Dei progressisti sono sempre stato un irriducibile avversario. Mi accorgo, nel definirmi tale, di provare un certo imbarazzo perché "irriducibile" implicherebbe che non mi si possa facilmente "ridurre" con una querela o con un'aggressione alla mia persona (che dato l'inesistente peso mediatico non avrebbe manco senso) e soprattutto che qualcuno di questi personaggi, dalla Murgia a Burioni, mi conosca. E non è vera nessuna di queste cose. E tuttavia certamente chi scrive appartiene ad un'idea di mondo e di vita opposta a quella di questi signori. Quindi almeno loro avversario lo sono.
Ciò nonostante, oltre ad aver letto con dispiacere della sua malattia, prima che diventasse un ariete delle più deprimenti scemenze LGBT, di Michela Murgia sono stato un estimatore. Alcune sue opere oggettivamente notevoli le meritavano il posto nel pantheon dei grandi scrittori italiani. Poi è successo qualcosa che un suo amico del suo paese, che io conosco e che la conosce, ha descritto alla perfezione sostenendo che "un po' ci fa e un po' ci è, perché alcune vicende personali l'hanno portata ad impigliarsi nei fili della sua grande intelligenza".
Le sue vicende personali, naturalmente, teniamole fuori dal discorso per delicatezza, concentrandoci su una, ma soltanto perché l'ha raccontata lei: la terribile malattia che la sta portando ad una prematura morte. Che invece di garantirle una solidarietà totale, le sta provocando l'odio dei suoi nemici, su cui hanno già scritto decine di editorialisti, rilanciando lo stucchevole tema del cosiddetto "Odio in rete". Poniamoci invece una domanda: perché la Murgia viene odiata? Perché in questi giorni Burioni è fatto oggetto di violenti insulti in merito ai suoi post contro Djokovic?
Due persone ideologicamente all'opposto, possono tuttavia essere amici e addirittura amarsi se posseggono una comune idea di rispetto, se non tentano di soverchiarsi vicendevolmente e riconoscano l'uno all'altro dignità e buonafede. Con questi elementi, non soltanto un rapporto può resistere alle differenze ma può anche diventare stimolantissimo. Che sfizio c'è a passare il proprio tempo con una persona con cui si è d'accordo su tutto?
Il punto è che questo banale principio di buonsenso non sembra appartenere né ai progressisti né a molti loro "soldati". E ho usato la parola "soldati" non a caso. Perché da tempo costoro non affrontano un civile dibattito ma una guerra nei confronti di chiunque non aderisca alle loro idee, appellandoli sbrigativamente come fascista, a colpi di ostracismi, esclusioni, proposte di scomuniche. La Murgia, Burioni e quelli come loro non scelgono una comunicazione persuasiva ma divisiva. Chi non è d'accordo con le loro verità non è un avversario da rispettare ma un nemico. Fino alla demenziale "invenzione" del fascistometro, l'arbitrario tentativo - camuffato dall'ipocrita pretesa di farlo apparire uno "scherzo" - di far passare il pericolosissimo concetto che fascista non sia chi si definisce effettivamente come tale ma anche chi, senza essere stato fascista neanche per un giorno della sua vita, ha semplicemente idee diverse dalla Murgia. O finanche pubblicando libri come "la congiura dei somari", nell'idea che un cittadino debba considerarsi somaro se semplicemente mette in dubbio i dogmi della scienza. Non occorre un luminare della psicologia per capire che tutto questo genera odio. Che quando si traduce in insulti, diffamazioni e anche aggressioni, è anche giusto perseguire penalmente e civilmente. Specie se, come nel caso della Murgia, sfotte la sua salute o altre vicende private. Ma se i personaggi del progressismo di odio iniziano a canalizzarne così tanto, forse dovrebbero farsi qualche domanda, capire se non sbagliano approccio, chiedendosi se una comunicazione diversa non possa essere molto più proficua.
Ciò che deprime di questa nostra fase storica è che abbiamo perso il senso del dibattito. I profili di Twitter sono stracolmi di biografie nelle quali l'utente - accanto ad altre demenzialità come la descrizione in inglese pur essendo magari la proverbiale casalinga di Voghera - stabilisce a priori di non voler a che fare con avversari dialettici, sbrigativamente qualificati come "novax, fascisti, leghisti, razzisti" e via degenerando. Tutti pensiamo che le discussioni debbano avvenire solo con i propri simili, sentendoci autorizzati ad umiliare l'avversario, a mettere in ridicolo la sua vita privata con dossieraggi, ricatti, insulti, dimenticando che la radice della parola persuasione è "soave". Se si adotta un linguaggio delicato, rispettoso delle altrui convinzioni, non è garantito che si riesca nell'intento ma sicuramente ci sono più possibilità di stringere amicizia con l'interlocutore e poi da cosa nasce cosa. La spocchia, l'arroganza, l'aggressività, non hanno mai convinto nessuno. Chi, invece di cercare il dibattito, cerca l'afflato dei fan, non fa nient'altro che un comizio nella sede del partito.
Ciò nonostante, oltre ad aver letto con dispiacere della sua malattia, prima che diventasse un ariete delle più deprimenti scemenze LGBT, di Michela Murgia sono stato un estimatore. Alcune sue opere oggettivamente notevoli le meritavano il posto nel pantheon dei grandi scrittori italiani. Poi è successo qualcosa che un suo amico del suo paese, che io conosco e che la conosce, ha descritto alla perfezione sostenendo che "un po' ci fa e un po' ci è, perché alcune vicende personali l'hanno portata ad impigliarsi nei fili della sua grande intelligenza".
Le sue vicende personali, naturalmente, teniamole fuori dal discorso per delicatezza, concentrandoci su una, ma soltanto perché l'ha raccontata lei: la terribile malattia che la sta portando ad una prematura morte. Che invece di garantirle una solidarietà totale, le sta provocando l'odio dei suoi nemici, su cui hanno già scritto decine di editorialisti, rilanciando lo stucchevole tema del cosiddetto "Odio in rete". Poniamoci invece una domanda: perché la Murgia viene odiata? Perché in questi giorni Burioni è fatto oggetto di violenti insulti in merito ai suoi post contro Djokovic?
Due persone ideologicamente all'opposto, possono tuttavia essere amici e addirittura amarsi se posseggono una comune idea di rispetto, se non tentano di soverchiarsi vicendevolmente e riconoscano l'uno all'altro dignità e buonafede. Con questi elementi, non soltanto un rapporto può resistere alle differenze ma può anche diventare stimolantissimo. Che sfizio c'è a passare il proprio tempo con una persona con cui si è d'accordo su tutto?
Il punto è che questo banale principio di buonsenso non sembra appartenere né ai progressisti né a molti loro "soldati". E ho usato la parola "soldati" non a caso. Perché da tempo costoro non affrontano un civile dibattito ma una guerra nei confronti di chiunque non aderisca alle loro idee, appellandoli sbrigativamente come fascista, a colpi di ostracismi, esclusioni, proposte di scomuniche. La Murgia, Burioni e quelli come loro non scelgono una comunicazione persuasiva ma divisiva. Chi non è d'accordo con le loro verità non è un avversario da rispettare ma un nemico. Fino alla demenziale "invenzione" del fascistometro, l'arbitrario tentativo - camuffato dall'ipocrita pretesa di farlo apparire uno "scherzo" - di far passare il pericolosissimo concetto che fascista non sia chi si definisce effettivamente come tale ma anche chi, senza essere stato fascista neanche per un giorno della sua vita, ha semplicemente idee diverse dalla Murgia. O finanche pubblicando libri come "la congiura dei somari", nell'idea che un cittadino debba considerarsi somaro se semplicemente mette in dubbio i dogmi della scienza. Non occorre un luminare della psicologia per capire che tutto questo genera odio. Che quando si traduce in insulti, diffamazioni e anche aggressioni, è anche giusto perseguire penalmente e civilmente. Specie se, come nel caso della Murgia, sfotte la sua salute o altre vicende private. Ma se i personaggi del progressismo di odio iniziano a canalizzarne così tanto, forse dovrebbero farsi qualche domanda, capire se non sbagliano approccio, chiedendosi se una comunicazione diversa non possa essere molto più proficua.
Ciò che deprime di questa nostra fase storica è che abbiamo perso il senso del dibattito. I profili di Twitter sono stracolmi di biografie nelle quali l'utente - accanto ad altre demenzialità come la descrizione in inglese pur essendo magari la proverbiale casalinga di Voghera - stabilisce a priori di non voler a che fare con avversari dialettici, sbrigativamente qualificati come "novax, fascisti, leghisti, razzisti" e via degenerando. Tutti pensiamo che le discussioni debbano avvenire solo con i propri simili, sentendoci autorizzati ad umiliare l'avversario, a mettere in ridicolo la sua vita privata con dossieraggi, ricatti, insulti, dimenticando che la radice della parola persuasione è "soave". Se si adotta un linguaggio delicato, rispettoso delle altrui convinzioni, non è garantito che si riesca nell'intento ma sicuramente ci sono più possibilità di stringere amicizia con l'interlocutore e poi da cosa nasce cosa. La spocchia, l'arroganza, l'aggressività, non hanno mai convinto nessuno. Chi, invece di cercare il dibattito, cerca l'afflato dei fan, non fa nient'altro che un comizio nella sede del partito.
Niente che valga la pena ascoltare o leggere.