La notizia è di quelle raccapriccianti. Una donna incinta, Giulia Tramontano, viene uccisa dal fidanzato, tale Alessandro Impagnatiello, di cui aveva scoperto non solo l'infedeltà ma anche che l'amante era a sua volta incinta. E, come è ovvio che sia, si ritorna al solito annoso e noioso tema del "femminicidio". Nel momento in cui mi accingo a scrivere questo articolo, ho ancora in testa l'eco degli insulti ricevuti stamattina e ho quasi timore di dire la mia. Poi ricordo a me stesso che sono un signor nessuno, accanto a quei quattro affezionatissimi gatti che mi leggono (prima che qualcuno si offenda per essere paragonato ad un animale, sono gattolico praticante) e che tra i vantaggi di stare a casa propria c'è anche il fatto che si può fare una rigida selezione all'ingresso che, come è noto, migliora il tuo divertimento.
Venendo al sodo: esiste un problema di "femminicidio"? Facciamo due conti. I maschi suicidi sono cinque volte di più le vittime di femminicidio e nessuno pensa di coniare il termine maschisuicidio, anche perché ognuno di questi drammi ha una peculiare storia alle spalle, da chi si suicida per debiti e chi invece perché è stato mollato dalla moglie. Viceversa, le donne in Italia sono 31 milioni e di "femminicidi" ce ne sono 100 all'anno. Il che, se sono ancora bravo in matematica, significa che una donna su 310.000 viene ogni anno ammazzata da un uomo, tenendo peraltro presente che è una media bassissima, se parametrata col resto d'Europa e, per giunta, è in discesa, e che non tutte le donne sono ammazzate da uomini. In un paese razionale, si liquiderebbe la cosa per quella che è, come un problema che va risolto nelle aule giudiziarie, trattandolo caso per caso e comunque facendo fare all'assassino la galera del caso. Peraltro, non tutte le donne sono vittime di femminicidio: un uomo che rapina una donna per impossessarsi dei suoi gioielli e la uccide, commette un femminicidio o semplicemente un omicidio da punire peraltro con l'ergastolo? Quesiti in fondo banali ma non nel paese che ha ormai divorziato dalla realtà, che sta cercando di far passare il principio che le donne siano tutte potenziali vittime del maschio che è potenzialmente un assassino. Nello specifico: il maschio bianco, italiano. Repubblica infatti titola contro "il macho italiano", sperando in tal senso non si sa cosa. Che si faccia una castrazione chimica preventiva del maschio? Scemenze, penserebbe la persona razionale. Ma perché allora questa canea?
Qui viene da ripensare ad una barzelletta, quella di un medico figlio d'arte figlio di un famoso luminare che riesce a trovare una cura ai malati ereditati dal padre, che quest'ultimo non era riuscito a guarire. Quando torna dal padre gli dice "Papà ho guarito tutti i pazienti che ho ereditato da te, oltretutto con una cura che costava poco, mentre le tue costavano tantissimo e non risolvevano il problema". E il padre "Bravo cretino. Secondo te come ti ho pagato gli studi in America?".
La barzelletta, come accade sempre, ha una morale di fondo che ne giustifica il riso. Attorno al tema del femminicidio proliferano associazioni di ogni genere - che muovono naturalmente parecchi soldi - intellettuali che godono di un credito e di un ascolto che normalmente non avrebbero, e naturalmente rappresenta anche per i partiti progressisti un'occasione per trovare una ragion d'essere che altrimenti non avrebbero.
Venendo al sodo: esiste un problema di "femminicidio"? Facciamo due conti. I maschi suicidi sono cinque volte di più le vittime di femminicidio e nessuno pensa di coniare il termine maschisuicidio, anche perché ognuno di questi drammi ha una peculiare storia alle spalle, da chi si suicida per debiti e chi invece perché è stato mollato dalla moglie. Viceversa, le donne in Italia sono 31 milioni e di "femminicidi" ce ne sono 100 all'anno. Il che, se sono ancora bravo in matematica, significa che una donna su 310.000 viene ogni anno ammazzata da un uomo, tenendo peraltro presente che è una media bassissima, se parametrata col resto d'Europa e, per giunta, è in discesa, e che non tutte le donne sono ammazzate da uomini. In un paese razionale, si liquiderebbe la cosa per quella che è, come un problema che va risolto nelle aule giudiziarie, trattandolo caso per caso e comunque facendo fare all'assassino la galera del caso. Peraltro, non tutte le donne sono vittime di femminicidio: un uomo che rapina una donna per impossessarsi dei suoi gioielli e la uccide, commette un femminicidio o semplicemente un omicidio da punire peraltro con l'ergastolo? Quesiti in fondo banali ma non nel paese che ha ormai divorziato dalla realtà, che sta cercando di far passare il principio che le donne siano tutte potenziali vittime del maschio che è potenzialmente un assassino. Nello specifico: il maschio bianco, italiano. Repubblica infatti titola contro "il macho italiano", sperando in tal senso non si sa cosa. Che si faccia una castrazione chimica preventiva del maschio? Scemenze, penserebbe la persona razionale. Ma perché allora questa canea?
Qui viene da ripensare ad una barzelletta, quella di un medico figlio d'arte figlio di un famoso luminare che riesce a trovare una cura ai malati ereditati dal padre, che quest'ultimo non era riuscito a guarire. Quando torna dal padre gli dice "Papà ho guarito tutti i pazienti che ho ereditato da te, oltretutto con una cura che costava poco, mentre le tue costavano tantissimo e non risolvevano il problema". E il padre "Bravo cretino. Secondo te come ti ho pagato gli studi in America?".
La barzelletta, come accade sempre, ha una morale di fondo che ne giustifica il riso. Attorno al tema del femminicidio proliferano associazioni di ogni genere - che muovono naturalmente parecchi soldi - intellettuali che godono di un credito e di un ascolto che normalmente non avrebbero, e naturalmente rappresenta anche per i partiti progressisti un'occasione per trovare una ragion d'essere che altrimenti non avrebbero.
E allora ecco le malattie inventate, ecco creare realtà che non esistono, attorno cui radunare migliaia, quando non decine di migliaia di sociopatici che si identificano con drammi che non vivranno mai personalmente, ma che sono fondamentali per garantire militanza, partecipazione economica attraverso libri comprati, donazioni, voti e quant'altro. C'è da aspettarsi che una casa farmaceutica che guadagna su una malattia, si ingegni a trovare la cura che di fatto la farebbe fallire? Naturalmente no. E allora perché aspettarsi che questo problema, ammesso che sia un problema e non invece, molto più banalmente, il Male che talvolta fa capolino nella mente perversa di una persona, venga risolto in maniera razionale?