Sul mio vecchio giornale, Andrea Sartori ha lanciato una provocazione per la quale, secondo lui, "la destra è ignorante". Sartori, oltre a scrivere molto bene, è in assoluto una delle persone più intelligenti che si possano leggere in rete. E tuttavia non per questo bisogna essere per forza d'accordo con lui. Infatti l'approccio di pensare che la cultura debba servire un lato della politica, è il vero motivo per cui questo paese non vive in un sistema compiutamente democratico. Naturalmente un intellettuale può avere un orientamento più conservatore o progressista a seconda dei casi, ma l'idea che la cultura debba mettersi l'elmetto o la kefiah è tipica di un paese che la democrazia non sa nemmeno dove stia di casa. Personalmente, pur essendo ideologicamente molto connotato (poi io non mi definirei più di destra ma, al massimo, conservatore e sovranista) la mia modesta biblioteca ospita testi di intellettuali di ogni genere: Pasolini, Evola, Aron, Sartre, Foucault, Prezzolini, Cioran, Montanelli, fino al più recente Marcello Veneziani. E nella mia stanza esistono album di De Gregori, Enrico Ruggeri, Lindo Ferretti, Morsello, Venditti, Barbarossa, Battisti, Battiato, Pino Daniele. Figure che, in totale spregio del colore delle rispettive bandiere - posto che ne avessero davvero piantate qualcuna - hanno meritato quella residenza per avermi reso, o avermene dato l'impressione, un uomo migliore di come sarei stato senza. Come si vede, personalità di segno opposto, che ho letto e ascoltato con piacere anche quando appartenenti ad un humus ideologico differente dal mio. Lo stesso mio ex-direttore Fais, che si definisce uomo di destra, ammira Sartre, ritenuto molto più affine alla sinistra. Perché allora rammaricarsi della mancanza di una cultura di destra? Quando posero questa domanda a Maurizio Belpietro, intellettuale e giornalista di destra, questi incolpò l'endemica litigiosità interna al panorama culturale di destra, fatto di persone litigiose. Pur stimando il direttore de La Verità, devo riconoscere che la tesi mi ha sempre convinto poco, perché capovolge causa ed effetto del fenomeno. E qui occorre aprire una parentesi sulla particolarità del sistema italiano.

L'Italia vive, da ottant'anni, in un regime simile a quello iraniano. E non lo dico con l'intento di offendere gli amici iraniani che fanno parte della mia lista, ma perché è semplicemente la realtà fattuale. L'Iran è una Repubblica Islamica basata sulla dualità tra il potere religioso, la cui tutela è affidata alla Guida Suprema - che formalmente non dovrebbe avere alcun ruolo politico ma che, in realtà, ha un potere enorme - e il potere politico, formalmente democratico, purché non violi i principi base della Repubblica Islamica. In sostanza, il vero controllo del paese non è della politica ma delle autorità religiose che debbono preservarne la natura islamica. Una sorta di libertà vigilata, su cui in qualsiasi momento le autorità religiose possono intervenire. Ebbene, se si sostituiscono ai poteri della Guida Suprema e del Consiglio degli Esperti, quelli del Presidente della Repubblica e della Magistratura, l'Italia ha rifatto l'Iran tale e quale, con l'unica differenza che mentre quel glorioso paese almeno si fa guidare dai testi del Corano, l'Italia si fa guidare dai testi di Saviano. E analogamente a quello iraniano che almeno esplicita questa dualità, il sistema italiano funziona che formalmente ha un Parlamento sovrano che poi eleggerà un Governo. Ma se vince qualcuno di sgradito al Consiglio degli Esperti rappresentato dai capibastone del giornalismo, del potere finanziario, e dalla Guida Suprema di turno, rappresentata dal capo di questa corrente, questi viene letteralmente sabotato fino ad essere espulso. Ed è il caso di tanti leader politici che quando hanno provato, forti di un'investitura popolare molto importante, a far evolvere questo paese, sono stati fatti fuori da questo potere.
Perché questa premessa? Perché in un terreno del genere, è ridicolo sperare che nasca una vera cultura che non sia propaganda. E avendo da ottant'anni il nostro paese perduto la propria sovranità effettiva, esistono culture di propaganda tarate sull'ideologia della classe dirigente al potere. Col duopolio DC-PCI avevamo una maggiore eterogeneità, avevamo la RAI cencellianamente spartita tra questi due blocchi, la presenza di blocchi finanziari più vicini alla DC o al PCI, a seconda dei casi. Liquidata la DC e, col crollo del Muro di Berlino, diluito il PCI che si è trasformato in PDS e poi PD, tutti quei blocchi che si erano rassegnati a subire l'egemonia degli ex-comunisti hanno abbracciato il nuovo sistema di potere attraverso la cosiddetta "cultura di sinistra" che è in realtà la cultura del Partito Democratico americano, che si esprime semplicemente attraverso la propaganda propinata e imposta in tutte le forme, anche aggressive, dal 1992 al nostro paese. Gli altri, da Berlusconi in poi, hanno iniziato ad avere grossi problemi. E la prova di come in Italia non esista alcuna profonda radice culturale nella cosiddetta sinistra, ma solo un sistema di potere puro e semplice, sta nel fatto che questo blocco è transumato in massa dal socialismo reale antiamericano al finanziarismo atlantista, senza batter ciglio.

Proprio per questo è sbagliato pensare che alla cultura di sinistra si debba rispondere con una cultura di destra. Significherebbe non aver capito il problema. Esiste senz'altro una dissidenza contrapposta al regime, ma confusa con la destra solo perché nemica di un ceto dominante che si fa chiamare sinistra. Tutte le volte che qualcuno ha provato ad unificare questo panorama di intellettuali di altissimo valore, tuttavia confusi per "intellettuali di destra" e in realtà vastamente eterogenei - chi liberale, chi socialista, chi filoamericano, chi filorusso, chi credente, chi ateo - è finita a botte, sia perché avente il peccato originale dell'eterogeneità, sia perché composta da persone che, non avendo avuto un approccio gramsciano e dunque non concependo il concetto di strutturarsi per prendere il potere, sono totalmente incapaci di fare squadra e di far prevalere i narcisismi dei singoli minchiadura di turno. Ma se anche "la destra" fosse riuscita nell'occupazione gramsciana del potere, si sarebbero viste le stesse logiche malate della "sinistra". Perché il vero punto è che la vera cultura, in un paese libero e democratico, è per definizione antipolitica. Se la politica inizia ad irreggimentare la cultura, diventa propaganda. Talvolta anche di altissima qualità, ma sempre propaganda. E nel momento in cui (ri)nascesse una forza politica di massa di destra, la cultura di destra si adeguerebbe al pari di quella di sinistra che dopo il 1945 migrò in massa verso l'antifascismo laddove nel Ventennio scrisse articoli che si potrebbero leggere tranquillamente oggi sul Primato Nazionale o su La Verità. La cultura di destra, divenuta di massa e gestita da una nuova élite, dunque facendo buoni e cattivi, provocherebbe una fioritura di intellettuali dissidenti di sinistra del tutto speculari a quelli di destra di oggi. Perché la libertà intellettuale di un paese non si misura nelle gare a chi ce l'ha più lungo tra gli intellettuali di destra e quelli di sinistra, ma nella differenza tra chi fa cultura e chi fa propaganda. Il vero problema non è cantare o meno Bella Ciao, ma poter evitare di cantarla senza ritrovarsi il Consiglio degli Esperti a rompere le palle.

Mi rendo conto che dopo ottant'anni di regime simil-iraniano molti si siano abituati all'idea che la cultura debba servire la Guida Suprema e il Consiglio degli Esperti di un paese, ieri Mussolini, oggi Mattarella, ieri il Gran Consiglio, oggi il Consiglio Superiore della Magistratura. Ma la vera questione - andrebbe spiegato ai tanti galletti del dissenso che si dividono non per serie questioni ideologiche ma soltanto per assicurarsi i pollai con le galline più sexy - è che oggi battersi per la libertà non significa creare una cultura di destra ma scardinare il sistema che crea la "cultura di parte", ossia la propaganda. In un paese davvero libero esistono certamente intellettuali conservatori e progressisti, ma il concetto di "cultura di destra" non esiste, come non esiste il concetto di "cultura di sinistra". Esiste solo la cultura. Che può certamente avere un orientamento più conservatore o più progressista, ma che rimane indipendente dalla politica e che anzi può anche provare a dirigerla, ma mai viceversa. E noi non siamo un paese libero proprio perché non abbiamo una vera cultura, ma solo propaganda. O meglio, due visioni diverse della propaganda. Una si fa chiamare sinistra e tiranneggia il paese, l'altra si fa chiamare destra e sta all'opposizione.
Ma propaganda rimane.

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Franco Marino
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