Ora che il cuore malandato di Berlusconi ha smesso di battere per sempre, assisteremo al consueto profluvio di commenti, dell'una e dell'altra fazione. E dal momento che, fondando questo progetto - che non so ancora definire (Partito? Forum? Comunità? Giornale) - sono moralmente obbligato a scrivere qualcosa su un personaggio così importante, che ha caratterizzato la mia vita dai tredici anni fino a poco tempo fa, la cosa peggiore che io possa fare è scrivere un pezzo su cosa Berlusconi abbia davvero rappresentato per l'Italia, né tantomeno ho intenzione di mettermi a fare il commento ai commenti. Tutto questo lo faranno personaggi ben più importanti di me. E sì, sappiamo tutti come funziona in Italia: in vita si può dire il peggio di un personaggio ma la morte sembra riabilitarlo anche presso coloro che pure in vita gli hanno detto e fatto di peggio. E sappiamo anche che ci sono gli alternativi, quelli che senza aver realizzato un milionesimo di quel che ha fatto lui, in queste ore sputano sul suo cadavere ancora caldo: a costoro andrebbe ricordato quel proverbio per cui sul cadavere dei leoni festeggiano le iene, ma i leoni restano leoni e le iene restano iene.
Invece ho intenzione, rischiando tutte le accuse di autoreferenzialità del caso, di raccontarvi non cosa Berlusconi è stato per l'Italia, ma cosa è stato per me, sperando che questo possa farvi capire un po' di più sul motivo per cui questo personaggio è stato così importante per noi, sul perché un uomo che, in fin dei conti, non è riuscito a mantenere tutte le promesse che aveva fatto, e che da tempo era ormai in declino, lascia in coloro che sono stati suoi sostenitori - e io rientro a pieno titolo tra questi - un grandissimo vuoto.

Berlusconi è l'uomo grazie al quale, quando da ragazzo dovevo decidere cosa avrei voluto fare da grande, ho deciso di fare l'imprenditore.
C'è chi si immagina calciatore, chi si immagina medico, chi astronauta, chi giornalista. Tutte cose che rarissimamente si realizzano. Ecco, nei miei sogni da megalomane o, se vogliamo, da mitomane, avrei voluto realizzare quello che lui ha fatto con Mediaset, ma al Sud. Creare una televisione che rappresentasse non la milanesità ma la napoletanità o, per meglio dire, la meridionalità, comprare il Napoli - che quando ero adolescente, rischiava pesantemente di andare in serie B, e che poi sarebbe finito pure in serie C - diventare ricco, comprarmi un sacco di ville. Ecco, se quelli di "Io professione mitomane" leggessero questo incipit, mi sbatterebbero immediatamente in rilievo sulla loro pagina, honoris causa. Meritatamente. Però, però, però. Ci sono molti però. Questi sogni, in fondo ingenui, forse persino ridicoli, sono quelli che mi hanno spinto ad essere diverso dalla routine del posto fisso da inseguire dopo la laurea, per intascare il consueto stipendio mensile da 2000-3000 euro - che per carità, nella crisi di oggi, mettili a terra e vedi se camminano - verso cui mammà e papà, con tutta la buonafede e l'amore di questo mondo, hanno sempre cercato di spingermi. In nome di questi sogni, ho imparato ad amare il mio lavoro, ad alzarmi al mattino non con lo spirito di chi dovesse andare in un ufficio a condividere il proprio destino di pollo da batteria con altri sociopatici come me, a respirare fumi passivi e atteggiamenti invadenti e fastidiosi, ma con quello di un uomo che, con tutta la megalomania mitomaniaca che volete, il mondo se l'è sempre voluto mangiare a morsi. Fa niente che poi non sono diventato né il Berlusconi del Sud né ho fondato una Mediaset meridionale e che alla fine il Napoli se lo sia preso De Laurentiis: fa niente che alla fine io sia un soldato semplice di quello sterminato esercito di partite IVA che si suda la vita fino all'ultimo spicciolo. Il punto è che grazie a Berlusconi, ho imparato ad amare il mio lavoro, a creare e realizzare progetti. Non c'è bisogno di diventare miliardari per sentirsi Berlusconi, basta aver voglia di lavorare, amare quello che si fa, inseguire il successo, non piangersi addosso, non aspettarsi che arrivi la manna dal cielo. E queste caratteristiche berlusconiane - beninteso con molti miliardi in meno - mi sono sempre appartenute.

E il motivo per cui non penso certo di essere stato il solo ad avere questi sogni, si è delineato in me quando, nella famosa puntata in cui Berlusconi spolverò il sedile di Travaglio, lo share del programma di Santoro che normalmente si aggirava attorno al 10%, schizzò al 33%: cosa significava? Che la semplice presenza di Berlusconi fu sufficiente a spingere molte persone ad andare su un canale, di solito, ignorato dai grandi ascolti, e dividere gli italiani in due. Da una parte quelli come me, dall'altra parte quelli che non saranno mai come me. E perché uso, autoreferenzialmente, "me"? Perché sono sempre stato convinto che tanto il sostegno al berlusconismo quanto l'acrimonia su cui si fondava l'antiberlusconismo, non siano stati soltanto di tipo politico ma soprattutto antropologico. Al netto dei motivi ideologici che giustifichino entrambe le fazioni, al netto del fatto che si possa anche capire l'antiberlusconismo di chi come Travaglio ha visto il suo ispiratore e maestro Montanelli cacciato dal suo stesso giornale, o quello di De Benedetti che si è visto scippare più o meno legalmente la Mondadori, la verità è che per il resto, il berlusconismo e l'antiberlusconismo sono stati un polo attorno al quale si sono radunate tutte le ipocrisie che hanno caratterizzato il dibattito pubblico di ben vent'anni e che andava oltre la politica: da una parte, Berlusconi, per i suoi sostenitori, non era il rappresentante di un partito conservatore, ma l'emblema di un uomo che ce l'aveva fatta contro uno stato asfissiante, mafioso, sbirresco, la cui forza lavoro era rappresentata da burocrati invidiosi, limitati, nullafacenti. Mentre per i suoi avversari, Berlusconi, era il troll che si era inserito in un meccanismo perfetto, dove lo Stato era la misura di tutto il Bene e chiunque lo avversasse, la misura di tutto il Male. Attorno a Berlusconi, si sono polarizzati gli eserciti di una guerra antropologica che va oltre la sua figura e nella quale io ero (e sono e sarò sempre) schierato dalla parte dei berlusconiani, sebbene io non abbia mai acriticamente rinnegato le ombre (amicizie mafiose, finanziamenti strani e aiuti da quello stesso deprecato Stato che certo rendevano più sghemba la narrazione del liberale fattosi da solo) che intaccavano il suo piedistallo.

Fa niente che poi Berlusconi negli ultimi anni non era più Berlusconi. Anche il gatto sa che Berlusconi era ricattato, sotto attacco, e che certe sue posizioni mainstream degli ultimi tempi, compresa quella sul covid, erano dettate dalla paura di ritorsioni contro la sua azienda. Il punto è che il seme della libera iniziativa è stato gettato e che molti italiani come me hanno iniziato a fare impresa proprio nel solco del suo esempio. Il punto è che se io oggi faccio quel che faccio, lo debbo ad un signore che, tra mille contraddizioni e scheletri nell'armadio, mi ha insegnato - senza averlo mai conosciuto personalmente - che la vita possa essere qualcosa di più di una lamentazione costante, di una corsa estenuante ad un posto come statale per attaccarmi alle zizze invero sempre più striminzite della mucca ormai decrepita e anchilosata chiamata Stato. E soprattutto, che la vita possa essere qualcosa di più che accodarsi ad un conformismo e dire "Ha ragione Mattarella/Scalfari/LilliGruber" anche se per me ha torto.
Grazie a Berlusconi, credo di essere un uomo non perfetto ma migliore di quanto sarei stato se questo personaggio non avesse, per alcuni (me compreso, senza però mai negarne anche le ombre) illuminato e per altri infestato, il panorama politico e imprenditoriale italiano.
Ho preferito scrivere un ricordo personale di ciò che è stato Berlusconi per me, perché tutto il resto lo leggerete sui giornali. Leggerete del suo ruolo come politico, come imprenditore, come magnate della televisione, dei suoi procedimenti giudiziari e assisterete alle polemiche sul fatto che Berlusconi sia stato un grandissimo uomo oppure un grandissimo delinquente: vi farete insomma polarizzare nell'eterna lotta tra il Bene e il Male, di cui Berlusconi è stato soltanto uno dei capitoli, ancorché il più corposo della storia di questo paese.
Per quanto riguarda me, ora che non c'è più, posso soltanto dirgli "Grazie Silvio".

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Sarà’ anche stato un buon imprenditore ma ha raccolto il peggio di questo paese attorno a se e lo ha portato sul palco .Lo considero un grande artista della dissimulazione e della curruzione,non il peggiore di tanti altri ma quello che ha meglio rappresentato il peggio verminoso del nostro sottobosco
 
Volevo evitare di commentare...poi...tutti dicono la loro...Ho lavorato con gente delle sue aziende, comportamenti impeccabili, seri come le loro aziende che nutrono parecchie migliaia di persone. Chapeau. Come politico...aveva la possibilità con le sue conoscenze, le sue intuizioni, i suoi contatti, i suoi soldi, di sviluppare una politica soprattutto estera straordinaria, di crescita ed espansione per l'Italia. Si é fottuto con le barzellette, le battutine, insomma col comportamento ridanciano e non dignitoso di chi rappresenta un popolo che, in quel momento, aveva fiducia in lui. Perdere strepitose possibilità di sviluppo industriale ed economico perché il capo non é riuscito a tenere a freno la lingua e l'uccello.....beh...mi ha dato fastidio
 

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Franco Marino
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