Si piange in continuazione sulla crisi, sul lavoro che non c'è, sul debito che ci schiaccia, ma la mentalità non cambia. Tutta la società converge nell'odio verso i ricchi, per giunta spalleggiata da due dottrine - quella cattolica e quella comunista - diversissime in tutto, tranne che nella condanna della ricchezza. E difatti, tutta la legislazione italiana è imperniata su principi di ostilità nei confronti del ricco. Basti pensare alla voglia di tassare a morte i "grandi patrimoni", all'accresciuto peso di imposte per seconde case (anche all’estero, dove già pagano le tasse allo Stato locale!), barche, e ogni bene che sembri denotare “ricchezza”. Tutto questo è giusto?
Il buonsenso induce a tollerare un correttivo socialista. La ragione non è la simpatia per il povero ma la banale considerazione che non solo se c'è povertà, nessuno compra ciò che produce il ricco, ma se poi i poveri diventano troppi, alla fine questi si mettono insieme e vanno a fare il mazzo a tarallo ai ricchi, sequestrando tutto quello che hanno: si chiama comunismo. E' giusto che chi guadagna 1000 paghi 100 e chi guadagna 10000 paghi 1000. Ma è giusto che chi guadagna 10000 debba pagare 4000-5000? E non solo. Il diritto di proprietà, teoricamente garantito, un rigo sotto dice che la proprietà deve avere una "funzione sociale". Tradotto in francomarinese (e mi è pure successo) ci può essere sequestrata nel momento in cui qualche boss della politica locale decide che esigenze ne giustifichino l'esproprio, previo indennizzo spesso misero e soprattutto senza tener conto di ciò che ci si è frattanto costruito.
La nostra Costituzione, in sintesi, fondata sul lavoro, sembra improntata all'odio verso i ricchi. Ma chi sono costoro? Per il disoccupato che vive in un basso dei Quartieri Spagnoli e non sa come dare da mangiare ai suoi figli, è già ricco il precario del secondo piano che guadagna 1000 euro al mese. Ma se la domanda fosse posta a quest'ultimo, questi sgranerebbe gli occhi e direbbe "Io ricco? Semmai il medico del terzo piano che guadagna 5000 euro al mese". Alché quest'ultimo ribatterebbe "Sì, io sono ricco, ma intanto ho studiato sei anni di medicina più specializzazione, e poi lavoro dalle nove del mattino fino alle nove di sera". Ricco è sempre qualcun altro. E quando poi si arriva ai ricchi innegabilmente ricchi, ci si accorge che sono così pochi che anche a voler loro requisire tutto ciò che hanno, ci si coprirebbe - a voler essere generosi - l'1 per 1000 del bilancio di un paese.
L'alternativa? Il comunismo. Che tuttavia ha fatto crollare l'URSS e ha indotto la Cina a rinnegare alcuni dei suoi principi fondati. Se molti stanno abbandonando il socialismo reale è perché come concetto non sta in piedi. Anche perché non si vede per quale motivo - a parte che per la propria salute - un medico dovrebbe darsi da fare per trovare la cura contro il cancro, se i vantaggi gli verranno requisiti. Se si impedisce ad una persona di arricchirsi, questa non avrà la spinta a produrre ricchezza. Se uno stato non ha chi produce la ricchezza da cui trarre quelle tasse con cui si finanzia, ha due alternative: o fa debiti oppure la rapina ad altri paesi, i quali naturalmente non è che gli diranno "Mais s'il te plaît, prends place". Ma niente, questi principi di banalissimo buonsenso nessuno vuol ficcarseli nelle chiocche. In un paese normale, il ricco va portato come esempio, e gli va pure perdonato qualche peccatuccio, se funzionale a dare ricchezze. I grandi capitalisti, con le loro sfarzose ville, con i loro macchinoni, vanno portati ad esempio, per stimolare nella gente quell'emulazione che poi la porterà a darsi da fare nella vita per ottenere dei risultati.
Ma non c'è niente da fare: per gli italiani, il ricco sarà sempre o un evasore fiscale oppure un mafioso, al quale, come diceva Montanelli, bucare la ruota della sua Ferrari. In Italia il modello positivo sarà l'impiegato statale che, col suo stipendio, arriva a stento alla fine del mese. Risultato: nessuno produce più ricchezza, nessuno investe più nel paese.
La società italiana ha voluto essere liberale il meno possibile, pretendendo che i ricchi piangessero, e ci sta riuscendo benissimo.
Il buonsenso induce a tollerare un correttivo socialista. La ragione non è la simpatia per il povero ma la banale considerazione che non solo se c'è povertà, nessuno compra ciò che produce il ricco, ma se poi i poveri diventano troppi, alla fine questi si mettono insieme e vanno a fare il mazzo a tarallo ai ricchi, sequestrando tutto quello che hanno: si chiama comunismo. E' giusto che chi guadagna 1000 paghi 100 e chi guadagna 10000 paghi 1000. Ma è giusto che chi guadagna 10000 debba pagare 4000-5000? E non solo. Il diritto di proprietà, teoricamente garantito, un rigo sotto dice che la proprietà deve avere una "funzione sociale". Tradotto in francomarinese (e mi è pure successo) ci può essere sequestrata nel momento in cui qualche boss della politica locale decide che esigenze ne giustifichino l'esproprio, previo indennizzo spesso misero e soprattutto senza tener conto di ciò che ci si è frattanto costruito.
La nostra Costituzione, in sintesi, fondata sul lavoro, sembra improntata all'odio verso i ricchi. Ma chi sono costoro? Per il disoccupato che vive in un basso dei Quartieri Spagnoli e non sa come dare da mangiare ai suoi figli, è già ricco il precario del secondo piano che guadagna 1000 euro al mese. Ma se la domanda fosse posta a quest'ultimo, questi sgranerebbe gli occhi e direbbe "Io ricco? Semmai il medico del terzo piano che guadagna 5000 euro al mese". Alché quest'ultimo ribatterebbe "Sì, io sono ricco, ma intanto ho studiato sei anni di medicina più specializzazione, e poi lavoro dalle nove del mattino fino alle nove di sera". Ricco è sempre qualcun altro. E quando poi si arriva ai ricchi innegabilmente ricchi, ci si accorge che sono così pochi che anche a voler loro requisire tutto ciò che hanno, ci si coprirebbe - a voler essere generosi - l'1 per 1000 del bilancio di un paese.
L'alternativa? Il comunismo. Che tuttavia ha fatto crollare l'URSS e ha indotto la Cina a rinnegare alcuni dei suoi principi fondati. Se molti stanno abbandonando il socialismo reale è perché come concetto non sta in piedi. Anche perché non si vede per quale motivo - a parte che per la propria salute - un medico dovrebbe darsi da fare per trovare la cura contro il cancro, se i vantaggi gli verranno requisiti. Se si impedisce ad una persona di arricchirsi, questa non avrà la spinta a produrre ricchezza. Se uno stato non ha chi produce la ricchezza da cui trarre quelle tasse con cui si finanzia, ha due alternative: o fa debiti oppure la rapina ad altri paesi, i quali naturalmente non è che gli diranno "Mais s'il te plaît, prends place". Ma niente, questi principi di banalissimo buonsenso nessuno vuol ficcarseli nelle chiocche. In un paese normale, il ricco va portato come esempio, e gli va pure perdonato qualche peccatuccio, se funzionale a dare ricchezze. I grandi capitalisti, con le loro sfarzose ville, con i loro macchinoni, vanno portati ad esempio, per stimolare nella gente quell'emulazione che poi la porterà a darsi da fare nella vita per ottenere dei risultati.
Ma non c'è niente da fare: per gli italiani, il ricco sarà sempre o un evasore fiscale oppure un mafioso, al quale, come diceva Montanelli, bucare la ruota della sua Ferrari. In Italia il modello positivo sarà l'impiegato statale che, col suo stipendio, arriva a stento alla fine del mese. Risultato: nessuno produce più ricchezza, nessuno investe più nel paese.
La società italiana ha voluto essere liberale il meno possibile, pretendendo che i ricchi piangessero, e ci sta riuscendo benissimo.
Si chiama povertà.