La notizia è di quelle che agghiacciano qualsiasi persona di buon cuore: Michela Murgia ha annunciato di avere un cancro in fase terminale e che le rimangono pochi mesi di vita. In un paese normale, democratico, civile, ad una persona, ad un avversario politico, calcistico, religioso, quel che è, che, a cuore aperto, dice al mondo che le rimane poco tempo da vivere, si augura "Forza Michela" punto e basta. In un paese incivile, che regola il rispetto delle persone sulla base dell'appartenenza politica, ideologica, sanitaria, c'è chi rivendica il diritto di odiarla per le scemenze che la sua imminente fine certo non nobilita. Michela Murgia è stata una figura che, indipendentemente da come la si pensi, ha contribuito a patologizzare il dibattito pubblico italiano ed è, a tutti gli effetti, una nemica per chi sta dall'altra parte. Non per altro, l'intervista con cui annuncia il ritorno della sua malattia (che già l'aveva colpita anni fa) è piena delle scemenze che hanno contraddistinto non tanto la sua parabola come autrice di libri tutt'altro che disprezzabili, quanto quella di influencer cultural-politica di cui in fondo si poteva anche fare a meno: ed ecco dunque la speranza di veder cadere la Meloni prima di morire, con quest'ultima che invece di querelarla le ha risposto da grande signora (e da gran paracula), il solito spot LGBT ed altre insignificanti frattaglie.
Dunque non siamo ipocriti: la Murgia non è un'avversaria ma una nemica a tutti gli effetti e quella che combattiamo da questa e da altre pagine, è a tutti gli effetti una guerra. Però?
Però questa è una guerra diversa dalle altre perché è una guerra antropologica, per ora fredda, forse un domani non più. E' una guerra che mi ha visto cacciato di casa, anni fa, da una famiglia di persone che ritenevamo amici e che di fronte alla mia decisione, comunicata con serenità e senza il piglio di chi volesse sbatterlo in faccia, di votare CasaPound, si vide imposto con toni severi di andarsene di casa, assieme ad un padre che, ormai cognitivamente decaduto, non poteva certo partecipare a quella discussione. E' una guerra che ha visto decimare la mia schiera di amicizie e persino parentele. Gente che mi ha tolto il saluto perché ho osato dire che non mi ero vaccinato. E anche qui, senza il piglio francamente stucchevole di alcuni dissidenti, ma con la serenità di chi semplicemente pretende di disporre della propria salute come più gli aggrada.
Ecco, io non voglio essere come questa gentaglia. Io sono una brava persona. Con i miei difetti che conoscono tutti quelli che da vent'anni mi leggono attraverso i vari spazi, ma brava persona. Di fronte ad una signora che, possa essere anche la persona più sgradevole che ci sia, mi dice che sta per morire di cancro, il mio istinto è quello di abbracciarla e di dirle "Michela, non è detto che finisca così". E nient'altro. Perché tutto il resto, tipo le puttanate come "lottare contro il cancro", vanno gettate al macero. Perché la realtà è che Michela farà una morte infame, altro che la serenità zen che affetta. Io l'ho vista quella malattia, in mia madre. La stessa, identica: partita dal rene e finita ai polmoni, alle ossa e al cervello. Ebbene, si muore tra atroci sofferenze. E dunque per me non esiste più dibattito ideologico. In quel momento dimentico tutto. Perché di fronte a certe cose, non c'è ideologia che tenga.
So che per lei non sarebbe così. So che, a parti invertite - e se fossi famoso come è lei, cosa che ovviamente non sono - lei penserebbe che in fin dei conti un fascista buono è un fascista morto, perché basta non pensarla come lei per essere fascisti, anche se, come nel mio caso, non si è tali. So tutte queste cose. So quanto faccia schifo la cricca di bastardi a cui ha deciso di rivolgersi per ottenere passaggi nelle TV e nelle case editrici che altrimenti non avrebbe mai avuto. Ma so anche che, proprio perché questa è una guerra antropologica, a scontrarsi sono due tipologie di umanità. L'umanità greve, ideologica, violenta e settaria di cui la Murgia fa parte. E quella, sgangherata quanto volete, forse un po' qualunquista, complottista, ma di buon cuore che ho sempre ritenuto che fosse quella di cui faccio parte.
Ecco perché abbiamo il dovere di essere diversi da Michela Murgia. Non perché la sua imminente morte riabiliti ciò che ha scritto, ma perché la guerra antropologica in atto ci impone di essere migliori e dunque di essere diversi dal tipo di umanità rappresentata da lei e da quelli come lei. Abbiamo il dovere di mostrare al mondo che la differenza tra noi e loro non è solo una questione di vaccini, di Putin, di clima, di gay, di fascismo e antifascismo, ma di mentalità. Perché i temi su cui queste due umanità si accapigliano sono solo pretesti. Di base c'è lo scontro tra una cultura totalitaria che ha applaudito le peggiori scemenze degli ultimi ottant'anni, e una cultura libertaria, democratica, che non chiude la porta del dialogo alle persone, solo perché la pensano diversamente.
Per cui sì, questa è una guerra. Ma che si vince mostrandosi superiori. Non voglio comportarmi da bestia e augurarmi la morte della Murgia. Perché non voglio che non si veda la differenza tra me e quelli che, se fossi al posto della Murgia, mi augurerebbero la stessa sorte.
Noi non siamo come loro. Ma se ci comportiamo come loro, diventiamo come loro.
Dunque non siamo ipocriti: la Murgia non è un'avversaria ma una nemica a tutti gli effetti e quella che combattiamo da questa e da altre pagine, è a tutti gli effetti una guerra. Però?
Però questa è una guerra diversa dalle altre perché è una guerra antropologica, per ora fredda, forse un domani non più. E' una guerra che mi ha visto cacciato di casa, anni fa, da una famiglia di persone che ritenevamo amici e che di fronte alla mia decisione, comunicata con serenità e senza il piglio di chi volesse sbatterlo in faccia, di votare CasaPound, si vide imposto con toni severi di andarsene di casa, assieme ad un padre che, ormai cognitivamente decaduto, non poteva certo partecipare a quella discussione. E' una guerra che ha visto decimare la mia schiera di amicizie e persino parentele. Gente che mi ha tolto il saluto perché ho osato dire che non mi ero vaccinato. E anche qui, senza il piglio francamente stucchevole di alcuni dissidenti, ma con la serenità di chi semplicemente pretende di disporre della propria salute come più gli aggrada.
Ecco, io non voglio essere come questa gentaglia. Io sono una brava persona. Con i miei difetti che conoscono tutti quelli che da vent'anni mi leggono attraverso i vari spazi, ma brava persona. Di fronte ad una signora che, possa essere anche la persona più sgradevole che ci sia, mi dice che sta per morire di cancro, il mio istinto è quello di abbracciarla e di dirle "Michela, non è detto che finisca così". E nient'altro. Perché tutto il resto, tipo le puttanate come "lottare contro il cancro", vanno gettate al macero. Perché la realtà è che Michela farà una morte infame, altro che la serenità zen che affetta. Io l'ho vista quella malattia, in mia madre. La stessa, identica: partita dal rene e finita ai polmoni, alle ossa e al cervello. Ebbene, si muore tra atroci sofferenze. E dunque per me non esiste più dibattito ideologico. In quel momento dimentico tutto. Perché di fronte a certe cose, non c'è ideologia che tenga.
So che per lei non sarebbe così. So che, a parti invertite - e se fossi famoso come è lei, cosa che ovviamente non sono - lei penserebbe che in fin dei conti un fascista buono è un fascista morto, perché basta non pensarla come lei per essere fascisti, anche se, come nel mio caso, non si è tali. So tutte queste cose. So quanto faccia schifo la cricca di bastardi a cui ha deciso di rivolgersi per ottenere passaggi nelle TV e nelle case editrici che altrimenti non avrebbe mai avuto. Ma so anche che, proprio perché questa è una guerra antropologica, a scontrarsi sono due tipologie di umanità. L'umanità greve, ideologica, violenta e settaria di cui la Murgia fa parte. E quella, sgangherata quanto volete, forse un po' qualunquista, complottista, ma di buon cuore che ho sempre ritenuto che fosse quella di cui faccio parte.
Ecco perché abbiamo il dovere di essere diversi da Michela Murgia. Non perché la sua imminente morte riabiliti ciò che ha scritto, ma perché la guerra antropologica in atto ci impone di essere migliori e dunque di essere diversi dal tipo di umanità rappresentata da lei e da quelli come lei. Abbiamo il dovere di mostrare al mondo che la differenza tra noi e loro non è solo una questione di vaccini, di Putin, di clima, di gay, di fascismo e antifascismo, ma di mentalità. Perché i temi su cui queste due umanità si accapigliano sono solo pretesti. Di base c'è lo scontro tra una cultura totalitaria che ha applaudito le peggiori scemenze degli ultimi ottant'anni, e una cultura libertaria, democratica, che non chiude la porta del dialogo alle persone, solo perché la pensano diversamente.
Per cui sì, questa è una guerra. Ma che si vince mostrandosi superiori. Non voglio comportarmi da bestia e augurarmi la morte della Murgia. Perché non voglio che non si veda la differenza tra me e quelli che, se fossi al posto della Murgia, mi augurerebbero la stessa sorte.
Noi non siamo come loro. Ma se ci comportiamo come loro, diventiamo come loro.
Ecco perché abbiamo il dovere di essere diversi da loro.