Il mio berlusconismo non è sempre stato stima per il Cavaliere ma, più spesso, paura degli avversari. Questo in realtà non è un meccanismo unico nella storia di un paese e in generale dell'umanità, perché coagulare culture diverse contro un nemico che si ha interesse a sconfiggere è prerogativa di chiunque voglia vincere una guerra.
Quello che rende sostanzialmente inutili le analisi antiberlusconiane di questi giorni è la mancanza di comprensione di un aspetto: se il berlusconismo è stato il male come molti sostengono - cosa di cui non sono convinto - forse il fatto che fosse così diffuso, così capillare, deriva dalla convinzione che l'alternativa sarebbe stata molto peggiore.
Per gli stessi motivi, io sono un difensore della democrazia e della libertà di parola e mi sono sempre, nel mio piccolo, battuto per difendere il diritto di espressione dei miei avversari. Non ignoro i difetti di questi principi. La democrazia e la dittatura sono paragonabili alla pelle di una persona giovane e a quella di una persona anziana. La pelle di quest'ultima appare immediatamente segnata dal tempo, mentre quella di una persona giovane appare lucente e luminosa, ma solo a prima vista: se ci si mette con la lente di ingrandimento a vederla, se ne scorgono i solchi, le rughe, in sostanza i difetti, e quella pelle smettiamo di vederla per quella pelle liscia e magari eccitante che sembra a prima vista all'occhio altrui. Ma i difetti di una dittatura sono talmente tanti che alla fine la persona prudente, turandosi il naso, sceglie la democrazia. E questa è sempre stata una stella polare del mio modo di vedere le cose. Se, per esempio, domani mettessero fuorilegge il Partito Comunista - che è l'epitome di tutto ciò che non voglio nel mio paese - mi batterei perché ciò non avvenga, per gli stessi motivi per cui mi batto contro qualsiasi altro reato di opinione. Certamente è lecito criticare il fascismo e il comunismo, ma sono idee che si sconfiggono politicamente, non impedendo ad un avversario di esprimerle.
Lo spunto di questa riflessione viene dalle parole di Zerocalcare, che prima di oggi non ho mai degnato della minima attenzione - l'ho sempre ritenuto un prodotto del mainstream più spinto dietro la patina di trasgressività - che ci fa sapere, in una vignetta, naturalmente già diffusa da tutti gli eunuchi del pensiero unico, che "c'è una vergogna positiva che prima di aprire bocca ti fa chiedere se hai veramente titolo per dire quello che stai per dire" aggiungendo poi, per finire il suo delirio reazionario, che "è la grande assente di questo secolo".
Non è un concetto nuovo, l'idea che il diritto di parola debba basarsi sul livello di studi. Di tanto in tanto, quando l’elettore radical-chic non riesce a piegare con la propria dialettica l’avversario, ecco che puntualmente rispolvera una frase di Umberto Eco il quale una volta disse: "I social hanno dato il potere a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar, dopo un bicchiere di vino senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli".
Se entrambi questi concetti sono stati accolti così entusiasticamente dal mainstream è stato perché chi li ha espressi sapeva benissimo che esiste una torma di analfabeti che ha della cultura un'idea flaubertiana da "dizionario delle idee comuni", per la quale cultura è ripetere a pappardella cose appartenenti a temi di cui non si sa assolutamente nulla, in cambio della patente di "intelligenza e saggezza".
Basterebbe invece ragionare e studiare per sapere che questo "potere che i social avrebbero dato a legioni di imbecilli" e il "titolo per parlare" si chiamano democrazia, libertà di parola. E serve proprio ad evitare che quando al potere vanno le legioni di imbecilli, il concetto di imbecillità e di intelligenza si ribalti completamente. Col risultato, casomai, che nella legionaria lista nera degli imbecilli, ci finiscano quelli che prima si sentivano intelligentoni, quelli che sventolano la bandiera di Eco e di Zerocalcare e che, davanti alle proteste di questi ultimi, il capo degli imbecilli risponda che "i primi che volevano metterci a tacere eravate voi".
Quello che rende sostanzialmente inutili le analisi antiberlusconiane di questi giorni è la mancanza di comprensione di un aspetto: se il berlusconismo è stato il male come molti sostengono - cosa di cui non sono convinto - forse il fatto che fosse così diffuso, così capillare, deriva dalla convinzione che l'alternativa sarebbe stata molto peggiore.
Per gli stessi motivi, io sono un difensore della democrazia e della libertà di parola e mi sono sempre, nel mio piccolo, battuto per difendere il diritto di espressione dei miei avversari. Non ignoro i difetti di questi principi. La democrazia e la dittatura sono paragonabili alla pelle di una persona giovane e a quella di una persona anziana. La pelle di quest'ultima appare immediatamente segnata dal tempo, mentre quella di una persona giovane appare lucente e luminosa, ma solo a prima vista: se ci si mette con la lente di ingrandimento a vederla, se ne scorgono i solchi, le rughe, in sostanza i difetti, e quella pelle smettiamo di vederla per quella pelle liscia e magari eccitante che sembra a prima vista all'occhio altrui. Ma i difetti di una dittatura sono talmente tanti che alla fine la persona prudente, turandosi il naso, sceglie la democrazia. E questa è sempre stata una stella polare del mio modo di vedere le cose. Se, per esempio, domani mettessero fuorilegge il Partito Comunista - che è l'epitome di tutto ciò che non voglio nel mio paese - mi batterei perché ciò non avvenga, per gli stessi motivi per cui mi batto contro qualsiasi altro reato di opinione. Certamente è lecito criticare il fascismo e il comunismo, ma sono idee che si sconfiggono politicamente, non impedendo ad un avversario di esprimerle.
Lo spunto di questa riflessione viene dalle parole di Zerocalcare, che prima di oggi non ho mai degnato della minima attenzione - l'ho sempre ritenuto un prodotto del mainstream più spinto dietro la patina di trasgressività - che ci fa sapere, in una vignetta, naturalmente già diffusa da tutti gli eunuchi del pensiero unico, che "c'è una vergogna positiva che prima di aprire bocca ti fa chiedere se hai veramente titolo per dire quello che stai per dire" aggiungendo poi, per finire il suo delirio reazionario, che "è la grande assente di questo secolo".
Non è un concetto nuovo, l'idea che il diritto di parola debba basarsi sul livello di studi. Di tanto in tanto, quando l’elettore radical-chic non riesce a piegare con la propria dialettica l’avversario, ecco che puntualmente rispolvera una frase di Umberto Eco il quale una volta disse: "I social hanno dato il potere a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar, dopo un bicchiere di vino senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli".
Se entrambi questi concetti sono stati accolti così entusiasticamente dal mainstream è stato perché chi li ha espressi sapeva benissimo che esiste una torma di analfabeti che ha della cultura un'idea flaubertiana da "dizionario delle idee comuni", per la quale cultura è ripetere a pappardella cose appartenenti a temi di cui non si sa assolutamente nulla, in cambio della patente di "intelligenza e saggezza".
Basterebbe invece ragionare e studiare per sapere che questo "potere che i social avrebbero dato a legioni di imbecilli" e il "titolo per parlare" si chiamano democrazia, libertà di parola. E serve proprio ad evitare che quando al potere vanno le legioni di imbecilli, il concetto di imbecillità e di intelligenza si ribalti completamente. Col risultato, casomai, che nella legionaria lista nera degli imbecilli, ci finiscano quelli che prima si sentivano intelligentoni, quelli che sventolano la bandiera di Eco e di Zerocalcare e che, davanti alle proteste di questi ultimi, il capo degli imbecilli risponda che "i primi che volevano metterci a tacere eravate voi".
La democrazia e la libertà di parola a questo servono: a far sì che chi si sente intelligente, non venga messo a tacere quando a vincere sono gli imbecilli. E se "un intelligente", per di più antifascista militante, questo banale principio non lo capisce, c’è la concreta ipotesi che non sia così intelligente e che anzi appartenga a quelle legioni di imbecilli cui faceva riferimento Eco.