Tempo fa ebbi modo di assistere ad un dibattito televisivo su Youtube di quasi quarant'anni fa tra Cossiga e Nilde Jotti. A parte rammaricarmi dei pollai televisivi di oggi contrapposti all'estrema civiltà di quel dibattito tra esponenti di due partiti nemici, non avversari, non ho tuttavia potuto fare a meno di notare che si parlava già all'epoca di temi che ancora oggi fanno parte del dibattito pubblico. Monocameralismo, regioni, presidenzialismo sì o no, rilancio del Mezzogiorno. Temi mai risolti, forse irrisolvibili, che tuttavia fanno parte della carne viva degli interessi dei cittadini. Infatti i commenti al video erano tutti di questo tenore "Questi argomenti sono ancora molto attuali" o anche "quarant'anni che se ne parla e non sono ancora risolti".
L'evasione fiscale è uno di questi temi. Da tanti anni se ne parla come della piaga che fiacca il paese da una parte e dall'altra come la pretesa da parte dello Stato di rapinare i cittadini. Oggi Salvini ha detto testualmente che "gli italiani sono ostaggio del Fisco". Vero o meno che sia, come sempre accade quando si divide strumentalmente in due l'opinione pubblica, si tende sempre a smarrire i punti base della questione.
Punto primo: è senz'altro vero che le tasse sono essenziali per garantire i servizi fondamentali di uno stato. Ma i cittadini, per poter pagare le tasse, devono produrre. E l'Italia è, in assoluto, uno dei paesi più anti-imprenditoriali che esistano. Chiunque voglia aprire un'impresa deve prima controllare se non viola le leggi di qualche corporazione pronta a fargli la pelle. Poi deve confrontarsi con uno stato che appena sente l'odore di qualche bigliettone guadagnato, vi si getta con la famelicità di un tossico a caccia di una dose di eroina. Infine, deve versare l'obolo a qualche mafietta locale, pena macchinari che saltano e agguati alla sua persona. E fino a poco tempo fa, doveva confrontarsi con demenziali norme sul lavoro approvate espressamente nella convinzione che l'imprenditore sia un "padrone", un ladro, a partire dal famoso articolo 18, fortunatamente e lodevolmente abolito, che era una norma palesemente contro la figura dell'imprenditore: basti pensare che si applicava non a quanti dipendenti avesse un'impresa ma a quanti ne avesse assunti l'imprenditore. Quand'anche il nostro "padrone" rispettasse tutti questi step, rischierebbe dalla sera alla mattina di ritrovarsi col Fisco che, invertendo l'onere della prova - che nei paesi civili è a carico dell'accusa - costringe il cittadino a dimostrare di essere innocente, non lo Stato a dimostrare che il cittadino sia colpevole.
A fronte di tutti questi dati, noi partite IVA oggi ci sentiamo parte di una consorteria di oppressi quando, in un normale paese liberaldemocratico, saremmo considerati il nerbo dell'economia. Ma il punto è proprio questo: le risorse da cui lo Stato trae l'essenziale per sostentarsi vengono garantite da chi le produce. Se chi dovrebbe produrle capisce che è meglio fare lo statale a spese dello Stato invece che l'imprenditore, non c'è nessuno che pagherà quelle tasse e lo Stato è costretto ad indebitarsi.
Punto secondo: la morale contro gli evasori è una scemenza. Nessuno discute che le tasse siano necessarie per mantenere i servizi che sono alla base della protezione sociale che è il vero "core business" di uno Stato. Ma se i servizi vengono progressivamente meno, il cittadino è portato a chiedersi "Ma io perché devo dare più della metà delle mie ricchezze ad uno Stato che non mi dà niente?". Non ne parliamo quando poi chi dovrebbe rappresentare la Cosa Pubblica si mette a rubare.
Lo Stato non è un'entità divina ma è semplicemente una prassi tipica di ogni animale sociale. L'alveare è uno stato, il formicaio è uno stato, il branco di lupi è uno stato. Sono organizzazioni che assolvono ad una prassi, quella di garantire la protezione sociale attraverso regole la cui obbedienza è finalizzata ad un interesse generale che è poi anche quello dell'individuo. Se l'individuo smarrisce la concezione dell'interesse generale, non ha più senso che ad esso sacrifichi la propria individualità. Ed è ancor più irritante lo slogan, in apparenza imparabile, che "se si pagano tutti le tasse, tutti le pagherebbero di meno". Dimenticando che così si sposta il carico morale della questione tutta sui cittadini, dimenticando che poi c'è la seconda parte del discorso, ovvero la moralità dello Stato.
Anche in questo senso bisogna interpretare le parole di Salvini che, proprio oggi ha proposto che le cartelle sotto i trentamila euro vengano stralciate. Indipendentemente dalla fattibilità della cosa, ecco fiorire l'invidia sociale, dimenticando che ci sono persone che spesso le tasse non le pagano perché non possono. Nessuno, messo alle strette, sceglie di pagare le tasse invece del cibo per i propri familiari. Ci si dimentica che i soldi che lo Stato cerca di prelevare con la forza, costringendo i cittadini a fare debiti più o meno ortodossi per pagare i diktat dello Stato, semplicemente non ci sono. E ce ne saranno ancor meno quando passeranno le nuove ridicole norme sul green.
I cittadini che con entusiasmo vindice sono felici di vedere colpiti gli evasori hanno sentimenti comprensibili dal punto di vista morale ma non condivisibili dal punto di vista economico. Lo Stato dovrebbe mettersi a dieta e frenare la sua ingordigia. Non dovrebbe avere più soldi, ne succhia già abbastanza. Dovrebbe divenire più bravo nell’esazione per riscuotere da tutti, ma meno da ognuno, riducendo le tasse. Perché se sono troppo alte si incentiva l’evasione, aumenta l’elusione, si inaridiscono gli investimenti esteri, le imprese nazionali vanno altrove dove la pressione è molto più leggera, e l’intera nazione si impoverisce. I socialisti di tutto il mondo, a cominciare da quelli francesi, dovrebbero capire che le tasche dei contribuenti non sono il Pozzo di San Patrizio. È stato ripetutamente mostrato uno spot televisivo che denuncia gli evasori fiscali come parassiti della società, in quanto consumano beni e servizi che non hanno contribuito a finanziare. L’immagine è corretta. Ma non si dovrebbe dimenticare che anche la pubblica amministrazione vive della ricchezza che i cittadini producono. La lezione sui parassiti va fatta sia agli evasori fiscali sia allo stesso Stato, che ogni tanto farebbe bene a guardarsi allo specchio.
L'evasione fiscale è uno di questi temi. Da tanti anni se ne parla come della piaga che fiacca il paese da una parte e dall'altra come la pretesa da parte dello Stato di rapinare i cittadini. Oggi Salvini ha detto testualmente che "gli italiani sono ostaggio del Fisco". Vero o meno che sia, come sempre accade quando si divide strumentalmente in due l'opinione pubblica, si tende sempre a smarrire i punti base della questione.
Punto primo: è senz'altro vero che le tasse sono essenziali per garantire i servizi fondamentali di uno stato. Ma i cittadini, per poter pagare le tasse, devono produrre. E l'Italia è, in assoluto, uno dei paesi più anti-imprenditoriali che esistano. Chiunque voglia aprire un'impresa deve prima controllare se non viola le leggi di qualche corporazione pronta a fargli la pelle. Poi deve confrontarsi con uno stato che appena sente l'odore di qualche bigliettone guadagnato, vi si getta con la famelicità di un tossico a caccia di una dose di eroina. Infine, deve versare l'obolo a qualche mafietta locale, pena macchinari che saltano e agguati alla sua persona. E fino a poco tempo fa, doveva confrontarsi con demenziali norme sul lavoro approvate espressamente nella convinzione che l'imprenditore sia un "padrone", un ladro, a partire dal famoso articolo 18, fortunatamente e lodevolmente abolito, che era una norma palesemente contro la figura dell'imprenditore: basti pensare che si applicava non a quanti dipendenti avesse un'impresa ma a quanti ne avesse assunti l'imprenditore. Quand'anche il nostro "padrone" rispettasse tutti questi step, rischierebbe dalla sera alla mattina di ritrovarsi col Fisco che, invertendo l'onere della prova - che nei paesi civili è a carico dell'accusa - costringe il cittadino a dimostrare di essere innocente, non lo Stato a dimostrare che il cittadino sia colpevole.
A fronte di tutti questi dati, noi partite IVA oggi ci sentiamo parte di una consorteria di oppressi quando, in un normale paese liberaldemocratico, saremmo considerati il nerbo dell'economia. Ma il punto è proprio questo: le risorse da cui lo Stato trae l'essenziale per sostentarsi vengono garantite da chi le produce. Se chi dovrebbe produrle capisce che è meglio fare lo statale a spese dello Stato invece che l'imprenditore, non c'è nessuno che pagherà quelle tasse e lo Stato è costretto ad indebitarsi.
Punto secondo: la morale contro gli evasori è una scemenza. Nessuno discute che le tasse siano necessarie per mantenere i servizi che sono alla base della protezione sociale che è il vero "core business" di uno Stato. Ma se i servizi vengono progressivamente meno, il cittadino è portato a chiedersi "Ma io perché devo dare più della metà delle mie ricchezze ad uno Stato che non mi dà niente?". Non ne parliamo quando poi chi dovrebbe rappresentare la Cosa Pubblica si mette a rubare.
Lo Stato non è un'entità divina ma è semplicemente una prassi tipica di ogni animale sociale. L'alveare è uno stato, il formicaio è uno stato, il branco di lupi è uno stato. Sono organizzazioni che assolvono ad una prassi, quella di garantire la protezione sociale attraverso regole la cui obbedienza è finalizzata ad un interesse generale che è poi anche quello dell'individuo. Se l'individuo smarrisce la concezione dell'interesse generale, non ha più senso che ad esso sacrifichi la propria individualità. Ed è ancor più irritante lo slogan, in apparenza imparabile, che "se si pagano tutti le tasse, tutti le pagherebbero di meno". Dimenticando che così si sposta il carico morale della questione tutta sui cittadini, dimenticando che poi c'è la seconda parte del discorso, ovvero la moralità dello Stato.
Anche in questo senso bisogna interpretare le parole di Salvini che, proprio oggi ha proposto che le cartelle sotto i trentamila euro vengano stralciate. Indipendentemente dalla fattibilità della cosa, ecco fiorire l'invidia sociale, dimenticando che ci sono persone che spesso le tasse non le pagano perché non possono. Nessuno, messo alle strette, sceglie di pagare le tasse invece del cibo per i propri familiari. Ci si dimentica che i soldi che lo Stato cerca di prelevare con la forza, costringendo i cittadini a fare debiti più o meno ortodossi per pagare i diktat dello Stato, semplicemente non ci sono. E ce ne saranno ancor meno quando passeranno le nuove ridicole norme sul green.
Ma anche qui Salvini forse sbaglia il bersaglio. Il problema non è che ci siano troppi italiani con debiti col fisco, il punto è che
ci sono troppe tasse e troppe norme che disincentivano la produzione della ricchezza che poi permetterà il prelievo fiscale.I cittadini che con entusiasmo vindice sono felici di vedere colpiti gli evasori hanno sentimenti comprensibili dal punto di vista morale ma non condivisibili dal punto di vista economico. Lo Stato dovrebbe mettersi a dieta e frenare la sua ingordigia. Non dovrebbe avere più soldi, ne succhia già abbastanza. Dovrebbe divenire più bravo nell’esazione per riscuotere da tutti, ma meno da ognuno, riducendo le tasse. Perché se sono troppo alte si incentiva l’evasione, aumenta l’elusione, si inaridiscono gli investimenti esteri, le imprese nazionali vanno altrove dove la pressione è molto più leggera, e l’intera nazione si impoverisce. I socialisti di tutto il mondo, a cominciare da quelli francesi, dovrebbero capire che le tasche dei contribuenti non sono il Pozzo di San Patrizio. È stato ripetutamente mostrato uno spot televisivo che denuncia gli evasori fiscali come parassiti della società, in quanto consumano beni e servizi che non hanno contribuito a finanziare. L’immagine è corretta. Ma non si dovrebbe dimenticare che anche la pubblica amministrazione vive della ricchezza che i cittadini producono. La lezione sui parassiti va fatta sia agli evasori fiscali sia allo stesso Stato, che ogni tanto farebbe bene a guardarsi allo specchio.
Occorre il salto di qualità da parte della politica di capire che soltanto con una profonda liberalizzazione dell'economia si può permettere gli italiani di non essere indebitati col fisco.