori bersaglio, in reazione tuttavia ad un problema reale, che la Russia ha effettivamente vissuto prima del suo approdo, e che risponde all'esigenza dei russi di vedersi tutelati dalle follie che invece imperano in Occidente.
In realtà, col tempo capii. Quando negli anni Novanta andammo a trovare mio zio in Russia - era l'era di Eltsin - dopo che ci eravamo già andati nell'era sovietica, ci sorprendemmo di scoprire una Russia letteralmente devastata. Grazie alla cura americana, il paese era ridotto una tale chiavica che l'insicurezza sociale aveva dato adito alla formazione di clan criminali, che - esattamente come in Italia - erano le braccia armate dei poteri forti angloamericani. Il clima era tale che tutti noi dovevamo uscire scortati per le strade di San Pietroburgo, per scongiurare il rischio che i ragazzini - a quel tempo avevo sedici anni - venissero rapiti da qualche pervertito che intendesse usarli per girare filmini porno gay. Questa era la Russia voluta dall'Occidente che, va da sé, durante tutto il periodo eltsiniano subiva la stessa propaganda gay di oggi.
Tornai in Italia sconvolto per quello che vidi in Russia, per la paura che i russi avevano degli americani e, deciso ad approfondire il tema, lessi, piuttosto grandicello, alcune frasi di Mario Mieli, tra cui questa "Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino l'essere umano potenzialmente libero. Noi, si, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l'amore con loro".
Si tenga presente che, quando parliamo di Mario Mieli, non ci riferiamo ad uno dei tanti gay che l'attivismo ha prodotto, ma ad una personalità di grande riferimento, italiana ma, in generale, anche internazionale, citato, stracitato, idolatrato, da tutti quelli che fanno parte della cosiddetta "comunità gay".
Intendiamoci, è senz'altro vero che non tutti i gay siano così e ridurre l'omosessuale allo stereotipo progressista è un grave errore. Ed è anche vero che esiste una marea di gay dichiarati che non solo non esibiscono la propria omosessualità, ma anzi sono contrarissimi alla deriva totalitaria che le comunità LGBT stanno prendendo. Senza scomodare le tante personalità VIP dichiaratamente omosessuali, da Giorgio Armani a Rupert Everett, da Malgioglio a Platinette, da Zeffirelli a Paolo Poli, le parole migliori sul tema le ho sentite da un gay che disse "Io so bene che essendo gay, posso fare alcune cose e altre no. Ma nel momento in cui io rivendico la mia essenza, ne rivendico anche i limiti, altrimenti la mia essenza si trasforma in prepotenza. Esattamente quella che subisco io quando vengo discriminato". Meraviglioso!
Ma dalle parole di Mieli, la comunità gay non ha mai preso ufficialmente le distanze. Ed anzi, da anni le coppie gay manifestano un desiderio di adottare dei bambini che è diventato un'ossessione. Per fare cosa poi? Per desiderarli eroticamente eccetera eccetera come teorizzava Mario Mieli?
All'interno del mondo gay deve sorgere una comunità che - similmente alla famosa "marcia dei quarantamila" degli operai della FIAT, che pose fine al carnevale sindacale - argini la pericolosa deriva autoritaria della parte più estremista del mondoLGBT. Perché se in una democrazia liberale, il diritto di un individuo di andare a letto con chi gli pare DEVE essere tutelato, è anche vero che ormai l'omonormativismo, ossia la pretesa di spacciare l'omosessualità come un normale orientamento - e fin qui, passi pure - ma di far trovare normale anche la disforia di genere, sono cose sfuggite di mano e diventate palesi ossessioni, dai tratti psichiatrici che nascondono fini molto più subdoli. Ed è anche per questo che la Federazione Russa ha forse preso questa decisione scomposta. Perché, se da una parte è un errore, è anche vero che certe fobie, come dicevamo prima, non sono mai casuali. Partono sempre da un dato di fondo, da una reazione eccessiva ad una tossicità reale. Se Putin ha preso questa strada, ha indubbiamente sbagliato. Ma il problema del totalitarismo LGBT indubbiamente esiste. Quella di Putin è una risposta aggressiva, scomposta, fuori bersaglio, in reazione tuttavia ad un problema reale, che la Russia ha effettivamente vissuto prima del suo approdo, e che risponde all'esigenza dei russi di vedersi tutelati dalle follie che invece imperano in Occidente.