In questi giorni avevo in programma un articolo intitolato "Gli anni Ottanta sono finiti", dove prendevo come spunto proprio la morte di Berlusconi per spiegare in che modo questo straordinario personaggio è stato identificativo di questi anni e come la sua morte fondamentalmente li abbia chiusi. Ma devo ancora mettere a fuoco le idee per poter scrivere qualcosa che non induca lo sbadiglio dopo pochi secondi di lettura. E tuttavia, la considerazione che gli anni Ottanta siano finiti - che siano cioè finiti i soldi facili di quei tempi - si applica proprio alle proteste dei precari di questi giorni che stanno conquistando le attenzioni dei giornali e delle TV.
Chiarisco il punto: essendo una partita IVA sono il precario per eccellenza. Una grande libertà personale certo ma niente ferie, niente tredicesima, niente malattia. Guadagno se lavoro. Se non lavoro, vado in mezzo ad una strada. La mia fortuna è di aver ereditato alcuni piccoli appartamenti di una modesta palazzina di mia nonna - circostanza per la quale non ho alcun merito e devo solo, per dirla alla Feltri, ringraziare San Culo - ai quali spero di aggiungere presto il fitto della casa dei miei, grazie alle cui rendite peraltro neanche eccezionali posso tamponare quelle mensilità che mi fanno andare in passivo. Viceversa, finirei in mezzo ad una strada, a dormire in macchina.
Tutto questo non per anticiparvi che sto per chiedervi l'elemosina ma per dirvi che i precari hanno tutta la mia comprensione. Ciò non significa che le loro proteste abbiano speranza di essere accolte.
Tutto sta nel capirsi che tipo di società si vuole.
In un mercato libero, gli imprenditori sono liberi di assumere alle condizioni che l'economia consente loro e di licenziare quando le cose vanno meno bene e questo naturalmente porta molti imprenditori ad aprire attività, ad assumere con più facilità, in un circolo virtuoso che fa sì che ci sia un'offerta di lavoro molto maggiore rispetto alla domanda, circostanza che naturalmente permette ai lavoratori di alzare le proprie pretese.
Viceversa, il nostro è il paese in cui i lavoratori sono, in teoria (e poi spiegherò perché in teoria) i più tutelati dei paesi cosiddetti democratici. Anche con l'abolizione dell'art.18, il nostro è il paese in cui le norme, in termini di assunzioni, sono le più stringenti. Come mai invece dilaga il lavoro nero e la disoccupazione sta salendo alle stelle?
Qui si passa alla pratica: proprio per colpa di quelle norme. Nel momento in cui lo stato obbliga un imprenditore a "sposare" un lavoratore, di fatto lo mette nelle condizioni di affrontare una serie di rischi, il primo dei quali è che quest'ultimo si riveli col tempo uno scansafatiche, un sabotatore, quando non un ladro, e che rappresenti dunque un onere secco a perdere, il secondo è di non poterlo licenziare quando una crisi gli rende impossibile mantenerlo. Quale sarà il risultato? Che quell'imprenditore o non assumerà nessuno oppure si ritroverà una valanga di disoccupati che lui accetterà che lavorino per lui, a patto che lavorino a nero e si facciano pagare una miseria.
Nessuno sembra capire che un imprenditore non assume per nobili scopi sociali ma per ottenere un aiuto che gli costi meno di quanto gli rende. Se lo Stato può permettersi di assumere centinaia di migliaia di lavoratori, di pagare loro tredicesima e quattordicesima, è perché si mantiene con le imposte dei cittadini che alla bisogna sono il bancomat di cui lo Stato abusa. Viceversa il privato non ha pozzi senza fondo che gli consentano di poter mantenere scansafatiche o semplicemente lavoratori inutili alla propria azienda. Se i costi sono superiori ai ricavi, l'impresa chiude.
La soluzione non è quella di obbligare gli imprenditori ad assumere gente alle condizioni dei lavoratori: come recita un proverbio inglese, si può portare il cavallo all'abbeveratoio, ma non si può obbligarlo a bere. Si possono fare tutte le leggi sociali di questo mondo, ma non si può obbligare una pizzeria ad assumere un banconista.
I precari che manifestano hanno tutta la mia comprensione, lo ripeto. E' avvilente il dramma di padri di famiglia che non riescono a trovare lavoro, che vivono con l'ansia di non poter dare un futuro a se stessi e ai propri figli e che anzi, in qualche caso, sono costretti persino a rinunciare a farsela una famiglia, per poi arrivare a sessant'anni a chiedersi per cosa hanno campato. Ma se la devono prendere con quella stessa sinistra che ha fatto ideologicamente la guerra alla libera iniziativa e al mercato e che oggi criminalmente sfrutta il loro disagio per promettere cose che non possono mantenere e il ritorno a quegli anni Ottanta che non torneranno mai più. Se la devono prendere con la Schlein, con Conte, con Grillo e con quella mentalità che vede gli imprenditori come mucche da mungere che, se protestano, diventano ladri e padroni da abbattere.
Chiarisco il punto: essendo una partita IVA sono il precario per eccellenza. Una grande libertà personale certo ma niente ferie, niente tredicesima, niente malattia. Guadagno se lavoro. Se non lavoro, vado in mezzo ad una strada. La mia fortuna è di aver ereditato alcuni piccoli appartamenti di una modesta palazzina di mia nonna - circostanza per la quale non ho alcun merito e devo solo, per dirla alla Feltri, ringraziare San Culo - ai quali spero di aggiungere presto il fitto della casa dei miei, grazie alle cui rendite peraltro neanche eccezionali posso tamponare quelle mensilità che mi fanno andare in passivo. Viceversa, finirei in mezzo ad una strada, a dormire in macchina.
Tutto questo non per anticiparvi che sto per chiedervi l'elemosina ma per dirvi che i precari hanno tutta la mia comprensione. Ciò non significa che le loro proteste abbiano speranza di essere accolte.
Tutto sta nel capirsi che tipo di società si vuole.
In un mercato libero, gli imprenditori sono liberi di assumere alle condizioni che l'economia consente loro e di licenziare quando le cose vanno meno bene e questo naturalmente porta molti imprenditori ad aprire attività, ad assumere con più facilità, in un circolo virtuoso che fa sì che ci sia un'offerta di lavoro molto maggiore rispetto alla domanda, circostanza che naturalmente permette ai lavoratori di alzare le proprie pretese.
Viceversa, il nostro è il paese in cui i lavoratori sono, in teoria (e poi spiegherò perché in teoria) i più tutelati dei paesi cosiddetti democratici. Anche con l'abolizione dell'art.18, il nostro è il paese in cui le norme, in termini di assunzioni, sono le più stringenti. Come mai invece dilaga il lavoro nero e la disoccupazione sta salendo alle stelle?
Qui si passa alla pratica: proprio per colpa di quelle norme. Nel momento in cui lo stato obbliga un imprenditore a "sposare" un lavoratore, di fatto lo mette nelle condizioni di affrontare una serie di rischi, il primo dei quali è che quest'ultimo si riveli col tempo uno scansafatiche, un sabotatore, quando non un ladro, e che rappresenti dunque un onere secco a perdere, il secondo è di non poterlo licenziare quando una crisi gli rende impossibile mantenerlo. Quale sarà il risultato? Che quell'imprenditore o non assumerà nessuno oppure si ritroverà una valanga di disoccupati che lui accetterà che lavorino per lui, a patto che lavorino a nero e si facciano pagare una miseria.
Nessuno sembra capire che un imprenditore non assume per nobili scopi sociali ma per ottenere un aiuto che gli costi meno di quanto gli rende. Se lo Stato può permettersi di assumere centinaia di migliaia di lavoratori, di pagare loro tredicesima e quattordicesima, è perché si mantiene con le imposte dei cittadini che alla bisogna sono il bancomat di cui lo Stato abusa. Viceversa il privato non ha pozzi senza fondo che gli consentano di poter mantenere scansafatiche o semplicemente lavoratori inutili alla propria azienda. Se i costi sono superiori ai ricavi, l'impresa chiude.
La soluzione non è quella di obbligare gli imprenditori ad assumere gente alle condizioni dei lavoratori: come recita un proverbio inglese, si può portare il cavallo all'abbeveratoio, ma non si può obbligarlo a bere. Si possono fare tutte le leggi sociali di questo mondo, ma non si può obbligare una pizzeria ad assumere un banconista.
I precari che manifestano hanno tutta la mia comprensione, lo ripeto. E' avvilente il dramma di padri di famiglia che non riescono a trovare lavoro, che vivono con l'ansia di non poter dare un futuro a se stessi e ai propri figli e che anzi, in qualche caso, sono costretti persino a rinunciare a farsela una famiglia, per poi arrivare a sessant'anni a chiedersi per cosa hanno campato. Ma se la devono prendere con quella stessa sinistra che ha fatto ideologicamente la guerra alla libera iniziativa e al mercato e che oggi criminalmente sfrutta il loro disagio per promettere cose che non possono mantenere e il ritorno a quegli anni Ottanta che non torneranno mai più. Se la devono prendere con la Schlein, con Conte, con Grillo e con quella mentalità che vede gli imprenditori come mucche da mungere che, se protestano, diventano ladri e padroni da abbattere.
La società italiana ha voluto essere la più antiliberale possibile e la destinazione finale di questa scelta è chiarissima: si chiama recessione.