Trump è stata la nota più piacevolmente stonata dell’osceno coretto che da decenni piaga il dibattito pubblico. Non che io abbia sempre ritenuto che le sue intenzioni fossero sincere e che la strada per la bonifica della grande mafia internazionale possa partire dall’America. Ma che il vecchio Donald abbia messo in crisi il corpaccione della sinistra internazionale americana è un fatto. Dunque che abbia lanciato un suo progetto, non può che far felici tutti i trumpiani che evidentemente, grazie a questa notizia, si rendono conto che Trump è ancora nel pieno delle sue forze. Altro conto è trovare l’iniziativa destinata al successo. E, al riguardo, se si teme che un progetto di un personaggio a noi gradito possa essere destinato all’insuccesso, non bisogna aver paura di dirlo e casomai di cattivarsi qualche antipatia.
La creatura di Trump si chiama “Truth”. Verità, in inglese. E la cosa già suscita le stesse perplessità di quei partiti che si chiamano “Democratici”. Senza esserlo. Tra l’altro, non so se sia una clamorosa dimenticanza da parte di Trump, ma Pravda, organo ufficiale del partito comunista sovietico, significava proprio verità. Nello specifico, la perplessità è quella di un social network che, già nel suo intento programmatico, si propone di essere un organo di dissidenza e di propaganda. Ed è, a mio avviso, un errore.
Intendiamoci bene. E' un fatto palese che la rete vada verso forme di frazionamento su base ideologica, e col DSA (Digital Service Act) del prossimo 25 Agosto, la cosa si accentuerà. Quanto più i social media attuali - per la verità non di propria iniziativa ma perché ricattati dai governi - mostreranno ostilità verso la dissidenza, tanto più ne nasceranno altri, disponibili ad accogliere i transfughi pluribannati. E’ una tendenza che già si vede con Gabai, Parler e altri, o anche con piattaforme russe come vKontakte e Telegram. Ma nessuno di questi social network riesce a diventare mainstream perché nessuno di essi riesce a conquistare le masse. Il che per certi versi è anche una garanzia per i dissidenti che vi si sono iscritti per trovare persone che la pensino allo stesso modo. Ma tuttavia, alla fine, tornano sempre sui social network mainstream.
Facebook ci dimostra che il successo di una community si vede da quanti bannati cercano di iscriversi di nuovo. Se un bannato se ne va indignato e non torna più, quella comunità non è davvero di successo. Mentre vediamo invece utenti aprirsi continuamente nuovi profili, su Facebook e Twitter. Perché? Perché sono mainstream. Perché possono dare all’utente che vi si iscrive qualcosa che i social network dissidenti, oggi, non possono dare. L’utenza. Infatti, il principale errore che commette un gestore di comunità virtuali è non capire che la molla che spinge miliardi di persone a comunicare giornalmente i propri pensieri su un social non è né l’identificazione politica (che, al contrario, costituirebbe un pregiudizio) né – come dimostrano i fallimenti di decine di comunità basate sulla retribuzione degli utenti creatori di contenuti – i soldi. Ma il desiderio delle persone di sentirsi apprezzate. I like.
Un utente che iscrivendosi ad un social vede i propri contenuti apprezzati da centinaia di persone, ne ricava una botta di autostima. E tornerà per averne altra. E’ solo questa la molla alla base del successo di Facebook. Un progetto studiato da menti raffinatissime che conoscono sia la psiche umana che le tecniche per manipolarla e in grado di sfruttare come nessun altro il bisogno di validazione sociale dell’essere umano. Chiamato spregiativamente “narcisismo” o “vanità”. Ma che di fatto è insito in ognuno di noi.
Truth poi, essendo uno sfacciato clone di Twitter, è come se vivesse di luce riflessa e legittimasse il successo dell'originale.
Naturalmente, più un social network è generalista, più cattura utenti, più può soddisfare la vanità degli utenti. Ma quando un social network nasce per occuparsi unicamente solo di una battaglia politica – perché potete stare certi che Truth verrà boicottato esattamente come vKontakte e Telegram vengono boicottati in occidente – otterrà solo quella parte di utenza che si occupa di politica ed è schierata da una singola parte.
Se un social network vuole schierarsi politicamente, può farlo in mille modi molto più subdoli e cioè agendo sugli algoritmi. Darà visibilità solo a contenuti graditi all’editore, penalizzando gli altri. Farà in modo che vengano premiati – con più like – gli utenti che pubblichino post, video, foto vicine alla connotazione politica di quel social media. Ma se lo fa platealmente, qualificandosi come “social network sovranista”, di fatto metterà subito sulla difensiva tutti quegli utenti che, non avendo la medesima collocazione politica, metteranno subito una croce nera su quella comunità. Si può manipolare l’opinione pubblica in mille modi, a patto di non farglielo mai capire. A patto di non apparire mai come organo ufficiale di un determinato partito o di un potere forte anche non ufficiale.
Il successo di una rete sociale di qualsiasi tipo, oggi, viene da come i media mainstream la pubblicizzano. Se tutte le televisioni e tutti i giornali, a qualsiasi ora del giorno e della notte, spammano Facebook, Twitter, Instagram e ignorano gli altri social, ci sarà sempre molta più gente in questi social e sempre meno gente sugli altri. Meno like, dunque. Meno spinta a pubblicare contenuti. Meno attività da parte degli utenti. E dunque il fallimento di quella comunità.
La creatura di Trump si chiama “Truth”. Verità, in inglese. E la cosa già suscita le stesse perplessità di quei partiti che si chiamano “Democratici”. Senza esserlo. Tra l’altro, non so se sia una clamorosa dimenticanza da parte di Trump, ma Pravda, organo ufficiale del partito comunista sovietico, significava proprio verità. Nello specifico, la perplessità è quella di un social network che, già nel suo intento programmatico, si propone di essere un organo di dissidenza e di propaganda. Ed è, a mio avviso, un errore.
Intendiamoci bene. E' un fatto palese che la rete vada verso forme di frazionamento su base ideologica, e col DSA (Digital Service Act) del prossimo 25 Agosto, la cosa si accentuerà. Quanto più i social media attuali - per la verità non di propria iniziativa ma perché ricattati dai governi - mostreranno ostilità verso la dissidenza, tanto più ne nasceranno altri, disponibili ad accogliere i transfughi pluribannati. E’ una tendenza che già si vede con Gabai, Parler e altri, o anche con piattaforme russe come vKontakte e Telegram. Ma nessuno di questi social network riesce a diventare mainstream perché nessuno di essi riesce a conquistare le masse. Il che per certi versi è anche una garanzia per i dissidenti che vi si sono iscritti per trovare persone che la pensino allo stesso modo. Ma tuttavia, alla fine, tornano sempre sui social network mainstream.
Facebook ci dimostra che il successo di una community si vede da quanti bannati cercano di iscriversi di nuovo. Se un bannato se ne va indignato e non torna più, quella comunità non è davvero di successo. Mentre vediamo invece utenti aprirsi continuamente nuovi profili, su Facebook e Twitter. Perché? Perché sono mainstream. Perché possono dare all’utente che vi si iscrive qualcosa che i social network dissidenti, oggi, non possono dare. L’utenza. Infatti, il principale errore che commette un gestore di comunità virtuali è non capire che la molla che spinge miliardi di persone a comunicare giornalmente i propri pensieri su un social non è né l’identificazione politica (che, al contrario, costituirebbe un pregiudizio) né – come dimostrano i fallimenti di decine di comunità basate sulla retribuzione degli utenti creatori di contenuti – i soldi. Ma il desiderio delle persone di sentirsi apprezzate. I like.
Un utente che iscrivendosi ad un social vede i propri contenuti apprezzati da centinaia di persone, ne ricava una botta di autostima. E tornerà per averne altra. E’ solo questa la molla alla base del successo di Facebook. Un progetto studiato da menti raffinatissime che conoscono sia la psiche umana che le tecniche per manipolarla e in grado di sfruttare come nessun altro il bisogno di validazione sociale dell’essere umano. Chiamato spregiativamente “narcisismo” o “vanità”. Ma che di fatto è insito in ognuno di noi.
Truth poi, essendo uno sfacciato clone di Twitter, è come se vivesse di luce riflessa e legittimasse il successo dell'originale.
Naturalmente, più un social network è generalista, più cattura utenti, più può soddisfare la vanità degli utenti. Ma quando un social network nasce per occuparsi unicamente solo di una battaglia politica – perché potete stare certi che Truth verrà boicottato esattamente come vKontakte e Telegram vengono boicottati in occidente – otterrà solo quella parte di utenza che si occupa di politica ed è schierata da una singola parte.
Se un social network vuole schierarsi politicamente, può farlo in mille modi molto più subdoli e cioè agendo sugli algoritmi. Darà visibilità solo a contenuti graditi all’editore, penalizzando gli altri. Farà in modo che vengano premiati – con più like – gli utenti che pubblichino post, video, foto vicine alla connotazione politica di quel social media. Ma se lo fa platealmente, qualificandosi come “social network sovranista”, di fatto metterà subito sulla difensiva tutti quegli utenti che, non avendo la medesima collocazione politica, metteranno subito una croce nera su quella comunità. Si può manipolare l’opinione pubblica in mille modi, a patto di non farglielo mai capire. A patto di non apparire mai come organo ufficiale di un determinato partito o di un potere forte anche non ufficiale.
Il successo di una rete sociale di qualsiasi tipo, oggi, viene da come i media mainstream la pubblicizzano. Se tutte le televisioni e tutti i giornali, a qualsiasi ora del giorno e della notte, spammano Facebook, Twitter, Instagram e ignorano gli altri social, ci sarà sempre molta più gente in questi social e sempre meno gente sugli altri. Meno like, dunque. Meno spinta a pubblicare contenuti. Meno attività da parte degli utenti. E dunque il fallimento di quella comunità.
A meno che Truth non nasca come semplice organo di informazione dissidente. Come ce ne sono tantissimi che almeno però non hanno la pretenziosità di definirsi social network.