Ultimamente c'è stata una forte recrudescenza dei casi di aggressioni ai sanitari. Uno degli ultimi ci mostra un padre che, dopo aver scoperto dal primario che il bimbo che la moglie prossima al parto aspettava, era morto in pancia, ha aggredito il primario, ricavandone la beffa di 20.000 euro da pagare al medico e all'ordine dei medici di Pavia. Naturalmente il gesto merita tutte le stigmatizzazioni del caso, ma dal momento che questi episodi sono diventati talmente frequenti da essere divenuti ciclici, è inevitabile chiedersi se la cosa possa avere delle spiegazioni. Quella più ricorrente è che spesso i medici e in generale il personale sanitario siano estremamente insolenti, come spesso sono. Ma è anche vero che purtroppo anche molti familiari dei pazienti non è che siano stinchi di santo. Quindi forse il problema è a monte, ossia in ciò che ci si aspetta dalla medicina.
Ho avuto a che fare, purtroppo, spesso con i medici, soprattutto per motivi familiari e tuttavia con la medicina ho sempre avuto un rapporto sereno. Non ho mai preteso che guarisse le persone a me care che non ci sono più dalle malattie che le hanno uccise e io stesso so già, quando arriverà il mio momento, se sarò cosciente per accorgermene, cosa può averlo determinato. Ad ispirare questa mia sostanziale serenità, che mi ha sempre permesso di evitare di mettere le mani addosso a qualche medico pure stronzo che pure ha percorso le mie strade, è sempre stata la consapevolezza che la medicina è niente di più che una tecnica. Il medico è un supermeccanico del corpo umano che non può fare l'impossibile come non può farlo il meccanico delle auto. Tanto le auto come gli esseri umani hanno i loro difetti di fabbricazione e spesso sono guidate da piloti che forse dovrebbero fare un richiamo di scuola guida. Anche per questo non me la sono mai presa con i medici: conosco i loro limiti, che poi sono analoghi a quelli di tantissime altre professioni. Tra di loro ci sono persone di altissimo livello e cialtroni; gente con un senso etico della professione e individui di una raccapricciante venalità; per non parlare dei casi in cui alle persone con una visione intellettuale del proprio mestiere si contrappongono autentici cretini che, quando escono dai propri ambulatori e uno se li ritrova in borghese nel proprio percorso, non di rado si chiede "ma questo deficiente come è riuscito a diventare medico?".
Il motivo per cui ho osato paragonare il medico ad un meccanico - e mi aspetto che venga a prendermi Burioni a casa con i NAS per questo oltraggio - è uno solo: la scienza non è che un metodo, il cui scopo è risolvere un problema pratico, ma finisce lì. Se io decido di buttarmi abbasso nel tentativo di suicidarmi e, invece di riuscirci, mi rompo quasi tutte le ossa, il medico può guarirmi le fratture ma non può darmi una spiegazione del perché io mi sia buttato. E invece oggi alla medicina vengono dati troppi compiti che vanno oltre la dimensione di disciplina che in fondo deve risolvere problemi che sono originati da come un individuo si pone nei confronti del proprio corpo, né più né meno della meccanica automobilistica che deve riparare il paraurti ma certo non può spiegare perché l'autista ha fatto un incidente. Il guaio è che dopo aver investito sulla miscredenza e aver dato un valore eccessivo al "qui ed ora", si compie una scoperta in fin dei conti persino banale: la medicina non è onnipotente. Se i teorici di Dio quantomeno hanno avuto la scaltrezza di promettere con certezza a chiunque ne sia meritevole un Aldilà nel quale riscattarsi da una vita infame e di fondare la propria dottrina sul "mistero della morte" - nel senso che nessuno di noi può dire con certezza cosa ci sarà alla fine dei nostri giorni - viceversa la medicina da una parte pretende di imporsi autoritativamente nella gestione delle nostre vite e dall'altra non promette, né può farlo, la felicità. La medicina cerca di deificarsi, senza però prometterci le cose che Dio promette. Così quando accade che - e certo non per colpa del medico - un paziente si vede negare la guarigione di un proprio caro o di se stesso, non è strano che la sua reazione sia bestemmiare contro quel dio di cui il medico non è altro che un sacerdote, magari aggredendo il sacerdote. Che, ripeto, non rende meno deprecabile il gesto, ma spiega la frustrazione di chi si è illuso che la guarigione del corpo sia essa stessa un paradiso in terra, quanto non è altro che l'ennesima pallottola schivata, in attesa di una delle prossime che, dopo averci colpito a fondo, ci destinerà ad un avvenire di sofferenza acuta e infine alla morte.
Ho avuto a che fare, purtroppo, spesso con i medici, soprattutto per motivi familiari e tuttavia con la medicina ho sempre avuto un rapporto sereno. Non ho mai preteso che guarisse le persone a me care che non ci sono più dalle malattie che le hanno uccise e io stesso so già, quando arriverà il mio momento, se sarò cosciente per accorgermene, cosa può averlo determinato. Ad ispirare questa mia sostanziale serenità, che mi ha sempre permesso di evitare di mettere le mani addosso a qualche medico pure stronzo che pure ha percorso le mie strade, è sempre stata la consapevolezza che la medicina è niente di più che una tecnica. Il medico è un supermeccanico del corpo umano che non può fare l'impossibile come non può farlo il meccanico delle auto. Tanto le auto come gli esseri umani hanno i loro difetti di fabbricazione e spesso sono guidate da piloti che forse dovrebbero fare un richiamo di scuola guida. Anche per questo non me la sono mai presa con i medici: conosco i loro limiti, che poi sono analoghi a quelli di tantissime altre professioni. Tra di loro ci sono persone di altissimo livello e cialtroni; gente con un senso etico della professione e individui di una raccapricciante venalità; per non parlare dei casi in cui alle persone con una visione intellettuale del proprio mestiere si contrappongono autentici cretini che, quando escono dai propri ambulatori e uno se li ritrova in borghese nel proprio percorso, non di rado si chiede "ma questo deficiente come è riuscito a diventare medico?".
Il motivo per cui ho osato paragonare il medico ad un meccanico - e mi aspetto che venga a prendermi Burioni a casa con i NAS per questo oltraggio - è uno solo: la scienza non è che un metodo, il cui scopo è risolvere un problema pratico, ma finisce lì. Se io decido di buttarmi abbasso nel tentativo di suicidarmi e, invece di riuscirci, mi rompo quasi tutte le ossa, il medico può guarirmi le fratture ma non può darmi una spiegazione del perché io mi sia buttato. E invece oggi alla medicina vengono dati troppi compiti che vanno oltre la dimensione di disciplina che in fondo deve risolvere problemi che sono originati da come un individuo si pone nei confronti del proprio corpo, né più né meno della meccanica automobilistica che deve riparare il paraurti ma certo non può spiegare perché l'autista ha fatto un incidente. Il guaio è che dopo aver investito sulla miscredenza e aver dato un valore eccessivo al "qui ed ora", si compie una scoperta in fin dei conti persino banale: la medicina non è onnipotente. Se i teorici di Dio quantomeno hanno avuto la scaltrezza di promettere con certezza a chiunque ne sia meritevole un Aldilà nel quale riscattarsi da una vita infame e di fondare la propria dottrina sul "mistero della morte" - nel senso che nessuno di noi può dire con certezza cosa ci sarà alla fine dei nostri giorni - viceversa la medicina da una parte pretende di imporsi autoritativamente nella gestione delle nostre vite e dall'altra non promette, né può farlo, la felicità. La medicina cerca di deificarsi, senza però prometterci le cose che Dio promette. Così quando accade che - e certo non per colpa del medico - un paziente si vede negare la guarigione di un proprio caro o di se stesso, non è strano che la sua reazione sia bestemmiare contro quel dio di cui il medico non è altro che un sacerdote, magari aggredendo il sacerdote. Che, ripeto, non rende meno deprecabile il gesto, ma spiega la frustrazione di chi si è illuso che la guarigione del corpo sia essa stessa un paradiso in terra, quanto non è altro che l'ennesima pallottola schivata, in attesa di una delle prossime che, dopo averci colpito a fondo, ci destinerà ad un avvenire di sofferenza acuta e infine alla morte.
Woody Allen una volta disse che la più bella frase da sentirsi dire non è "Ti amo" ma "E' benigno". E per una volta, non sono d'accordo con lui. "E' benigno" è soltanto una pallottola schivata prima che arrivi quella dove c'è scritto "le restano pochi mesi di vita". Quando si viene colpiti da questa pallottola, o si è a posto con se stessi, o la sofferenza dell'anima sarà persino peggiore di quella del corpo.
Ma qui la colpa è anche di quei medici che sopravvalutando la scienza e dipingendo se stessi come dei e il proprio sapere come Bibbia, hanno illuso le persone di avere, degli dei, anche il potere taumaturgico di risolvere ogni male del corpo, senza in realtà dare alcuna risposta ai mali dell'anima, la cui esistenza da loro spesso è negata. Di qui l'aggressione che rappresenta il momento in cui l'illusione incontra la realtà. Il medico, pretendendo di essere trattato come un dio in terra, non si rassegna al fatto che ad un dio non si chiede di fare del proprio meglio per salvarci, ma di garantirci la salvezza, ora e per sempre. E tuttavia, quando la vita volge al termine, non c'è scienza, non c'è tecnica che tenga di fronte all'angoscia di riuscire a darle un senso che ci permetta di abbandonarla serenamente. Per alcuni, quel senso è Dio, per altri sono i figli, per altri ancora fini e sensi a noi ignoti. Ma una cosa è certa: la risposta non potrà mai arrivare da un medico né in generale da uno scienziato.