Omar Favaro è un nome che non dice nulla ma se accoppiato a quello della sua celebre ex-fidanzatina Erika De Nardo, forma un binomio inscindibile nella memoria degli italiani, quello di Erika e Omar, gli autori del delitto di Novi Ligure in cui caddero sotto il loro coltello la madre e il fratellino della ragazza. In questi giorni, è tornato alla ribalta perché l'ex-moglie lo avrebbe accusato di violenze nei suoi confronti e allora i giustizialisti hanno colto l'occasione per riaprire l'annoso dibattito sulla natura riabilitativa della giustizia. Non che non si debba provare orrore per Erika come per Omar. Anzi, personalmente, quella terribile vicenda mi turbò tantissimo come in generale mi ha sempre suscitato orrore qualsiasi parricidio, penso per esempio anche a quello compiuto da Pietro Maso. L'idea stessa che un figlio possa uccidere i propri familiari, veder cadere davanti ai propri occhi quelle persone che un tempo ci hanno coccolati, protetti, e si sono presi cura di noi, vedere i loro sguardi perdere vita per propria mano, è qualcosa che mi ha sempre sconvolto e terrorizzato. Non che io abbia mai temuto di diventare un parricida né che ci sia andato anche soltanto lontanamente vicino. Ma fedele all'insegnamento di Terenzio che bisognerebbe scolpirsi nella mente, "Homo sum: nihil humanum a me alienum puto", sono un uomo e non reputo a me estraneo nulla che sia umano. Una delle mie paure di sempre è perdere la testa per una qualsiasi fesseria e fare uno sproposito contro le persone che amo, tant'è che evito sempre ogni minima occasione di litigio con le persone con cui ho rapporti stretti, anche quando ritengo di avere ragione e di aver subito un torto. Qualsiasi persona, anche la più buona e illuminata, può essere abbagliata per un attimo dal "sole negli occhi", che fu il titolo di un film bellissimo e tremendo, avente per oggetto proprio un parricidio, e che riuscii a vedere soltanto quando effettivamente il mio di padre morì di morte naturale. E ho dunque guardato ad Erika, Omar, Pietro Maso, ma anche a Luca Materazzo, che pure è stato un mio amico, resisi protagonisti di delitti simili, con l'orrore con cui è lecito guardarli.
E tuttavia i giudici che si sono occupati di Erika e Omar hanno applicato la legge, che contempla anche la prospettiva che i protagonisti di un delitto così efferato, possano un giorno abbandonare le patrie galere e tentare di reinserirsi nella vita civile. Peraltro, alla sanzione della legge si aggiunge quella reputazionale: tra i tanti protagonisti di delitti efferati che stanno per tornare liberi c'è anche Luigi Chiatti, il Mostro di Foligno. Chi davvero ottimisticamente è disposto a credere che possa rifarsi una vita, magari con una compagna? Per certi delitti, la condanna immediata è "fine pena mai". E anche a scontarla interamente, il passato per Pietro Maso, per Erika e Omar non passerà mai, come non passerà per Alessandro Impagnatiello. È questa la loro condanna.
E sia chiaro, si può anche non essere tra coloro che ritengono che il carcere debba avere una valenza educativa. Al fantomatico reinserimento nella società si può credere o nulla. Ma la giustizia si basa su questo principio. Le carceri italiane sono certamente ben lontane da quel paradiso riabilitativo, auspicato dalla nostra Costituzione, in cui il Lodovico della situazione diventa Fra Cristoforo, basti sapere che Totò Riina e Raffaele Cutolo, che in galera ci erano finiti per reati non di mafia, abbiano avviato proprio in galera la propria carriera criminale. Ma tutto sta ad intendersi su che tipo di giustizia si vuole. Se si ritiene che lo Stato debba fare pulizia oppure debba recuperare chi commette dei crimini nella speranza che vengano reinseriti nella società. Ma fin quando la nostra giustizia teorizzerà, a torto o a ragione, il reinserimento nella società del detenuto, saranno infondate le critiche di chi oggi si scandalizza per Omar Favaro, come lo erano le critiche che furono mosse a coloro che rimisero in libertà Angelo Izzo, il Mostro del Circeo, che, tornato in libertà, uccise altre persone. Questa è la giustizia in Italia e, sinceramente, pur volendone riconoscere gli enormi limiti e la sua perfettibilità, meglio tenersela che adottare la legge del taglione che ancora oggi tristemente regola certe secolari faide nell'entroterra calabrese.
Anche per questo mi spaventa chi ritiene che Impagnatiello non meriti di essere difeso. Molti sembrano non considerare che il ruolo dell'avvocato temerario che deciderà di difenderlo, non sarà certo assolverlo sapendolo colpevole: questo ovviamente non solo non è suo compito ma è anche contrario alla legge. L'avvocato deve semplicemente fare in modo che Impagnatiello sia difeso secondo giustizia. Cosa significa? Che se a suo giudizio ci sono dei margini per far applicare delle circostanze attenuanti, è giusto fargliele applicare. Ma soprattutto, che sia giudicato non dai cinguettii del popolo di Twitter che probabilmente lo avrebbe già ucciso tra enormi torture - farsi un giro da quelle parti per capire - ma da giudici che, per esperienza e cultura, abbiano la moderazione per saper amministrare la sorte di un assassino che deve pagare ma nel giusto, non nello strepitio popolare. In questi giorni, ho avuto modo di frequentare Twitter e di provare una sensazione sgradevolissima che devo spiegare. In sostanza, dopo aver visto tutta quella valanga di fango rivolta contro Impagnatiello, ho quasi solidarizzato con lui. Invece di unirmi alla canea scatenata contro di lui, mi sono sorpreso a chiedermi per quale razza di ragione un uomo debba macchiarsi di un delitto così grave ed efferato per poi farsi sputare addosso per il resto della vita.
E' certamente una solidarietà di cui dovrei vergognarmi. E se qualcuno si irrita di fronte a questa mia confessione, lo capisco perfettamente. Ma è una solidarietà che origina da una convinzione che è sempre stata salda nella mia mente sin da quando ho avuto la facolta della ragione: la differenza tra un mostro che uccide una o più persone e quelli che da una settimana gli vomitano odio addosso, è molto più sottile di quanto si creda. Mi fanno paura i mostri che uccidono donne incinte, me ne fa molta di più la folla giudicante. La tendenza a dare torto alle folle va allenata ogni giorno, anche quando sembra che non valga la pena, anche quando l'istinto dice il contrario.
E tuttavia i giudici che si sono occupati di Erika e Omar hanno applicato la legge, che contempla anche la prospettiva che i protagonisti di un delitto così efferato, possano un giorno abbandonare le patrie galere e tentare di reinserirsi nella vita civile. Peraltro, alla sanzione della legge si aggiunge quella reputazionale: tra i tanti protagonisti di delitti efferati che stanno per tornare liberi c'è anche Luigi Chiatti, il Mostro di Foligno. Chi davvero ottimisticamente è disposto a credere che possa rifarsi una vita, magari con una compagna? Per certi delitti, la condanna immediata è "fine pena mai". E anche a scontarla interamente, il passato per Pietro Maso, per Erika e Omar non passerà mai, come non passerà per Alessandro Impagnatiello. È questa la loro condanna.
E sia chiaro, si può anche non essere tra coloro che ritengono che il carcere debba avere una valenza educativa. Al fantomatico reinserimento nella società si può credere o nulla. Ma la giustizia si basa su questo principio. Le carceri italiane sono certamente ben lontane da quel paradiso riabilitativo, auspicato dalla nostra Costituzione, in cui il Lodovico della situazione diventa Fra Cristoforo, basti sapere che Totò Riina e Raffaele Cutolo, che in galera ci erano finiti per reati non di mafia, abbiano avviato proprio in galera la propria carriera criminale. Ma tutto sta ad intendersi su che tipo di giustizia si vuole. Se si ritiene che lo Stato debba fare pulizia oppure debba recuperare chi commette dei crimini nella speranza che vengano reinseriti nella società. Ma fin quando la nostra giustizia teorizzerà, a torto o a ragione, il reinserimento nella società del detenuto, saranno infondate le critiche di chi oggi si scandalizza per Omar Favaro, come lo erano le critiche che furono mosse a coloro che rimisero in libertà Angelo Izzo, il Mostro del Circeo, che, tornato in libertà, uccise altre persone. Questa è la giustizia in Italia e, sinceramente, pur volendone riconoscere gli enormi limiti e la sua perfettibilità, meglio tenersela che adottare la legge del taglione che ancora oggi tristemente regola certe secolari faide nell'entroterra calabrese.
Anche per questo mi spaventa chi ritiene che Impagnatiello non meriti di essere difeso. Molti sembrano non considerare che il ruolo dell'avvocato temerario che deciderà di difenderlo, non sarà certo assolverlo sapendolo colpevole: questo ovviamente non solo non è suo compito ma è anche contrario alla legge. L'avvocato deve semplicemente fare in modo che Impagnatiello sia difeso secondo giustizia. Cosa significa? Che se a suo giudizio ci sono dei margini per far applicare delle circostanze attenuanti, è giusto fargliele applicare. Ma soprattutto, che sia giudicato non dai cinguettii del popolo di Twitter che probabilmente lo avrebbe già ucciso tra enormi torture - farsi un giro da quelle parti per capire - ma da giudici che, per esperienza e cultura, abbiano la moderazione per saper amministrare la sorte di un assassino che deve pagare ma nel giusto, non nello strepitio popolare. In questi giorni, ho avuto modo di frequentare Twitter e di provare una sensazione sgradevolissima che devo spiegare. In sostanza, dopo aver visto tutta quella valanga di fango rivolta contro Impagnatiello, ho quasi solidarizzato con lui. Invece di unirmi alla canea scatenata contro di lui, mi sono sorpreso a chiedermi per quale razza di ragione un uomo debba macchiarsi di un delitto così grave ed efferato per poi farsi sputare addosso per il resto della vita.
E' certamente una solidarietà di cui dovrei vergognarmi. E se qualcuno si irrita di fronte a questa mia confessione, lo capisco perfettamente. Ma è una solidarietà che origina da una convinzione che è sempre stata salda nella mia mente sin da quando ho avuto la facolta della ragione: la differenza tra un mostro che uccide una o più persone e quelli che da una settimana gli vomitano odio addosso, è molto più sottile di quanto si creda. Mi fanno paura i mostri che uccidono donne incinte, me ne fa molta di più la folla giudicante. La tendenza a dare torto alle folle va allenata ogni giorno, anche quando sembra che non valga la pena, anche quando l'istinto dice il contrario.
Perché il mostro può essere arrestato, la folla no. E la folla che sputa contro un assassino è la stessa che a volte sceglie Barabba e manda a morte Gesù.