In questi giorni, molti animatori dell'area del dissenso, di fronte alla vicenda degli allagamenti, stanno spolverando una certa tendenza - misteriosa per molti, prevedibilissima per me - a rimanere agganciati alle tesi dei media ufficiali. Premettendo che non ho ancora formato un'opinione sulle cause di quel che è accaduto, posso però dare il mio contributo a smontare una delle fallacie logiche più ricorrenti, ossia la petizione di principio di credere che il dissenso sia fondato su illazioni e non su dati di fatto e che dunque esista una distinzione tra l'indizio, che non avrebbe in teoria valore, e la prova. L'oggetto del contendere è la convinzione, da parte della controinformazione, che ci sia un'origine dolosa alla base dell'alluvione e quella dell'informazione ufficiale che sia tutto vero quel che ci hanno raccontato e che in realtà quanto è accaduto è tutta colpa della gente comune e chissà quant'altro. E se non si hanno elementi per sostenere una tesi invece dell'altra, si può quantomeno cercare di eliminare quei cattivi argomenti che, come disse qualcuno, sono il modo migliore per screditare una tesi.

L'argomento più sbagliato è quello di sostenere che "per difendere una tesi ci vogliano prove", perché questo sottintende due cose: l'oggettività delle prove e l'omogeneità dei giudici. Entrambi presupposti sbagliati e che derivano da una pessima educazione giuridica.
La "prova" come concetto in quanto distinta dagli indizi, non esiste. Ogni elemento può costituire un indizio, il cui valore probante non è scritto sulle tavole di legno una volta per tutte ma viene conferito da un giudice che può tanto ritenerlo tale da condurre alla condanna l'imputato, tanto ritenerlo tale non solo da non ritenerlo sufficiente per condannarlo o addirittura da ritenere che non configuri un fatto effettivamente compiuto, ma addirittura che nemmeno si vada a processo, risolvendosi quindi in un proscioglimento.
Il giudice, inoltre, non dispone della bocca della verità. Se voi non avete commesso un omicidio e tuttavia il giudice sostiene che voi siate colpevoli, non è che a questo punto un videoregistratore preme rewind, vi riporta indietro fino al momento dell'evento, poi preme rec e play e vi fa diventare assassini: semplicemente a suo parere, voi siete colpevoli sulla base di indizi che per lui hanno avuto un valore che per altri non avrebbero avuto.
Un caso di scuola in tal senso è il caso del delitto di Roberta Ragusa: io se fossi stato il giudice, avrei assolto Logli, perché per me fin quando non si trova il cadavere della poveretta non solo non si può avere la certezza che sia stato lui, ma nemmeno che sia stata effettivamente uccisa. E invece un giudice ha deciso che dovesse essere condannato. Chi ha ragione? Chi ha torto? Nessuno. Il giudice che l'ha condannato ha, legittimamente, compiuto valutazioni diverse dalle mie.
Ed è talmente vero quanto sopra che in tutti gli stati di diritto esistono più gradi di giudizio, proprio per diluire l'enorme potere giudiziario affidando la valutazione di un fatto alla differente forma mentis dei giudici. Per alcuni dei quali, per esempio, la prova del DNA è schiacciante. Un mio amico magistrato l'ha sempre ritenuta debole. Infatti proprio per questo si separa la verità giudiziaria da quella storica. Ci sono indizi che avvalorano i grandi complotti che la controinformazione ha denunciato in questi anni? Per molti sì e io appartengo a questi molti, per molti altri no. Per molti, il covid è stato un grande inganno e sulla base degli indizi raccolti Franco Marino ha emesso la sua sentenza che ha ispirato il suo agire, per altri invece è tutto normale quel che è accaduto e semmai Franco Marino è un complottista al quale va pure tolta la libertà di parola perché fa danni. In questi casi, è il cittadino - che in una democrazia è il supremo giudice, infatti ogni sentenza ha come incipit "in nome del popolo italiano" - che in quanto tale fa delle valutazioni e decide da che parte stare. Io ho emesso la mia sentenza dando un valore a degli indizi che per altri non hanno valore.

Dopodiché, che nella cosiddetta controinformazione vi siano cialtroni - e, aggiungo io, talvolta pure criminali - questo è verissimo. Ma criminalizzare il dissenso accusandolo di "agire senza prove" non solo non scioglie i nodi ma rischia di attorcigliarli, perché il vero tema non è provare se dietro quanto stia accadendo in questi anni vi siano complotti o meno, ma perché la gente non crede più all'informazione ufficiale. Il vero tema è il divorzio tra le classi dirigenti e l'elettorato, tra l'informazione e il lettorato, che è reso sempre più evidente dalla crescita verticale dell'astensione e dal crollo di lettori nei media. Questa è la vera questione da dibattere.
Le classi dirigenti sono credibili? Ad avviso di molti, no. E questo crea una situazione per cui la gente è ormai pregiudizialmente contro i media ufficiali. A volte anche sconfinando nel ridicolo opposto. Ma la colpa non è della gente ma delle classi dirigenti. Hanno mentito per anni, stanno progressivamente distruggendo un paese, ed era dunque inevitabile che si arrivasse a questa situazione. E' come quando dici una bugia e vieni scoperto: dopo nessuno ti crede più neanche quando dici la verità.
Del resto anche nei tribunali, i giudici, di fronte ad un imputato bugiardo, sono molto meno ben disposti. E se in questo pregiudizio cadono loro, perché non dovrebbe cadervi il cittadino comune?

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Franco Marino
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