Il moralista, in senso corrente, è uno che “fa la morale” agli altri e questa, come dice la sua etimologia, è l’insieme di regole di comportamento determinate dalle abitudini di un popolo. La morale tuttavia è spesso inglobata in una religione: per questo in Europa si può parlare di “morale cristiana”, così come presumibilmente in Israele di "morale ebraica" e nei paesi arabi di "morale islamica". La conseguenza è che per i credenti la norma non deriva più dalle abitudini di un popolo ma dalla rivelazione della Chiesa. E questo spiega per esempio i continui conflitti tra le autorità politiche e il Vaticano. Se, per molti, l'omosessualità oggi è una cosa normalissima e bisogna adeguarsi a vedere in giro coppie gay, non per questo la Chiesa non smetterà di reputarla condannabile perché, per la sua dottrina, l'omosessualità è una malattia e un peccato. La Chiesa ammette che buona parte della sua morale coincide con quella che chiama morale naturale ma nondimeno fonda la validità di quelle norme sull’autorità della sua stessa dottrina. La conseguenza di tutto ciò è che se, per esempio, un sacerdote dice a qualcuno: “Tu non hai il diritto di andare a letto con una persona del tuo stesso sesso”, “Tu non hai il diritto di farti le seghe", "Tu non hai il diritto di divorziare", l’interessato non ha a sua volta il diritto di replicare: “Fatti gli affari tuoi”, perché il sacerdote ha, tra i suoi doveri, quello della cura d'anime. Viceversa, la risposta corretta in quel caso sarebbe "Padre io non sono credente, dunque per me le sue regole non valgono".
E se, riguardo al miscredente, non può fare il moralista nemmeno il sacerdote, figurarsi se può farlo qualcuno che fonda le proprie convinzioni solo su se stesso. E tuttavia la quantità di questi audaci, in giro, è sorprendentemente alta. Tutti sono pronti a riprendere il Governo se fa una cosa perfettamente consentita dalla Costituzione come spartirsi la RAI. Quasi che i moralisti, poveri angeli, non abbiano mai lottizzato nulla in vita loro, non abbiano mai parcheggiato dove è vietato, non abbiano mai cercato una raccomandazione. In Italia si ha questo costante iato tra il livello morale medio – bassissimo – e il livello morale che si pretende dagli altri.
Si è arrivato al punto di rinfacciare al centrodestra i legami - peraltro inesistenti - con Mosca, dimenticando che c’è stato un periodo lunghissimo, durato quasi cinquant'anni, in cui il PCI ha ricevuto finanziamenti da un paese nemico dell'Italia quale era l'URSS. E invece la destra è figlia di Putin, mentre la sinistra è fatta da angioletti. Il colmo di questo moralismo d’accatto, interessato ed ipocrita, si raggiunge quando non ci si limita ad applicare al prossimo la più severa delle morali (mentre non la si applica a se stessi) ma addirittura si inventa un nuovo tipo di “peccato” imperdonabile. Dal 1943 il peccato imperdonabile è il fascismo. Basta chiamare qualcuno “fascista” perché lo si sia completamente squalificato, peggio che se avesse ucciso. Infatti mentre i tanti terroristi neri, che pure non sono mancati in questo paese, hanno subito la giusta esecrazione per i loro reati, quelli rossi, una volta scontata la loro pena, sono ascoltati in conferenze, sono compresi nelle loro motivazioni ("compagni che sbagliano") e nei loro errori, e sono trattati con indulgenza, da intellettuali scrittori di libri. Molti di loro (Adriano Sofri) sono editorialisti di giornali, altri (Erri De Luca) scrivono versi sciolti che cercano di sembrare poesie, altro equivoco di cui dobbiamo "ringraziare" il Sessantotto. Mentre uno che dica “sì, sono stato fascista, ci credevo, ci ho creduto fino alla caduta di Mussolini”, quello no, non è perdonabile. Neanche dieci, venti, cinquant’anni dopo. Come, è stato fascista? Se almeno, dopo, fosse diventato comunista, come Dario Fo o Giorgio Bocca (personaggi che hanno riversato nel loro antifascismo lo stesso ottuso fanatismo di quando erano fascisti), avremmo tutti potuto chiudere un occhio: ma osa ricordarsi di essere stato fascista? Pretende di affermare di essere stato in buona fede, in quell’errore? E come si può essere fascisti in buona fede?
Il moralista antifascista è un mostro senza altra religione che l’antifascismo stesso, con l'aggravante di voler far credere di lottare per la democrazia. Se infatti fosse contro il totalitarismo sarebbe anche anticomunista, e non lo è. Se fosse contro l'oppressione dello Stato, sarebbe stato contro il green pass, e non lo è. Se fosse contro i crimini nazisti sarebbe anche contro i crimini dello stalinismo, e non lo è. Se fosse per la libertà, che il fascismo ha certamente sottratto, sarebbe anche contro il socialismo reale, che la libertà l’ha assassinata almeno per settant’anni.
Se il moralista antifascista fosse per la verità ammetterebbe che moltissimi giovani sono stati fascisti perché le voci critiche erano soffocate e dunque non si può minimamente concepire di criminalizzare chi ha creduto in quella che in quel momento era stata fatta percepire come la normalità.
Ma il moralista antifascista non ha bisogno di dimostrare nulla. Ha creato lo stereotipo per cui l'antifascista non è quello che va a sparare in montagna rischiando la pelle ma il fighetto senza arte né parte che, mentre gli eredi dell'antifascismo stanno mandando alla fame milioni di persone, crede che basti scrivere nella biografia di Twitter "no fasci, no leghisti" oppure esibire nella foto profilo "mi sono vaccinato", per poter assurgere all'olimpo dei buoni. Questo grande sacerdote dell’impostura ha sostenuto per decenni la più lunga delle dittature europee e, in seguito, non ha avuto neanche la decenza di pentirsi.
E se, riguardo al miscredente, non può fare il moralista nemmeno il sacerdote, figurarsi se può farlo qualcuno che fonda le proprie convinzioni solo su se stesso. E tuttavia la quantità di questi audaci, in giro, è sorprendentemente alta. Tutti sono pronti a riprendere il Governo se fa una cosa perfettamente consentita dalla Costituzione come spartirsi la RAI. Quasi che i moralisti, poveri angeli, non abbiano mai lottizzato nulla in vita loro, non abbiano mai parcheggiato dove è vietato, non abbiano mai cercato una raccomandazione. In Italia si ha questo costante iato tra il livello morale medio – bassissimo – e il livello morale che si pretende dagli altri.
Si è arrivato al punto di rinfacciare al centrodestra i legami - peraltro inesistenti - con Mosca, dimenticando che c’è stato un periodo lunghissimo, durato quasi cinquant'anni, in cui il PCI ha ricevuto finanziamenti da un paese nemico dell'Italia quale era l'URSS. E invece la destra è figlia di Putin, mentre la sinistra è fatta da angioletti. Il colmo di questo moralismo d’accatto, interessato ed ipocrita, si raggiunge quando non ci si limita ad applicare al prossimo la più severa delle morali (mentre non la si applica a se stessi) ma addirittura si inventa un nuovo tipo di “peccato” imperdonabile. Dal 1943 il peccato imperdonabile è il fascismo. Basta chiamare qualcuno “fascista” perché lo si sia completamente squalificato, peggio che se avesse ucciso. Infatti mentre i tanti terroristi neri, che pure non sono mancati in questo paese, hanno subito la giusta esecrazione per i loro reati, quelli rossi, una volta scontata la loro pena, sono ascoltati in conferenze, sono compresi nelle loro motivazioni ("compagni che sbagliano") e nei loro errori, e sono trattati con indulgenza, da intellettuali scrittori di libri. Molti di loro (Adriano Sofri) sono editorialisti di giornali, altri (Erri De Luca) scrivono versi sciolti che cercano di sembrare poesie, altro equivoco di cui dobbiamo "ringraziare" il Sessantotto. Mentre uno che dica “sì, sono stato fascista, ci credevo, ci ho creduto fino alla caduta di Mussolini”, quello no, non è perdonabile. Neanche dieci, venti, cinquant’anni dopo. Come, è stato fascista? Se almeno, dopo, fosse diventato comunista, come Dario Fo o Giorgio Bocca (personaggi che hanno riversato nel loro antifascismo lo stesso ottuso fanatismo di quando erano fascisti), avremmo tutti potuto chiudere un occhio: ma osa ricordarsi di essere stato fascista? Pretende di affermare di essere stato in buona fede, in quell’errore? E come si può essere fascisti in buona fede?
Il moralista antifascista è un mostro senza altra religione che l’antifascismo stesso, con l'aggravante di voler far credere di lottare per la democrazia. Se infatti fosse contro il totalitarismo sarebbe anche anticomunista, e non lo è. Se fosse contro l'oppressione dello Stato, sarebbe stato contro il green pass, e non lo è. Se fosse contro i crimini nazisti sarebbe anche contro i crimini dello stalinismo, e non lo è. Se fosse per la libertà, che il fascismo ha certamente sottratto, sarebbe anche contro il socialismo reale, che la libertà l’ha assassinata almeno per settant’anni.
Se il moralista antifascista fosse per la verità ammetterebbe che moltissimi giovani sono stati fascisti perché le voci critiche erano soffocate e dunque non si può minimamente concepire di criminalizzare chi ha creduto in quella che in quel momento era stata fatta percepire come la normalità.
Ma il moralista antifascista non ha bisogno di dimostrare nulla. Ha creato lo stereotipo per cui l'antifascista non è quello che va a sparare in montagna rischiando la pelle ma il fighetto senza arte né parte che, mentre gli eredi dell'antifascismo stanno mandando alla fame milioni di persone, crede che basti scrivere nella biografia di Twitter "no fasci, no leghisti" oppure esibire nella foto profilo "mi sono vaccinato", per poter assurgere all'olimpo dei buoni. Questo grande sacerdote dell’impostura ha sostenuto per decenni la più lunga delle dittature europee e, in seguito, non ha avuto neanche la decenza di pentirsi.
Ma ancora ha la faccia tosta di fare la morale agli altri.